La Via Alpina in Valle Spluga, 2 (R83): da Isola al Pian San Giacomo per il passo di Baldiscio
CARTE DEL PERCORSO - GALLERIA DI IMMAGINI
La Via Alpina è costituita da cinque grandi sentieri internazionali, per uno sviluppo complessivo di 5000 km., che attraversano gli otto paesi alpini, cioè Francia e Principato di Monaco, Italia, Svizzera, Germania, Liechtenstein, Austria e Slovenia. Essa concretizza il progetto di disegnare percorsi che uniscano le diverse regioni alpine, accomunandole per identità e vocazione, favorendo al contempo un tipo di turismo itinerante nel segno di una ben precisa filosofia della montagna e del camminare. Una filosofia lontana dagli stili della fruizione affrettata e legata piuttosto all’esperienza dell’osservare, vedere, sentire e pensare, nella dimensione della sobrietà. 2 delle 161 tappe dell'Itinerario Rosso, il più lungo, attraversano la Valle Spluga o Valle di San Giacomo (siglate da R82 a R83), dal passo di Niemet al passo di Baldiscio. Le piccole targhe della Via Alpina, con il caratteristico logo, disposte nei luoghi strategici, segnalano che stiamo percorrendo anche questa grande direttrice di respiro transnazionale. Le tappe non richiedono un impegno più che escursionistico e non propongono passaggi attrezzati, anche se in qualche punto si richiede una certa esperienza escursionistica. Tuttavia si tratta di tappe piuttosto lunghe nello sviluppo, anche se il dislivello in altezza non è mai eccessivo, e che quindi possono essere divise in due giornate. Ovviamente ciascuno può progettare percorsi che si adattino alle proprie necessità e disponibilità di tempo e di energie. In caso di cattivo tempo, infine, ci si espone, come sempre, alla triplice insidia del terreno bagnato ed infido, della scarsa visibilità e dei fulmini, per cui è meglio desistere dall'escursione.
Il lago Grande
1. ISOLA - PIAN SAN GIACOMO
Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
Isola-Borghetto-Passo di Baldiscio-Pian San Giacomo |
7 h |
1040 (1150 in discesa) - Sviluppo: 13 km |
E |
SINTESI. Da Isola imbocchiamo il sentierino che parte poco
oltre la quattrocentesca chiesa dei Santi Martino e Giorgio, risalendo,
ripido, alcuni prati, prima di assumere un andamento più dolce.
Siamo sul lato sinistro (per noi) della valle, cioè su quello
meridionale. La salita termina nei pressi del ponte sul torrente Febbraro (m. 1487), Non passiamo sul lato opposto della valle, ma proseguiamo diritti su una pista che fiancheggia il torrente (indicazioni per la cascata di Val Febbraro, Borghetto ed il passo
di Baldiscio), ignorando la pista che se ne stacca sulla sinistra. La pista, dopo aver oltrepassato due ponti in legno, termina in corrispondenza
di un terzo ponte, poco prima che il solco della valle volga leggermente
a sinistra. Dobbiamo,
ora, valicare il ponte (m. 1596) ed imboccare un sentiero che sale,
ripido, nel cuore di una splendida pineta, vincendo il gradino che ci
separa dal circo più alto della valle. Alla
fine usciamo dal bosco sul limite inferiore dei prati dell’alpeggio
di Borghetto di Sotto (m. 1897), dove scende terminando una pista sterrata. La seguiamo in salita fino alle baite di Borghetto di Sopra, a 1980 metri,
poi la lasciamo e proseguiamo sul sentiero che se ne stacca sulla sinistra, segnalato dalle bandierine rosso-bianco-rosse,
per il passo di Baldiscio.
Superato un valloncello, il sentiero taglia alcuni dossi erbosi, correndo
verso ovest sul filo di un ultimo dosso (il Mot del lago Grande), che precede l’ampia
conca nella quale è posto il lago, annunciato dalle acque del
torrente che alimenta.
Ci ritroviamo, alla fine, sul lato destro (per noi) del lago Grande,
posto a 2302 metri. Oltrepassato il lago, un’ultima breve salita conduce ad una conca
superiore, quella del passo di Baldiscio (m. 2350), preceduto da un
laghetto più piccolo, il laghetto del Mot.
