Da Morbegno ad Introbio, fra Val Gerola e Valsassina. 1 - Morbegno-Gerola
ALTRE ESCURSIONI IN VAL GEROLA - CARTE DEL PERCORSO
Non
esiste sentiero o traversata che assommi in sé tanti elementi
di interesse, innanzitutto storico, ma poi naturalistico, panoramico
ed escursionistico, quanti sono quelli legati alla Via del Bitto. Pochi
ne conoscono l’esistenza, ma non si tratta di una nuova trovata
legata alla valorizzazione di alcuni territori, o prodotti, o strutture
turistiche, bensì di un itinerario millenario, che data dall’epoca
pre-romana, e che ha rivestito, fino all’età moderna, una
funzione assolutamente strategica nelle comunicazioni fra il mondo latino
e quello retico-germanico. Insomma: è nata prima la Via del Bitto
del formaggio Bitto. Infatti, è stata per molti secoli la via
di comunicazione terrestre più diretta e breve fra la Valtellina
ed il basso Lario, il che vuol dire, poi, con Milano. Il suo primato
cominciò ad essere intaccato solo in epoca medievale, con la
costruzione di una strada sulla riva orientale del Lario, poi ampliata
nel secolo XIX. Ma al tempo dei Romani questi temevano una calata dei
barbari proprio da qui (e fortificarono diversi luoghi strategici della
Valsassina), ed è a loro che risale la definizione di questo
asse come “via gentium”, cioè via delle genti. Parrebbe
strano, visto che si dipana nel cuore delle Orobie occidentali, fra
Valsassina (o, più precisamente fra Val Troggia, Val Biandino
ed alta Val Varrone) e Val Gerola, eppure è così.
Qualche dato generale aiuta a comprendere l’importanza storica
di questa direttrice. La via parte da Introbio, nel cuore della Valsassina,
ma facilmente raggiungibile da Lecco (che dista circa 16 chilometri).
Si sviluppa per 11,5 km da Introbio alla bocchetta di Trona ("buchéta de Truna", m. 2092, al confine
fra le province di Bergamo e Sondrio), con un dislivello in salita di
circa 1500 metri, e per 20 km dalla bocchetta di Trona a Morbegno, con
un dislivello in discesa di circa 1900 metri effettivi (1800 sulla carta).
In totale, 31,5 km circa, che, aggiunti ai 16 da Lecco ad Introbio,
portano la distanza fra Lecco e Morbegno a 47,5 km. Si obietterà:
lo sviluppo limitato è compensato dal territorio montano, il
cui attraversamento è notoriamente legato ad asperità,
passaggi difficili, e così via. Non è vero. Innanzitutto,
fino ad epoche non lontanissime, il transito in montagna risultava spesso
più sicuro e salubre rispetto a quello in pianura.
In
secondo luogo, la via rappresenta non solo il più breve, ma anche
uno dei più agevoli fra i molteplici valichi della catena orobica,
in quanto le bocchette della Cazza (termine dialettale che sta per "mestolo") e di Trona, cioè i due punti
salienti, si raggiungono facilmente, mentre la discesa dalla bocchetta
di Trona alla piana della bassa Valtellina non è più difficile
di quella che avviene da altre valli orobiche. Prova ne è che
il cartello che troviamo ad Introbio, laddove la mulattiera comincia
la sua salita in val Troggia, dà la bocchetta di Trona a 5 ore
e Morbegno a 10 ore. Indicazione un po’ ottimistica, per la verità,
ma non irrealistica. Diciamo che sarebbe opportuno fare la media fra
queste valutazioni e quelle di un cippo più antico, anch’esso
visibile ad Introbio, che dà la bocchetta di Trona a 10 ore e
un quarto e Morbegno a 15 ore. Comunque, per tagliare la testa al toro,
basta provare a percorrerla (ma, evidentemente, in un paio di giorni
almeno).
La raccontiamo dal punto di vista dei barbari, o, se preferite, dei
Retici, o, ancora, dei Grigioni, che, nel periodo del loro dominio in
Valtellina, calarono con seimila micidiali fanti su Introbio nel 1531:
partiamo, cioè, da Morbegno, a 260 metri circa.
