La più grandiosa traversata nel regno del granito di Val Codera e Val Masino
Apri qui una fotomappa della Val
Porcellizzo
APRI QUI UNA MAPPA DEL PERCORSO ELABORATA SULLA BASE DI GOOGLE MAP - Sentiero Roma su YouTube 1, 2, 3, 4, 5
Punti di partenza ed
arrivo
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Tempo necessario
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Dislivello in
altezza
in m. |
Difficoltà
(T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti
esperti)
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Rifugio Brasca-Passo
del Barbacan-Rifugio Gianetti
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5 h e 30 min.
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1300
|
E
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SINTESI.
Procediamo dal rifugio Brasca
verso l'alta Val Codera, ma ben presto, all'alpe
Coeder, lasciamo il sentiero principale
prendendo a destra (segnalazioni del Sentiero Roma
per la valle d'Averta ed il passo del Barbacan). Il
sentiero dapprima risale, con traccia non sempre
evidente ma ben segnalata, un bosco di abeti, sul
versante sinistro idrografico della valle (destro
per chi sale). Usciamo quindi ad una radura, battuta
dalle slavine, per poi rientrare, superato un grande
masso utilizzato anche come ricovero, nella pecceta.
Dopo un secondo prato abbastanza ripido, il sentiero
inizia ad inanellare una lunga sequenza di
tornantini, fino a giungere a ridosso di un roccione
e ad un canalino (località Punt del Valà)
che, grazie a due ponticelli in legno, attraversiamo
da sinistra a destra, passando nei pressi di un
salto roccioso. Dopo una breve salita attraversiamo
una nuova macchia di larici, all'uscita dalla quale
siamo all'alpe Pisci (m. 1636),
dove notiamo un nuovo ricovero ricavato da un grande
masso. Qui attraversiamo da destra a sinistra un
torrentello, riprendendo a salire con rapide
serpentine che ci fanno passare accanto ad un
caratteristico larice secolare dal tronco
particolarmente ritorto. Il sentiero risale un
grande corpo franoso che si riversa nel profondo
vallone d'Averta, fino ad un bivio. Il tratto
"storico" dal bivio all'alpe è, oggi in diversi
tratti interrotto per smottamenti, per cui conviene
non prendere a sinistra ma proseguire diritti (su un
masso troviamo una freccia bianca contornata di
rosso che ci invita a farlo). Saliamo nel bosco che
si dirada gradualmente, fino ad approdare ad un
terreno aperto e, dopo aver attraversato, con
qualche saliscendi, alcuni valloncelli ed aver
risalito una china erbosa, siamo alle bate dell'alpe
Averta (m. 1957). Lasciamo le baite alle
spalle seguendo la traccia segnalata, che piega
leggermente a destra, facendosi sempre meno evidente
in una miriade di rododendri (anche se, seguendo le
abbondanti segnalazioni, non è possibile sbagliare)
e prendendo un andamento est-sud-est. Superata una
ripida e stretta costola di detriti, raggiungiamo un
bel ripiano erboso, la Prada, con
grandi massi ed una sorgente, a quota 2120
metri. Qui siamo ad un bivio e
dobbiamo prestare attenzione (soprattutto in caso di
nebbia) a non seguire la deviazione a destra,
segnalata su un masso, per il Passo dell'Oro, che
porta nella valle omonima. Saliamo, dunque, a vista,
verso sinistra (est-nord-est), fra
detriti, fino ad imboccare il canalone che si
restringe progressivamente in prossimità
dell'intaglio del passo. Con un po' di fatica siamo
così al passo del Barbacan nord-ovest
(m. 2598). La discesa in Val Porcellizzo può
avvenire secondo due diverse direttrici. La maggior
parte degli escursionisti, valicata la stretta porta
del passo, scende per un canalino gemello (la via
classica procede sul fianco di sinistra ed è
all'inizio esposta), canalino che, ripido ed
impegnativo nella prima parte, diventa ben presto
assai più tranquillo. Bisogna prestare però
un'estrema attenzione a non far cadere sassi mobili.
Alla fine intercettiamo il Sentiero Risari e,
procedendo verso sinistra, effettuiamo con qualche
saliscendi la lunga traversata in direzione nord-est
che, salendo leggermente, porta infine al rifugio
Gianetti (m. 2534).
