Da Morbegno ad Introbio, fra Val Gerola e Valsassina. 4 - Madonna del Biandino-Introbio
GALLERIA DI IMMAGINI - CARTE DEL PERCORSO
DAL RIFUGIO SANTA RITA O DAL RIFUGIO MADONNA DELLA NEVE AD INTROBIO
Il rifugio Madonna della Neve
Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
Rifugio Santa Rita-Rifugio Madonna di Biandino-Introbio |
3 h |
1400 (in discesa) |
E |
SINTESI. Dal rifugio Santa Rita (m. 2000) imbocchiamo il largo sentiero che scende alla piana di Biandino, dove troviamo il rifugio Madonna della Neve (m. 1590). Proseguiamo seguendo la pista che si porta al limite inferiore della piana, dove troviamo la stretta della Bocca di Biandino (m. 1487), nei cui pressi si trovano due altri rifugi, il
Tavecchia, ben visibile, un po’ rialzato, alla nostra destra,
ed il Bocca di Biandino, più appartato, su un bel costone di
roccia, alla nostra sinistra. Scendiamo sulla pista che attraversa il torrente, da destra a sinistra, su un ponte;
noi, invece, rimaniamo alla sua destra ed imbocchiamo la mulattiera segnalata come Via del Bitto, che percorre il fianco occidentale della
val Troggia, a ridosso del fianco roccioso
della valle, raggiungendo, in breve, un monumento collocato sul ciglio di un precipizio, a 1460 metri dedicato alla memoria della 55sima Brigata Fratelli Rosselli. Proseguendo nella
discesa, superiamo una piccola porta nella roccia ed un piccolo corso
d’acqua laterale, e ci allontaniamo progressivamente dal solco
del torrente. Alla nostra sinistra si aprono i prati delle baite
della Scala (m. 1379).
Subito dopo, il sentiero, varcata una seconda porta nella roccia, passa
ai piedi di una piccola cascata, che solca un salto di rocce rosse e
levigate, e comincia a scendere, con una serie serrata di tornanti,
in un bel bosco, fino a quota 1300 circa. Più in basso la mulattiera confluisce nella pista sterrata che da Introbio sale alla piana di Biandino. La seguiamo fino a trovarne la ripartenza sulla sinistra. Intercetta una seconda volta la pista, ed una seconda volta la lascia, passando per il Ponte dei ladri, il Primo Ponte e la cappelletta di Sant'Uberto, fino a scendere alle case alte di Introbio (m. 600). |
Sentiero rif. Santa Rita-Rif. Madonna della Neve e pizzo dei Tre Signori
Prima
di lasciare la piana di Biandino, può essere interessante considerare
qualche notizia sul santuario della Madonna della Neve (m. 1590), che
ne costituisce il punto di riferimento più importante e di cui
il rifugio è parte integrante Il santuario, infatti, è
il complesso costituito dalla chiesetta, dall’alloggio del sacerdote
e dal rifugio Madonna della Neve di Biandino, che ha una disponibilità
di 25 posti letto. Il rifugio è di proprietà della Parrocchia S. Antonio Abate (introbio@chiesadimilano.it, tel. 0341980283 - 3473329988). Attualmente (giugno 2018) è chiuso, in attesa di nuova gestione.
La valle è parte del plesso delle valli del
Bitto, e gode di una situazione climatica particolarmente favorevole;
per questo, fu sempre molto popolata da alpeggiatori (oltre cento, nel
secolo XVII), ma anche da pastori e dagli operai che lavoravano alle
miniere di ferro del vicino conglomerato dell’alta val Varrone.
Ciò fece nascere l’esigenza di costruire un santuario per
il culto, dal momento che Introbio non era facilmente raggiungibile.
Fu così edificata la chiesetta, nel 1664, dalla famiglia Annovazzi,
insieme con l’annesso alloggio per il sacerdote che doveva salirvi
a dir messa. Il santuario, custodito fino alla metà del secolo
scorso dagli alpeggiatori, assunse ulteriore importanza nell’Ottocento,
quando gli abitanti di Introbio, per ringraziare la Madonna che li aveva
preservati dalla grave epidemia di colera del 1836, istituirono la processione
del 5 agosto, giorno in cui si ricorda la Madonna della Neve: da allora
ogni anno partono in processione sul far dell'alba da Introbio e salgono qui percorrendo la Via del Bitto. L’edificio
attuale è l’esito della ricostruzione del 1947, dopo che,
il 13 ottobre 1944 venne distrutto dai nazi-fascisti, per togliere ai
partigiani una possibile base di appoggio (destino, questo, comune a
numerosi altri rifugi o baite nell’arco orobico e retico).