DA MORBEGNO A GEROLA ALTA
Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
Morbegno-Gerola Alta |
4 h |
950 |
E |
SINTESI. Alla rotonda all'ingresso di Morbegno (per chi proviene da Milano) lasciamo la ss 38, prendiamo a destra e ad una successiva rotonda ancora a destra. Superato un ponte, siamo al punto di partenza della provinciale della Val Gerola. Parcheggiamo nei pressi della partenza e ci incamminiamo su una stradina che si stacca sulla sinistra proprio al punto di partenza della provinciale, che invece sale a destra. La stradina lascia il posto ad una mulattiera che viene passa per i ruderi di San Carlo (385), viene intercettata da destra dalla mulattiera che sale da Regoledo, e porta a Campione (m. 580). Proseguiamo raggiungendo una pista che sale ad intercettare la provinciale della Val Gerola. Sul lato opposto troviamo una mulattiera che sale fino al cimitero di Sacco ed alla vicina chiesa di San Lorenzo (m. 700). Ridiscesi alla provinciale, la lasciamo imboccando una stradina sul lato opposto (sinistra), che ci porta ad una pista ed al Mulino del Dosso. Passiamo a valle della chiesa di San Giacomo a Rasura e proseguiamo fino ad un ponte ed alla cappelletta della Madonna del Picch. Intercettata una stradella, proseguiamo su un sentiero sul lato opposto, fino ad un gruppo di case. Qui un nuovo sentiero in breve ci fa tornare alla provinciale di Val Gerola, appena prima di Pedesina. La seguiamo fino all'uscita da Pedesina, dove troviamo, segnalata, la ripartenza del sentiero che scende per oltre 100 metri e porta al ponte sulla Val di Pai. Superata una pecceta, usciamo alla frazione Valle di Gerola (m. 998), dalla quale in breve saliamo a Gerola Alta (m. 1050). |
In cammino, dunque:
raggiungiamo l’imbocco della strada ex statale 405, ora strada provinciale, della Val Gerola,
staccandoci sulla destra dalla ss. 38 dello Stelvio all’altezza
della prima rotonda (per chi viene da Milano) all’ingresso di Morbegno.
Non imbocchiamo, però, tale strada, ma una più stretta
stradina, che termina dopo 1,5 km e che se ne stacca subito sulla sinistra
(cartello con l’indicazione per il rifugio Trona). La stradina,
inizialmente ha un fondo in asfalto, poi diventa una bella mulattiera
che, superate alcune baite diroccate (San Carlo, m. 385), conduce, poco sopra quota
400, alla selva Maloberti,
che costituisce un eccellente osservatorio su Morbegno, sulla bassa
Valtellina e sulla Costiera dei Cech.
Poi, oltrepassata una fontana dove un cartello ricorda il nesso fra
pulizia e bellezza, ed intercettata la mulattiera che sale da Regoledo, raggiungiamo
l’ampio terrazzo di prati e selve di castagni della località
Campione (m. 580), che, alla bellezza ed amenità dello scenario
naturale, unisce un motivo di interesse storico: qui nacque, infatti,
nel 1417 la celebre figura di Bona Lombarda, eroina della storia del
quattrocento italiano. Si trattava di una contadina di cui si innamorò
il capitano Pietro Brunoro, che militava nell’esercito del Ducato
di Milano (allora signoria dei Visconti), guidato dal capitano di ventura
Niccolò Piccinino e dal valtellinese Stefano Quadrio, esercito
che aveva appena sconfitto quello veneziano nella battaglia di Delebio
(1432). I due si sposarono nella chiesa di Sacco e la moglie seguì
poi il capitano, di origine parmense, nelle sue peregrinazioni legate
alla compagnia di ventura per la quale militava. Fin qui niente di strano:
ciò che, però, rese quasi leggendaria la figura della
donna fu la pratica delle armi, nella quale, affiancando il marito,
si distinse per coraggio e valore, tanto da farne un’eroina molto
amata, soprattutto in epoca romantica. Bene: dopo aver tributato il
giusto omaggio al valore delle donne valtellinesi, lasciamo alle nostre
spalle anche la cappella posta a ricordo del giubileo sacerdotale di
Leone XIII, proseguendo fino ad intercettare, poco oltre le belle baite
di Campione, la strada statale della Val Gerola, che però lasciamo
subito, staccandocene sulla destra, per seguire una pista che porta
a Sacco (m. 700), il primo paese che si incontra entrando nella valle,
a 7 km da Morbegno, per chi percorre la strada statale.
La pista ci porta proprio alla chiesa parrocchiale di san Lorenzo, dall’elegante
facciata barocca, nella piazza centrale del paese. Fra le leggende del
mondo contadino di cui qui possiamo trovare traccia vi è anche
quella, famosa, dell’homo selvadego, figura irsuta di uomo solitario
rappresentato con una clava in mano, pronto a rispondere ai torti altrui
non con la violenza, ma con la semplice paura legata alla sua apparenza
selvaggia. In
lui si condensano vari temi, e soprattutto quelli del pastore inselvatichito
dalla solitudine protratta e di una sorta di buon selvaggio, cioè
di uomo che, recuperando una dimensione del tutto naturale, non chiede
altro che di essere lasciato in pace e non ama affatto la violenza.
Il museo dell’homo selvadego, che si trova nel paese, è
proprio dedicato a questa singolare figura.
Dal paese scendiamo di nuovo alla strada statale, lasciandola di nuovo,
dopo pochi metri, questa volta, però, per scendere sulla sinistra,
cioè più in basso, imboccando una stradina (cartello con
l’indicazione del Mulino del Dosso e del Museo etnografico Vanseraf).