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VISUALIZZA LA PRESENTAZIONE "PASSO DOPO PASSO"
La
seconda giornata comincia all'insegna della fatica: ci si
muove, infatti, dal rifugio Brasca,
salutando lo scenario della parte occidentale della testata
della Val Codera, per affrontare la faticosa salita al passo
del Barbacan nord (o Barbacane, da un termine di origine
persiana che significa "balcone"; bisogna però ricordare che
nel dialetto di Novate Mezzola "barbacàn" significa muro
obliquo di rinforzo ad una struttura muraria, con
particolare riferimento, per antonomasia, ad uno degli
angoli dell'antico Albergo dell'Angelo di Novate, sulla
piazza della chiesa, luogo di ritrovo degli uomini del
paese), lungo la valle dell'Averta (val de la vèrta, dal
dialettale "avert", cioè aperto). Poco oltre il rifugio,
nell'alpe Coeder (cuėdar), si trova il cartello che indica
la deviazione: il sentiero Roma, infatti, si stacca dal
tracciato che prosegue addentrandosi nella media ed alta Val
Codera e conducendo al bivacco Pedroni-Dal Prà, dal quale si
può salire al passo della Trubinasca, per poi scendere al
rifugio Sasc Fourà in Val Bregaglia (presso il rifugio
Brasca si trova una cartina chiara che illustra bene queste
possibilità).
![]() Sentiero per l'alpe Averta |
![]() Sentiero per l'alpe Averta |
![]() Sentiero per l'alpe Averta |
La
salita in valle dell'Averta non concede respiri (tranne
quelli che uno si prende da sé in qualche sosta opportuna).
Guardiamo in alto, in direzione della valle dell’Averta: le
tre cime gemelle, le cime dell’Averta meridionale, centrale
e settentrionale sono ben visibili. Occhieggia anche,
sornione e quasi irridente, alla loro destra, l’affilata
punta della cima del Barbacan (sciöma dò barbacàn, m. 2738),
alla cui sinistra si trova (non visibile da qui) il passo
che dovremo varcare, cioè il passo Barbacan nord.
Il sentiero dapprima risale, con traccia non sempre evidente
ma ben segnalata, un bosco di abeti, sul versante sinistro
idrografico della valle (destro per chi sale). Usciamo
quindi ad una radura, battuta dalle slavine, per poi
rientrare, superato un grande masso utilizzato anche come
ricovero, nella pecceta. Dopo un secondo prato abbastanza
ripido, il sentiero inizia ad inanellare una lunga sequenza
di tornantini, fino a giungere a ridosso di un roccione: qui
si riconoscono ancora i resti dell'antica scalinatura che
aiutava il bestiame nella faticosa salita.
![]() Sentiero per l'alpe Averta |
![]() Alpe Averta |
![]() Alpe Averta e passo Barbacan (a sinistra) e dell'Oro (a destra) |
Accediamo ora ad un canalino (località Punt del Valà) che, grazie a due ponticelli in legno, attraversiamo da sinistra a destra, passando nei pressi di un salto roccioso. Dopo una breve salita attraversiamo una nuova macchia di larici, all'uscita dalla quale siamo all'alpe Pisci (m. 1636), dove notiamo un nuovo ricovero ricavato da un grande masso. Qui attraversiamo da destra a sinistra un torrentello, riprendendo a salire con rapide serpentine che ci fanno passare accanto ad un caratteristico larice secolare dal tronco particolarmente ritorto, denominato Mucètt, cioè mozzicone.
![]() Alpe Averta |
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![]() Valle dell'Averta vista dal passo dell'Oro |
Il
sentiero risale un grande corpo franoso che si riversa nel
profondo vallone d'Averta, fino ad un bivio. Quello che
segue è il racconto "storico" dell'itinerario
tradizionale. Al bivio non dobbiamo proseguire diritti, ma
prendere a sinistra (come suggerisce lo stesso toponimo,
voltà ént, cioè svoltare), imboccando un sentiero che reca i
segni dei violenti temporali estivi. Si apre, in alto, la
testata della valle e si distinguono, da sinistra, i due
passi per i quali si accede rispettivamente alla Val
Porcellizzo (passo del Barbacan, localmente però chiamato
Caürga del Sabbiùm) ed alla Valle dell'Oro (passo dell'Oro,
localmente chiamato Caürga de l’Oor). Siamo ai bordi
dell'alpe e, salendo in diagonale, raggiungiamo, a quota
1957 metri, le baite dell'alpe Averta
(vèrta).