Ci affacciamo così alla piana della Serraglia, dalla quale inizia la lunga ed un po’ monotona discesa verso Pian San Giacomo, sul fondo della Val Mesolcina. Il sentiero si porta sul lato destro della piana, e lo percorre passando sul lato opposto del pianoro acquitrinoso rispetto alla pozza chiamata Pozza della Serraglia (m. 2293). Raggiungiamo così il cippo di confine n. 15 e ci affacciamo al gradino di soglia della valle. Il sentiero entra in territorio elvetico, resta a destra del torrente, piega leggermente a destra, poi di nuovo a sinistra, superando il torrente e scendendo fra roccette e pietrame. Scendendo verso sud-ovest superiamo una piccola gola e, piegando a destra, passiamo a sinistra di un laghetto. Superiamo di nuovo il torrente e pieghiamo a sinistra (ovest), scendendo verso ovest. Ci affacciamo ad un ripido versante di macereti lungo il quale scendiamo con serrati tornantini. Intorno a quota 1850 pieghiamo a sinistra (sud) e superiamo di nuovo il torrente, passando a sinistra del cocuzzolo di quota 1773. Scendiamo ancora fra boscaglia e roccette, poi ci infiliamo nel Bosch de Brusei. Pieghiamo leggermente a sinistra e tagliamo un dosso, per poi scendere ad attraversare un vallone. Il sentiero piega a destra e scende con molti tornantini verso sud-ovest, un una splendida pecceta, dalla quale usciamo a monte della galleria della strada principale della Mesolcina. La seguiamo verso sinistra, su una stradella che confluisce nella strada ad un tornante dx. Seguendo la strada, dopo il successivo tornante sx raggiungiamo le case di Pian San Giacomo (m. 1188), dove questa tappa della Via Alpina termina. Per recuperare l'automobile dobbiamo affidarci ai mezzi pubblici per San Bernardino ed il passo del San Bernardino. Oltre il passo, transitiamo per Hinterrein e Nufenen prima di scendere a Splügen, dove abbiamo parcheggiato l'automobile. |
La Via Alpina (R83) abbandona Valle Spluga attraverso il passo di Baldiscio. Nella sua seconda tappa in questa valle risale da Isola la Val Febbraro e si porta al passo di Baldiscio, da cui poi scende in Mesolcina, al Pian San Giacomo.
Protagonista di questa tappa è la bellissima al Febbraro.
Apri qui una fotomappa del sentiero che risale la Val Febbraro fino al passo di Baldiscio
Il
gran pubblico dei consumatori della televisione, anche in provincia
di Sondrio, probabilmente non aveva mai sentito parlare della Val Febbraro
prima della tragica notte fra il 6 ed il 7 agosto 1999. In quella notte
si scatenò un temporale di grande violenza (e a tal proposito
c’è da osservare che nella tradizione popolare valtellinese
e valchiavennasca è viva la credenza che a San Lorenzo o nei
giorni ad esso prossimi si scateni una burrasca, detta, appunto, burrasca
di San Lorenzo), che fu la causa di una tragedia che costò la
vita a tre giovanissime scout, Martina, di 11 anni, Anna, di 12 anni
e Giulia, di 13 anni, le quali partecipavano ad un campo scout proprio
in Val Febbraro.
Tutti i telegiornali, il 7 agosto, diedero notizia del tragico evento:
il temporale notturno aveva provocato un improvviso ingrossamento del
torrente Febbraro, che aveva travolto le palafitte sulle quali le tre
ragazze avevano posto la tenda nella quale pernottare. Le acque tumultuose
non avevano lasciato loro scampo. Il fatto suscitò grande sensazione
ed emozione in tutta Italia, e da allora una delle più amene
e dolci valli della Valchiavenna fu segnata da una fama sinistra. Fama
immeritata, perché questa valle è uno dei luoghi più
interessanti dell’intera provincia, ed un’escursione che
la percorra ad anello è legata a più di un motivo di interesse,
di natura non solo naturalistica, ma anche storica e culturale.