La stradina asfaltata, dopo un gruppo di case, termina nei pressi di
una fontana, diventando una pista che porta al vecchio Mulino del Dosso,
ora ristrutturato come museo etnografico da Serafino Vaninetti (di qui
la denominazione di museo Vanseraf), aperto il sabato e la domenica,
dalle 14.00 alle 18.00 (o anche in altri giorni, previa prenotazione).
Il mulino è posto in prossimità della cascata della Füla,
che possiamo osservare dal ponticello sul torrente della valle denominata
“Il fiume”.
Proseguendo sulla pista, raggiungiamo la parte bassa di Rasura (m. 762,
a 9 km da Morbegno, per chi percorre la strada statale). La pista passa
proprio sotto la bella chiesa parrocchiale di san Giacomo, consacrata
nel 1610. Dalla chiesa si gode di un ottimo panorama sul versante retico,
dove spicca l’inconfondibile profilo del monte Disgrazia. Continuiamo
il cammino, su una pista sterrata, estremamente riposante, sulla quale
troviamo prima una graziosa panchina in legno, poi il bellissimo ponte che permette di scavalcare il solco della parte inferiore della Valmala ("val màla", detta anche "val del pich"),
la cui denominazione si connette con l’aspetto selvaggio e dirupato
che assume proprio in questa parte. Poco
oltre il ponte, un’altra perla, il “Gisöl del Pich”,
cioè la cappelletta posta su uno spuntone di roccia, dedicata
alla “Madonna del Picch” e restaurata dalla Pro-Loco di
rasura nel 2002, con una lodevole iniziativa che restituisce alla sua
bellezza originaria questa testimonianza della devozione popolare. E’
interessante osservare come cappellette come questa si trovino con regolarità
quasi costante nei pressi di luoghi dirupati o nei tratti più
solitari dei sentieri, come rassicurante protezione per il viandante.
Proseguendo, intercettiamo la strada sterrata che scende alla centrale
Enel nel cuore della valle; noi la tagliamo, imboccando il sentiero che se ne stacca subito, sulla destra, salendo con qualche tornante
fino ad un nuovo gruppo di case, oltre le quali termina. Dobbiamo quindi
imboccare un sentierino sulla destra, che, in breve, ci riporta alla
strada statale, appena prima dell’imbocco della semicurva a destra
che precede le prime case di Pedesina (m. 992, a 11,5 km da Morbegno,
per chi percorra la strada statale). La chiesa parrocchiale di S. Croce
di S. Antonio, questa volta, è posta più in alto, a 1032
metri, sopra la strada. Il paese è un ottimo osservatorio panoramico
sul versante retico, nel quale si distinguono le principali cime del
gruppo del Masino-Disgrazia.
Percorrendo per un breve tratto la strada statale, troviamo, all’uscita
dal paese, un cartello che segnala la partenza di una nuova sezione
della Via del Bitto, ristrutturata ed attrezzata dalla Comunità
Montana Valtellina di Morbegno nel 2001, nell’ambito del progetto
Italo-svizzero denominato “Strade di Pietra”. Si tratta
di un segmento articolato in due parti contigue: il tratto Pedesina
- Ponte in val di Pai (0,6 km) e quello Ponte in Val di Pai - Valle
fraz. Di Gerola (km. 1,3). Già nel primo tratto lo scenario che
ci ha finora accompagnato (uno scenario, cioè, aperto, panoramico,
ameno) cambia bruscamente: entriamo nel cuore ombroso di un folto bosco
di castagni e scendiamo con ripidi tornanti verso il cuore segreto della
valle, perdendo 100 metri di quota, prima di raggiungere il bel ponte
in legno che supera la selvaggia Val di Pai. Anche nelle giornate più
luminose qui saremo circondati dall’umida ombra di questa forra
che incute timore, se non vera e propria paura. Sul
lato opposto, dobbiamo superare un fianco roccioso, sfruttando la bella
scalinatura e le corde fisse che ci sono veramente d’aiuto.
Poi il sentiero corre all’ombra di un bellissimo bosco di conifere,
fino a raggiungere la frazione Valle di Gerola (m. 998): qui la valle
comincia ad assumere la conformazione ad “U” caratteristica
dei solchi generati dall’escavazione glaciale, ed il torrente
Bitto non scorre più rinserrato fra rocce dirupate, ma si mostra
al centro del pianoro che ospita il centro principale della valle stessa,
cioè Gerola Alta (m. 1050), che raggiungiamo facilmente da Valle.
Siamo in cammino da circa 4 ore, ed abbiamo superato un dislivello di
circa 950 metri in altezza. Qui possiamo fermarci per il pernottamento,
che può avvenire presso uno degli alberghi del paese, in attesa
di percorrere il successivo tratto della Via del Bitto, raccontato nella seconda presentazione.
CARTE DEL PERCORSO SULLA BASE DI © GOOGLE-MAP (FAIR USE)
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