Ma torniamo sui nostri passi: il tratto dal bivio all'alpe
è, infatti, oggi in diversi tratti interrotto per
smottamenti, per cui conviene al bivio proseguire diritti
(su un masso troviamo una freccia bianca contornata di rosso
che ci invita a farlo, mentre un ramo posto di traverso
sulla deviazione a sinistra ci dissuade dall'imboccarla).
Saliamo nel bosco che si dirada gradualmente, fino ad
approdare ad un terreno aperto,
dal quale vediamo già le baite dell'Averta, in alto, alla
nostra sinistra. Le raggiungiamo dopo aver attraversato, con
qualche saliscendi, alcuni valloncelli e dopo aver risalito
una china erbosa.
L'alpeggio è il più alto della valle e deve il suo nome alla
posizione panoramica: è l'unico punto della valle dal quale
si possono vedere i tre maggenghi di fondovalle, Saline,
Piazzo e Beleniga. Venne caricato fino agli anni settanta
del secolo scorso ed è costituito da tre nuclei, la Nàaf,
che abbiamo raggiunto, il Sot al Mut, alla nostra sinistra,
più in basso, e Sur al Mut, più in alto, sopra un poggio,
con una croce infissa in cima ad un masso.
Guardando in alto, alla testata della valle, distinguiamo al
centro il passo dell'Oro, riconoscibile per l'aguzzo
obelisco roccioso della punta Milano sul lato sinistro, ed
il passo dela Barbacan, nostra meta, a sinistra.
Lasciamo, quindi, a sinistra le baite della Nàaf, seguendo
la traccia segnalata, che piega leggermente a destra,
facendosi sempre meno evidente in una miriade di rododendri
(anche se, seguendo le abbondanti segnalazioni, non è
possibile sbagliare) e prendendo un andamento est-sud-est.
Superata una ripida e stretta costola di destriti,
raggiungiamo un bel ripiano erboso, la
Prada, con grandi massi ed una sorgente, a quota
2120 metri. Qui dobbiamo prestare attenzione
(soprattutto in caso di nebbia) a non seguire la deviazione
a destra, segnalata su un masso, per il Passo dell'Oro (Pas
dè l'Or o Caürga de l’Oor), che scende, poi, in Valle
dell'Oro ed al rifugio Omio. Saliamo, dunque, a vista,
verso sinistra (nord-est), fra detriti, fino ad imboccare il
canalone che si restringe progressivamente in prossimità
dell'intaglio del passo. Qui pieghiamo leggermente a destra
(direzione est-nord-est) e proseguiamo nella salita, con
inclinazione media, che avviene dapprima fra grossi blocchi,
poi fra detriti più minuti; nell'ultimo tratto la pendenza
si fa più severa, ed è facile trovare neve anche a stagione
avanzata. Per evitare il pericolo di essere investiti da
pietre scaricate, soprattutto di pomeriggio, dalla grande
frana che si è prodotta sul lato occidentale della cresta
nord della cima del Barbacan, è conveniente tenersi sulla
sinistra, sfruttando alcune facili cengie erbose.
Apri qui una panoramica della Val Porcellizzo dal passo
del Barbacan
A
coronamento della lunga salita, eccoci, finalmente, al passo
del Barbacan settentrionale, posto a 2598 metri:
sono trascorse più di quattro ore (al netto delle soste)
dalla partenza. Dalla sommità del canalino terminale, dove
si trova neve anche a stagione avanzata, si domina l'erto e
sudatissimo percorso effettuato, ma si può gettare un'occhiata
anche su una parte del percorso della prima giornata, cioè
sulla piana della Val Codera, nella quale si distingue
Bresciàdega (o Brasciadega, forse da "brasciadella", cioè
"braccio", unità di misura). Sul passo troviamo, ad
attenderci, un curioso spuntone di roccia. Su un masso, una
freccia bidirezionale bianco-rossa ci rassicura, in caso di
scarsa visibilità: è proprio questa la più agevole porta fra
la Val
Porcellizzo ("val do porscelécc") e la Val Codera.
Ritemprate le forze, ci si può ora disporre alla discesa,
che può avvenire secondo due diverse direttrici.
Il sentiero segnalato prende subito a sinistra, traversando
su breve cengia una paretina esposta, che richiede la
massima attenzione (il tratto non è protetto), per poi
scendere fra roccette ed iniziare un più lungo e tranquillo
traverso che scende ad interccettare il Sentiero Risari.