Punto di partenza per la salita in valle è Isola, nel cuore della
valle del Liro. La raggiungiamo facilmente partendo da Chiavenna e proseguendo
sulla ss. 36 in direzione del passo dello Spluga. Dopo
14 km la Valle del Liro, da aspra ed incombente che era dopo Chiavenna,
si fa più dolce ed aperta, offrendo uno scenario riposante e
suggestivo: siamo a Campodolcino, nota e frequentatissima stazione di
villeggiatura estiva. Da Campodolcino, ignorando la strada a destra
per Pianazzo e Medesimo, imbocchiamo la strada a sinistra, per Isola,
che raggiungiamo dopo 4 km. Il piccolo paese, la cui denominazione deriva
dal fatto che un tempo sorgeva su un terreno circondato da zone paludose,
è preceduto da uno sbarramento artificiale, ed è posto
a 1268 metri, allo sbocco delle gole che chiudono la Valle del Liro
prima del ripiano terminale sul quale è posto Montespluga. Alla
sua sinistra, cioè ad ovest, si apre, invece, proprio la Val
Febbraro.
La salita nella valle inizia proprio da qui, perché la carrozzabile
che vi si addentra per un tratto è chiusa al traffico dei veicoli
non autorizzati. Dopo aver parcheggiato l’automobile, invece di
seguire la strada asfaltata, imbocchiamo il sentierino che parte poco
oltre la quattrocentesca chiesa dei Santi Martino e Giorgio, risalendo,
ripido, alcuni prati, prima di assumere un andamento più dolce.
Siamo sul lato sinistro (per noi) della valle, cioè su quello
meridionale. La salita termina nei pressi del ponte sul torrente Febbraro (m. 1487), che mette in comunicazione i due versanti della valle. Sul
versante opposto al nostro una strada asfaltata, poi sterrata sale ai
maggenghi che coprono il fianco settentrionale della valle, costituito
da un’ampia distesa di prati. Sul nostro versante, quello meridionale,
troviamo, invece, un bivio: una strada prosegue inoltrandosi sul fondovalle
e rimanendo a sinistra (per chi sale) del torrente, mentre una seconda
se ne stacca sulla sinistra e sale, con
ampi tornanti, sul fianco meridionale della valle, verso l’alpe
Frondaglio (m. 1760), dalla quale si può proseguire, in direzione
sud, raggiungendo l’alpe Zocana (m. 2006), ai piedi del Pian dei
Cavalli ed a monte di San Sisto.
Noi dobbiamo percorrere la strada che fiancheggia il torrente, seguendo
le indicazioni per la cascata di Val Febbraro, Borghetto ed il passo
di Baldiscio (termine che deriva da “balteus”, cioè balza, zona scoscesa e ripida). Prima però di incamminarci sulla pista, varchiamo
il ponte per visitare il nucleo di Ca’ Raseri (Ca’ d’I’aser),
che si trova poco distante. Troviamo, qui, infatti, uno dei grandi motivi
di interesse della valle, quello architettonico, Si possono ancora osservare
le baite costruire con la tecnica del “carden”. Si tratta
di una tecnica costruttiva che caratterizza le popolazioni walser, ed
è denominata anche “block-bau”: vi ha un’importanza
decisiva il legno, in quanto le pareti sono, in parte o totalmente,
costituite da travi che si intrecciano e si incastrano negli angoli.
Se, poi, scendiamo un po’ più in basso, lungo la strada
asfaltata, troviamo la Baita Paggi di Canto (m. 1435), studiata in un
capitolo del libro sulle dimore rurali di Valtellina e Valchiavenna
scritto da Aurelio e Dario Benetti. Si tratta, infatti, di un esempio
paradigmatico di abitazione nella quale sono nettamente distinti due
settori, quello nel quale si soggiorna e si dorme e quello in cui si
cucina (negli alpeggi questi due elementi sono talora anche fisicamente
separati, per cui si ha la “cassina”, edificio in cui si
cucina, e il sulée”, edificio in cui si soggiorna e si
dorme).