Rifugio Madonna della Neve in Val Biandino
Bene: arricchiti da questi ulteriori elementi storici, percorriamo il
tragitto che separa il santuario dalla bocca di Biandino (m. 1487),
cioè dalla piccola forra del torrente Troggia che immette direttamente
alla piana. Percorrendo
un chilometro circa, su una pista sterrata, utilizzata dai fuoristrada
che fanno la spola da Introbio ai rifugi, lasciamo alla nostra destra
le baite dell’alpe, adagiate ai piedi della tranquilla sponda
di Biandino, e la raggiungiamo: qui si trovano due altri rifugi, il
Tavecchia, ben visibile, un po’ rialzato, alla nostra destra,
ed il Bocca di Biandino, più appartato, su un bel costone di
roccia, alla nostra sinistra. Prima di iniziare la discesa fino ad Introbio,
gettiamo uno sguardo alla val Biandino, che da qui mostra bene la forma
ad “U” che caratterizza i solchi alpini scavati dall’azione
erosiva dei ghiacciai. Gustiamo ancora per qualche istante la sua dolcezza
e salutiamo il marcato profilo del pizzo dei Tre Signori, che la chiude,
sulla destra: gli scenari che ci attendono sono, infatti, differenti,
più aspri, anche se non meno suggestivi.
La pista attraversa il torrente, da destra a sinistra, su un ponte;
noi, invece, rimaniamo alla sua destra ed imbocchiamo la mulattiera
segnalata come Via del Bitto, che percorre il fianco occidentale della
val Troggia (la valle, da qui, assume questo nome), caratterizzato,
nella parte alta, da grandi balze di rocce rossastre e strapiombanti.
Nel primo tratto, infatti, camminiamo a ridosso del fianco roccioso
della valle, raggiungendo, in breve, un monumento collocato proprio
sul ciglio di un precipizio, a 1460 metri (attenzione a non sporgersi!)
e costituito da una piccola piramide, sulle cui facce è scritto
55°Rosselli, posta dall’Associazione
Nazionale Partigiani d’Italia: essa commemora la straordinaria
traversata della 55sima Brigata partigiana Fratelli Rosselli, effettuata,
nel novembre del 1944, per sfuggire ai rastrellamenti nazifascisti,
da Introbio, in Valsassina, a Bondo, in Val Bregaglia (Svizzera), passando
per la bocchetta di Trona ("buchéta de Truna"), gli alpeggi alti della Val Gerola, Poira,
il passo di Malvedello, Frasnedo, Codera e la bocchetta della Teggiola. Dalla piramidepossiamo
dominare l’intera valle, al cui sbocco, nell’ampia conca
della Valsassina, è posta la meta, Introbio.
Proseguendo nella
discesa, superiamo una piccola porta nella roccia ed un piccolo corso
d’acqua laterale, e ci allontaniamo progressivamente dal solco
del torrente. Alla nostra sinistra si aprono i prati delle baite
della Scala (m. 1379; la denominazione si riferisce ad un toponimo molto
diffuso fra le montagne lombarde, che significa “salto roccioso”).
Subito dopo, il sentiero, varcata una seconda porta nella roccia, passa
ai piedi di una piccola cascata, che solca un salto di rocce rosse e
levigate, e comincia a scendere, con una serie serrata di tornanti,
in un bel bosco, fino a quota 1300 circa. Nella discesa siamo accompagnati
dai segnavia biancorossi, con la sigla "VB", che costellano
l'intero percorso dalla bocchetta della Cazza fino ad Introbio. Usciti
dal bosco, possiamo osservare, sul lato opposto della valle, la pista,
con fondo sterrato ed in cemento: la scelta di tracciare la pista sul
versante orientale, suggerita anche dalla natura meno aspra del versante
montuoso, ha preservato, per buona parte, l’antica Via del Bitto,
così densa di significati storici.
Nella successiva discesa il sentiero oltrepassa una piccola macchia
di betulle, che ne fanno da gentile cornice, ed un meno bucolico corpo
franoso, prima di rientrare nel bosco e di riavvicinarsi al torrente,
che però, ora, non corre più nascosto da aspri salti di
roccia, ma si mostra, fra rocce levigate e candide, di un bel colore
verde, pochi metri sotto di noi, alla nostra sinistra. Perdiamo, così,
altri duecento metri circa, ed abbiamo modo di osservare con attenzione
il selvaggio vallone che solca il lato opposto della valle. Superiamo,
quindi, il torrentello dell’Acqua Torcia, prima di avvertire qualche
belato di capra: non si tratta di un gregge che vaga liberamente al
pascolo, ma delle capre, allevate con altri animali, nell’agriturismo
“La Baita”, che ritroviamo appena sopra la mulattiera, alla
nostra destra. Può essere un buon punto di appoggio per il ristoro
(se ne fossimo interessati, possiamo telefonare al numero 347 5212186).
Pochi
metri più in basso, la Via del Bitto confluisce nella pista sterrata,
che, nel frattempo, si è portata sul lato occidentale della valle.