La maggior parte degli escursionisti, invece, valicata la
stretta porta del passo, scende per un canalino gemello che,
ripido ed impegnativo nella prima parte, diventa ben presto
assai più tranquillo. Bisogna prestare però un'estrema
attenzione a non far cadere sassi mobili, perché il canalino
conduce al frequentatissimo sentiero Risari
(tratto Omio-Gianetti), dove eventuali sassi finirebbero per
scendere ad una velocità pericolosissima.
Apri qui una fotomappa della discesa dal passo di
Barbacan nord-est
Nella seconda parte della discesa, si intercetta una traccia di sentiero che conduce al sentiero Risari, in prossimità di un masso che segnala, con un triangolo rosso, la deviazione per il rifugio Brasca, pochi metri prima che il sentiero, sulla destra, attacchi la costiera del Barbacan, salendo al passo del Barbacan sud-est.
Val Porcellizzo
Ci si
deve però dirigere in direzione opposta, cioè verso
nord-est, alla volta del rifugio Gianetti. Intanto si apre davanti agli occhi
l'imponente testata della Val
Porcellizzo, uno spettacolo davvero unico. la testata
della Val Porcellizzo propone le poco pronunciate cime
d’Averta (meridionale, m. 2733, centrale, m. 2861 e
settentrionale, m. 2947), alla cui destra si eleva il più
massiccio pizzo Porcellizzo (il pèz, m. 3075), seguito dal
passo Porcellizzo (m. 2950), che congiunge la valle omonima
all’alta Val Codera. Ecco, poi, le più celebri cime della
Val Porcellizzo: la punta Torelli (m. 3137) e la punta S.
Anna (m. 3171) precedono il celeberrimo pizzo Badile (badì,
m. 3308), cui fa da vassallo la punta Sertori (m. 3195).
Segue il secondo signore della valle, il pizzo Cengalo
(cìngol, m. 3367). Chiudono la testata i puntuti pizzi
Gemelli (m. 3259 e 3221), il passo di
Bondo (pas da bùnd, m. 3169), che dà sulla Val Bondasca, in
territorio svizzero, ed il pizzo del Ferro occidentale o
cima della Bondasca (m. 3267).
Con questo superbo spettacolo impresso nell’anima, il
cammino riprende. Dopo aver superato, scendendo, uno sperone
roccioso, si giunge ad un grosso masso, presso il quale il
sentiero Risari si congiunge con il sentiero Roma che scende
dal passo del Barbacan nord. Infatti, come già detto, esiste
una seconda possibilità di valicare questo passo, quella
classica e segnalata dalle carte: dal passo si può, infatti,
invece di infilarsi nel canalino, si può prendere a
sinistra, sfruttando inizialmente una cengia esposta (questo
tratto manca di protezione, per cui la cautela deve essere
massima; in caso di pioggia o scarsa visibilità, poi, i
rischi si moltiplicano); si scende, così, verso nord,
seguendo i triangoli rossi, a sinistra rispetto al canalino
che termina al Sentiero Risari.
Questo itinerario, vuoi per la sua maggiore esposizione,
vuoi perché meno visibile ed intuitivo per chi raggiunga il
passo dalla valle dell’Averta, è assai meno battuto. I
triangoli rossi, qui, invitano a badare non tanto
all'incolumità altrui, ma alla propria. La discesa verso
sinistra raggiunge poi luoghi meno pericolosi, cioè i
pascoli più alti, e conduce ad un ampio terrazzo ricoperto
da massi e, talora fino a stagione avanzata, da neve. Per un
tratto si prosegue quasi in parallelo con il Sentiero
Risari, che passa poche decine di metri più in basso, poi,
piegando leggermente a destra, si scende agevolmente ad
intercettarlo, in corrispondenza di un grande masso che
indica la biforcazione dei sentieri, a 2530 metri circa.
A questo
punto si tratta solo di proseguire in direzione del rifugio
Gianetti, godendo dello scenario incomparabile dei pizzi
Badile e Cengalo (dal latino "cingulum", da cui anche "seng"
e "cengia", stretto risalto di roccia). Il tratto compreso
fra il passo ed il rifugio è percorribile in circa un'ora e
mezza. Al rifugio, posto a 2534 metri, ci si può fermare a
pernottare. Si conclude così la seconda giornata di cammino.
Il rifugio
Gianetti venne
costruita, per iniziativa del C.A.I. di Milano, nel 1913,
nei pressi della precedente capanna Badile, la seconda, in
ordine di tempo, della Val
Masino (era stata
costruita nel 1887 e ricostruita nel 192 dopo una valanga),
che restò come sua dipendenza (restaurata nel 1960, divenne
bivacco, intitolato all’alpinista Attilio Piacco).