Apri qui una panoramica su Pian dei Cavalli e Val Febbraro
Vi è da osservare, in conclusione, che queste dimore
erano, fino a metà circa del Novecento, abitate permanentemente,
in quanto la valle ha avuto un notevole rilievo storico ed economico.
Essa fu, fino alla costruzione della strada dello Spluga, nell’Ottocento, una
delle vie di comunicazione più importanti fra la Valle del Liro
e la Mesolcina. Il passo di Baldiscio, infatti, permette un’agevole
transito fra le due valli, sembra fosse assai frequentato addirittura
in età preistoriche.
Un pannello che troviamo appena al di là del ponte (cioè
presso Ca’ Raseri), ci ricorda questo secondo motivo di grande
interesse, informandoci che la Val Febbraro, vallone pensile delimitato
dal pizzo dei Piani, a nord, e dal Pian dei Cavalli, a sud, fu frequentata
da gruppi di cacciatori fin dall’epoca in cui i ghiacci, dopo
l’ultima glaciazione, cominciarono a ritirarsi, cioè circa
10.000 anni fa, in età Mesolitica. A riprova di ciò recenti
ricerche archeologiche hanno, infatti, trovato tracce degli attendamenti
di questi antichissimi cacciatori, tracce che sono le più antiche
della Valchiavenna e fra le più antiche in assoluto nelle Alpi
centrali. Ma di questo avremo modo di parlare soprattutto descrivendo
il Pian dei Cavalli.
Torniamo, ora, sul lato meridionale della valle
e cominciamo a percorrere la pista, che sale con leggera pendenza, correndo
poco distante dal torrente Febbraro. Incontriamo, sulla destra, anche
una radura nella quale un’edicola ricorda, nel luogo della tragedia,
le tre ragazze travolte dalla furia del torrente nell’agosto del
1999. Sempre guardando a destra, ma sul lato opposto della valle, vedremo
la famosa cascata annunciata dal cartello, che scende, impetuosa, dall’aspro
gradino roccioso che caratterizza il fianco della valle.
La pista, dopo aver oltrepassato due ponti in legno, termina in corrispondenza
di un terzo ponte, poco prima che il solco della valle volga leggermente
a sinistra. Dobbiamo,
ora, valicare il ponte (m. 1596) ed imboccare un sentiero che sale,
ripido, nel cuore di una splendida pineta, vincendo il gradino che ci
separa dal circo più alto della valle. La salita è piuttosto
faticosa, ma la bellezza del bosco ne attenua l’asprezza. Alla
fine usciamo dal bosco sul limite inferiore dei prati dell’alpeggio
di Borghetto di Sotto (m. 1897), dove scende terminando una pista sterrata.
In passato questo centro era fra i
più vivaci dell’intera Valchiavenna e la presenza degli
uomini in questi luoghi risale a circa 10.000 anni fa (com’è
testimoniato, fra l’altro, dal ritrovamento di oggetti in pietra
scheggiata), anche se, a quell’epoca, essi non allevavano animali.
I primi “alpigiani”, cioè i primi uomini che conducevano
animali al pascolo, comparvero qui almeno 3000 anni fa, nel periodo
di transizione tra Età del Bronzo ed Età del Ferro, anche
se solo nel Medio Evo l’allevamento animale assunse forme simili
a quelle moderne. Anche oggi, d’estate, l’alpeggio non manca
di una sua vita, e gli alpigiani si intrattengono volentieri con gli
escursionisti, spiegando soprattutto ai “cittadini” come
qui la vita sia priva di comodità, ma più semplice e sana,
e come gli echi delle grandi vicende mondiali giungano qui lontani,
attenuati, quasi irreali. È la sera il momento più difficile,
spiega una contadina, perché è alla sera che ti prende
la malinconia, mentre durante il giorno la vita scorre tranquilla e
serena, come tranquillo e sereno è lo sguardo delle mucche al
pascolo.