Dobbiamo, quindi, seguirla per un breve tratto, fino ad incontrare una
fontana alla nostra destra, fatta edificare dalla S.E.L. (Società
Escursionisti Lecchesi) in memoria di Umberto Pozzoli, giornalista e
poeta lecchese che ne fu socio (1901-1930). Un cartello ci indirizza
alla selva sulla nostra sinistra, dove, pochi metri più in basso,
si trova un altro luogo di notevole interesse storico. Si tratta dell’Acqua
di San Carlo (m. 1059), sorgente legata ad un miracolo che, si narra,
venne compiuto dal celebre arcivescovo milanese dell’età
controriformistica (1538-1584). Costui era noto per il grande zelo pastorale
e, probabilmente di ritorno ad una visita alle parrocchie del Canton
Ticino (che allora rientrava nella Diocesi di Milano), si fermò
proprio in questo luogo; arso dalla sete, fece sgorgare da un masso,
come Mosè, una fresca sorgente. Da allora il luogo divenne meta
di pellegrini, e, per accoglierli, venne costruita una piccola piazzola,
di 5 metri di diametro, ancora oggi visibile. L’attuale manufatto
in blocchi di verrucano lombardo (la roccia rossastra che caratterizza,
come abbiamo visto, il fianco occidentale della val Troggia) risale
al 1934.
Risaliamo alla pista e seguiamola ancora per un tratto, fino a trovare,
sulla sinistra, il cartello che segnala la ripartenza della mulattiera,
che se ne stacca seguendo un percorso più basso, all’ombra
di un bosco di castagni, fino a scendere al letto del torrente e ad
attraversarlo su un ponticello, il Ponte dei Ladri. Dopo un breve tratto,
ignorata la deviazione sulla sinistra per il rifugio Grassi, scendiamo
ad un gruppo di castagni di considerevoli dimensioni, a valle dei quali
la mulattiera intercetta di nuovo la pista, nel tratto immediatamente
successivo al Primo Ponte (m. 849), che riporta quest’ultima al
lato quello sinistro della valle. Dobbiamo scendere, ora, per un buon
tratto, passando anche accanto, a quota 750 metri circa, ad una bella
baita isolata.
Poco
sotto, a quota 728, in corrispondenza di un tornante destrorso, incontriamo
un cartello che segnala l’ultimo tratto della mulattiera, che
si stacca sulla sinistra dalla pista. Si tratta di un tratto breve (Sant’Uberto
è data a 10 minuti, Introbio a 20), ma estremamente interessante,
perché il fondo della mulattiera diventa qui bellissimo, un grisc
accurato, una piccola opera d’arte. Scendendo, incontriamo anche
un vecchio cippo, con le indicazioni per il rifugio Grassi: curiosamente,
vi leggiamo la scritta “BIANDINO” con le due enne rovesciate.
Poco sotto, ecco Sant’Uberto (m. 650), una cappelletta votiva
dedicata al protettore dei cacciatori, posta sulla sinistra della mulattiera
che, uscita dal bosco, scende alle case della parte alta del centro
storico di Introbio.
La mulattiera termina proprio ad una delle strette vie di Introbio, che si snodano
fra le case, a quota 600 metri circa. Scendendo per un tratto in paese,
incontriamo la Torre del Pretorio, di origine medievale, ma rifatta
in epoca Rinascimentale. La fortificazione di Introbio si spiega considerando
la sua posizione strategica nella bassa Valsassina, come porta di accesso
al territorio lecchese. Ma è l’intero paese che merita
di essere visitato, chiamando a raccolta le energie residue dopo una
discesa che ci ha fatto perdere circa 1000 metri di quota, in poco più
di un paio d’ore di cammino. Di particolare interesse è
la villa Migliavacca (1913), adibita ora a sede municipale. Termina
così una lunga traversata che ci ha offerto più di uno
spunto per una suggestiva immersione in un passato più o meno
lontano. Riemergiamo al presente, arricchiti, però, da un’esperienza
di straordinario interesse.
Qualche indicazione per chi intende effettuare la traversata in senso
contrario. Chi viene dalla Valtellina può raggiungere Introbio
staccandosi all’altezza di Bellano dalla superstrada ss. 36 del
lago di Como. All’uscita
dallo svincolo, non si scende in paese, ma si prende subito a sinistra,
seguendo le indicazioni per la Valsassina. Salendo, si incontra la deviazione
a sinistra per Tremenico e Premana, e la si ignora, seguendo le indicazioni
per Lecco. Si passa così da Cortenova, dove desta impressione,
sulla sinistra, lo spettacolo della grande frana che si è staccata
dal fianco montuoso nel novembre 2002, sommergendo una fabbrica ed alcune
abitazioni. Si raggiunge poi Primaluna, e subito dopo Introbio. Per
trovare la partenza della mulattiera, si può prendere come riferimento
la chiesa parrocchiale e dirigersi verso destra (per chi è rivolto
verso la facciata e guarda a monte), in direzione della caserma dei
carabinieri. Svoltando a sinistra, si sale nella zona della Torre del
Pretorio, e si cerca la via per Biandino, in cima alla quale si trova
la partenza della mulattiera.
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