L’intitolazione rendeva omaggio all’ingegnere Luigi
Gianetti, che aveva contribuito finanziariamente in misura
decisiva all’edificazione. Durante la prima guerra mondiale
fu presidiata da reparti alpini, come punto di appoggio
prezioso nel sistema difensivo voluto dal generale Cadorna,
che temeva un’invasione austro-ungarica dal territorio
svizzero. Durante il secondo conflitto mondiale, invece,
venne utilizzata
come struttura di appoggio da formazioni partigiane; per
questo, durante il sistematico rastrellamento nell'autunno
del 1944, venne bruciata dalle forze nazifasciste.
Riedificata nel 1949 ed ammodernata nel 1994, è una delle
più classiche mete escursionistiche della Val Masino. Alle
spalle del rifugio, nel luogo in cui sorgeva il vecchio
rifugio Badile costruito nel 1887, è collocato il bivacco
Attilio Piacco, costruito nel 1961 e dedicato alla memoria
dell'alpinista caduto nella scalata della Punta Torelli nel
1958.
Da qui appare decisamente vicino il vero signore della
valle, il massiccio Pizzo Badile (badì), circondato dal
Pizzo Cengalo (cìngol, caratterizzato dalla cima nevosa e
tondeggiante - che giustifica l'antico nome di Mot de la Nìf
- e dal prominente spigolo Vinci), a destra, dalla punta S.
Anna, dalla punta Torelli e dalla curiosa formazione
chiamata Dente della Vecchia, a sinistra.
Apri qui una panoramica della Val Porcelizzo vista dal passo Camerozzo
VARIANTE PER IL PASSO DELL'ORO
Punti di partenza ed
arrivo
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Tempo necessario
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Dislivello in
altezza
in m. |
Difficoltà
(T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti
esperti)
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Rifugio Brasca-Passo
dell'Oro-Rifugio Omio
|
5 h
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1230
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E
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SINTESI. Procediamo
dal rifugio Brasca verso l'alta Val
Codera, ma ben presto, all'alpe Coeder,
lasciamo il sentiero principale prendendo a destra
(segnalazioni del Sentiero Roma per la valle d'Averta
ed il passo del Barbacan). Il sentiero dapprima
risale, con traccia non sempre evidente ma ben
segnalata, un bosco di abeti, sul versante sinistro
idrografico della valle (destro per chi sale). Usciamo
quindi ad una radura, battuta dalle slavine, per poi
rientrare, superato un grande masso utilizzato anche
come ricovero, nella pecceta. Dopo un secondo prato
abbastanza ripido, il sentiero inizia ad inanellare
una lunga sequenza di tornantini, fino a giungere a
ridosso di un roccione e ad un canalino (località Punt
del Valà) che, grazie a due ponticelli in
legno, attraversiamo da sinistra a destra, passando
nei pressi di un salto roccioso. Dopo una breve salita
attraversiamo una nuova macchia di larici, all'uscita
dalla quale siamo all'alpe Pisci (m.
1636), dove notiamo un nuovo ricovero ricavato da un
grande masso. Qui attraversiamo da destra a sinistra
un torrentello, riprendendo a salire con rapide
serpentine che ci fanno passare accanto ad un
caratteristico larice secolare dal tronco
particolarmente ritorto. Il sentiero risale un grande
corpo franoso che si riversa nel profondo vallone
d'Averta, fino ad un bivio. Il tratto "storico" dal
bivio all'alpe è, oggi in diversi tratti interrotto
per smottamenti, per cui conviene non prendere a
sinistra ma proseguire diritti (su un masso troviamo
una freccia bianca contornata di rosso che ci invita a
farlo). Saliamo nel bosco che si dirada gradualmente,
fino ad approdare ad un terreno aperto e, dopo aver
attraversato, con qualche saliscendi, alcuni
valloncelli ed aver risalito una china erbosa, siamo
alle bate dell'alpe Averta (m. 1957).