Ma è tempo di por fine alla conversazione, perché l’anello
completo della Val Febbraro è piuttosto lungo: riprendendo a
salire sulla pista sterrata, superiamo anche le baite di Borghetto di Sopra, a 1980 metri,
e, lasciata la pista sterrata, proseguiamo sul sentiero, segnalato dalle bandierine rosso-bianco-rosse,
per il passo di Baldiscio, che se ne stacca sulla sinistra. Per
la verità i contadini lo chiamano il sentiero per “il Lac”,
cioè per il lago Grande di Baldiscio, posto appena sotto il passo.
Superato un valloncello, il sentiero taglia alcuni dossi erbosi, correndo
sul filo di un ultimo dosso (il Mot del lago Grande), che precede l’ampia
conca nella quale è posto il lago, annunciato dalle acque del
torrente che è alimentato da esso.
Ci ritroviamo, alla fine, sul lato destro (per noi) del bel lago Grande,
posto a 2302 metri e frequentato anche da alcuni pescatori. La conca
è chiusa, alla nostra sinistra, dal monte Baldiscio (m. 2851)
e, alla nostra destra, dalle propaggini meridionali del pizzo Bianco
(m. 3036). Il carotaggio dei sedimenti (spessi circa 5 metri) sul fondo
del lago ha permesso di scoprire che dopo l’ultimo ritiro dei
ghiacci, avvenuto circa 11.500 anni fa, il clima mutò tanto profondamente
che la fascia del bosco raggiunse la quota del lago, cioè i 2300
metri, per poi tornare a scendere successivamente, fino agli attuali
1900 metri circa.
Oltrepassato il lago, un’ultima breve salita conduce ad una conca
superiore, quella del passo di Baldiscio (m. 2350), preceduto da un
laghetto più piccolo, il laghetto del Mot. Si colloca qui lo
spartiacque fra Valchiavenna e Val Mesolcina, ma non il confine fra
Italia e Svizzera, che è spostato leggermente più ad ovest,
cosicché anche l’ampia conca oltre il passo, detta Serraglia,
è in territorio italiano. Ciò fu deciso nel contesto del
Congresso di Vienna, all’inizio dell’Ottocento, ma suscitò,
ancora agli inizi del Novecento, le proteste del governo elvetico.
Il passo di Baldiscio, chiamato sul versante mesolcinese di "Balniscio", ebbe nei secoli passati una certa importanza locale, legato al fatto che gli alpeggi di Val Febbraro erano di proprietà di Mesolcinesi. Nei secoli XIII e XIV, però, vennero dati in affitto ad Isola e nel 1496 vennero ceduti definitivamente in cambio degli alpeggi di Curciusa, di cui erano proprietari i Chiavennaschi.
Luigi Brasca, nella monografia “Le montagne di Val San Giacomo”, così descrive il passo di Baldiscio: “Il passo del Baldiscio è traversato da un semplice sentiero Isola a San Giacomo di Mesocco: è facilissimo da levante, percorrendo quasi sempre pianori pascolosi; meno facile, o meglio più malagevole verso Mesocco (per la solita quesitone degli strati), dove è anche possibile smarrire la giusta via, in più di un punto, quando si girano i salti rocciosi. …
Il sentiero proveniente dal Baituccio, costeggiando lungo la riva nord il Lago Grande, sale per china erbosa al piccolo Laghetto del Mot; appena oltre questo, a una cinquantina di metri in distanza e a soli 6 o 8 metri in dislivello. Sta la schiena erbosa del Passo Baldiscio, che il sentiero valica un po’ più a sud del punto più depresso (occupato in parte da un fondo di stagno). Qui è indiscutibilmente lo spartiacque Adda-Ticino. Al di là, la china scende più ripida per un 60 metri di dislivello, e si tocca un grande pianoro erboso, nel mezzo paludoso per le acque di un ruscello che scende verso Mesocco dalla costa della Punta dei Tre Spartiacque; e la china del monte a nord e a sud è pure pascolosa per un tratto discreto. Poi la valle si rinserra e il verde è rotto dalle prime rocce, che finiscono col prendere il sopravvento: è fino a questo punto più stretto della Serraglia che si estende la zona che si vuole italiana…
Il lago Grande
I montanari di Isola affermano di essere proprietari di quella zona, che costituisce un terzo dell’alpe Borghetto, ed hanno dalla loro seriissime prove: un atto notarile 7 luglio 1472 a rogito Nasali Pietro, col quale i Mesocchesi danno quel territorio in affitto a quei di Isola; il cambio di proprietà nel 1496; un arbitramento del 1653; le mappe censuarie del 1811, 1852 e seguenti che la segnano appunto di pertinenza dell’alpe Borghetto (la mappa 1811 che ho sott’occhio la segna coi numeri 7600 e 7286); la consuetudine più che centenaria ed indisturbata delle nostre guardie di finanza di rimanere in lungo e in largo in quella zona, cosa convalidata anche dalla carta delle nostre guardie forestali che segna la zona come campo di loro ispezione…; e, cosa ancor più grave e decisiva, il fatto che l’imposta prediale sulla zona stessa viene pagata da quei di Isola al Governo Italiano, e non fu mai reclamata dal Governo Svizzero. Di più, aggiungo io, la vecchia Carta militare austriaca all’86.400 segna indiscutibilmente il confine al di là dello spartiacque, e dà pienamente ragione ai nostri montanari. …
Già varie volte si erano verificati casi di pascolo abusivo a carico dei Mesocchesi; ma quest’anno le cose si fecero serie. Il 26 luglio 1906 la Sovastanza del Comune di Mesocco manda i suoi agenti sul terreno segnato 7600-7286 nella mappa di Isola, a sequestrare i cavalli e le pecore italiane che vi pascolavano. Dopo questa prodezza, i pastori svizzeri varcano il confine e conducono la loro mandria a pascolare nella zona famosa; i pastori italiani se ne accorgono e la sequestrano, il 16 agosto, coll’intervento di tre guardie e di un vice-brigadiere. La faccenda, della quale si occuparono anche i giornali, ha suscitato proteste di quei di Isola, richieste, sopralluoghi, processi. Vedremo come andrà a finire!”
E' andata a finire che nel 2017 la linea di confine è ancora fissata dal bordo della Serraglia.
Discesa dalla Serraglia
Proprio dalla piana della Serraglia inizia la lunga (1150 metri di dislivello) ed un po’ monotona discesa verso Pian San Giacomo, sul fondo della Val Mesolcina. Il sentiero si porta sul lato destro della piana, e lo percorre passando sul lato opposto del pianoro acquitrinoso rispetto alla pozza chiamata Pozza della Serraglia (m. 2293). Raggiungiamo così il cippo di confine n. 15 e ci affacciamo al gradino di soglia della valle. Il sentiero entra in territorio elvetico, resta a destra del torrente, piega leggermente a destra, poi di nuovo a sinistra, superando il torrente e scendendo fra roccette e pietrame. Scendendo verso sud-ovest superiamo una piccola gola e, piegando a destra, passiamo a sinistra di un laghetto. Superiamo di nuovo il torrente e pieghiamo a sinistra (ovest), scendendo verso ovest. Ci affacciamo ad un ripido versante di macereti lungo il quale scendiamo con serrati tornantini. Intorno a quota 1850 pieghiamo a sinistra (sud) e superiamo di nuovo il torrente, passando a sinistra del cocuzzolo di quota 1773. Scendiamo ancora fra boscaglia e roccette, poi ci infiliamo nel Bosch de Brusei.
La Val Mesolcina e Pian San Giacomo
Pieghiamo leggermente a sinistra e tagliamo un dosso, per poi scendere ad attraversare un vallone. Il sentiero piega a destra e scende con molti tornantini verso sud-ovest, un una splendida pecceta, dalla quale usciamo a monte della galleria della strada principale della Mesolcina. La seguiamo verso sinistra, su una stradella che confluisce nella strada ad un tornante dx. Seguendo la strada, dopo il successivo tornante sx raggiungiamo le case di Pian San Giacomo (m. 1188), dove questa tappa della Via Alpina termina.
Ovviamente si pone il problema del recupero dell'automobile. Dobbiamo altrettanto ovviamente affidarci ai mezzi pubblici per San Bernardino ed il passo del San Bernardino. Oltre il passo, transitiamo per Hinterrein e Nufenen prima di scendere a Splügen, dove abbiamo parcheggiato l'automobile.
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