Lasciamo le baite alle spalle seguendo la traccia
segnalata, che piega leggermente a destra, facendosi
sempre meno evidente in una miriade di rododendri
(anche se, seguendo le abbondanti segnalazioni, non è
possibile sbagliare) e prendendo un andamento
est-sud-est. Superata una ripida e stretta costola di
detriti, raggiungiamo un bel ripiano
erboso, la Prada, con grandi massi ed una sorgente, a
quota 2120 metri. Qui siamo ad un
bivio e dobbiamo prestare attenzione
(soprattutto in caso di nebbia) a non seguire il
percorso di sinistra, per il passo del Barbacan, ma la
deviazione a destra, segnalata su un
masso, per il Passo dell'Oro, che porta nella valle
omonima. I segnavia ci guidano nella salita verso
sud-est, che ci porta alla base di un ripido canalino
(dove possiamo trovare neve anche a stagione
inoltrata), per il quale raggiungiamo il passo
dell'Oro (m. 2526). La discesa in Valle
dell'Oro sfrutta un sentiero marcato che perde quota
su un facile versante erboso, si destreggia fra
qualche roccetta e si congiunge con il sentiero
Risari, raggiunto il quale possiamo scegliere se
prendere a destra, scendendo al già ben visibile rifugio
Omio (m. 2100), oppure prendere a sinistra,
attaccare il ripido versante della costiera del
Barbacan (con sentiero attrezzato nel primo tratto),
salire al passo del Barbacan sud-est e scendere in Val
Porcellizzo seguendo una lunga cengia esposta ed
attrezzata, traversando infine trnquillamente al
rifugio Gianetti (m. 2534).
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Segnaliamo, infine, anche un'interessante variante
al percorso illustrato. Se, risalendo la valle dell'Averta,
dal pianoro di quota 2120, con grandi
massi ed una sorgente, seguiamo le indicazioni che portano
al Passo dell'Oro (m. 2526), prendiamo a
destra, superando una conca e salendo a vista sul versante
di detriti, fino a portarci a sinistra dello sperone, in
parte erboso, che scende verso nord-ovest dall'affilata
Punta Milano. Qui ritroviamo le tracce, costeggiamo per un
tratto lo sperone, per poi tagliarlo verso destra e
raggiungere il canalone che sale al passo. Proseguiamo,
dunque, puntando all'evidente sella, su terreno di ganda,
con neve anche a stagione avanzata
nel tratto terminale (attenzione, perché è piuttosto ripido
e dal versante della punta Barbacan, localmente chiamata
Borìs, alla nostra sinistra, non è infrequente la caduta di
massi). Dal passo possiamo, poi scendere agevolmente in Valle
dell'Oro (denominazione
che non si riferisce al nobile metallo, ma alla voce "ör", o
"ora", cioè "orlo", "terrazzo"), seguendo un canalone erboso
ed intercettando, più in basso, il Sentiero
Risari che, percorso verso destra,
raggiunge il rifugio
Omio, dove è possibile pernottare. Il
giorno successivo possiamo, poi, sfruttare il sentiero
Risari (vedi tratto Omio-Gianetti). E' bene ribadire,
infine, che i canalini terminali che conducono al Passo
dell'Oro e a quello del Barbacan nord presentano spesso neve
anche a stagione avanzata, per cui richiedono, per essere
affrontati in sicurezza, attrezzatura adeguata (ramponi e
piccozza). Del resto si tratta di un'attrezzatura che non
deve mancare nell'equipaggiamento di chi affronti il
sentiero Roma.
Il rifugio Omio venne edificato nel 1937 dalla Società
Escursionisti Milanesi ed intitolato alla memoria di Antonio
Omio, una delle sei vittime della tragica ascensione alla
punta Rasica (in Valle di Zocca) del 1935. Una targa
all'ingresso le ricorda tutte: Nella Verga, Antonio Omio,
Giuseppe Marzorati, Pietro Sangiovanni, Mario Del Grande e
Vittorio Guidali. Di tutti si dice: in novissimo die
resurrecturi, cioè destinati a risorgere l'ultimo giorno.
Una targa posta su un masso vicino ricorda, invece, Bongio
Luigi (Buin), scomparso il 2 giugno 1992. L'edificio venne
poi incendiato dalle forze nazifasciste nel 1944, perché
veniva utilizzato come punto di appoggio dalle forze
partigiane, ricostruito nel 1948 e ristrutturato nel 1970 e
nel 1997.
Pizzi Badile e Cengalo
CARTA DEL PERCORSO sulla
base della Swisstopo (CNS, come quelle sopra riportate), che
ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni
toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste)
o puntinata (mulattiere, sentieri).
Apri qui la carta on-line
Mappa del percorso - particolare della carta tavola elaborata da Regione Lombardia e CAI (copyright 2006) e disponibile per il download dal sito di CHARTA ITINERUM - Alpi senza frontiere
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