III sezione, Lombardia Nord - Quarta tappa: dal rifugio Volta o dal biv. Primalpia a Cataeggio, in Val Masino
Apri qui una galleria di immagini - Carta del percorso - Biv. Primalpia-Cataeggio - Rif. Volta-Cataeggio
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TRAVERSATA PRIMALPIA-CATAEGGIO
Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
Biv. Primalpia-Passo di Primalpia-Corte di Cevo-Ceresolo-Cataeggio |
6 h |
580 |
EE |
SINTESI. Dal bivacco Primalpia, a 1980
metri, possiamo scegliere di seguire le indicazioni del sentiero Walter Bonatti, oppure di lasciarle alla nostra destra e di seguire quelle del sentiero LIFE (con tratti meno esposti, ma sconsigliabile in presenza di neve sui versanti). Se scegliamo il sentiero LIFE seguiamo i segnavia
bianco-rossi procediamo lungo il sentiero, abbastanza evidente, che punta ad una
baita solitaria, sul lato opposto dell’alpe, a nord-est rispetto
a noi. Oltre la baita, il sentiero prosegue,
salendo leggermente e puntando ad un crinale che separa l’alpe
dal vallone che dovremo sfruttare per salire al passo di Primalpia.
Raggiunto il crinale erboso, in corrispondenza di un grande ometto, scendiamo, per un breve tratto, sul crinale medesimo, fra erbe e qualche
roccetta, fino ad un masso, sul quale il segnavia, accompagnato dalla
targhetta azzurra con il logo “Life”, indica una svolta
a destra. Dobbiamo, ora, prestare un po’ di attenzione, perché
il sentiero, volgendo decisamente a destra, ci porta ad una breve cengia
esposta, per la quale scendiamo al canalone che adduce al passo. Le
corde fisse ci aiutano nella breve discesa, che sfrutta dapprima uno
stretto corridoio nella roccia, poi una traccia di sentiero esposta.
Con le dovute cautele, eccoci sul fondo del canalone, nel quale scorre
il modesto torrentello alimentato dai laghetti superiori. Seguendo i
segnavia, lo attraversiamo e cominciamo a risalire, sul lato sinistro
(per noi) del canalone, un ampio versante erboso disseminato di massi,
ricongiungendoci con il Sentiero Italia Lombardia nord 3. Oltre la soglia, ci appare il laghetto
di Primalpia o lago del Manzèl (m. 2296), a monte della quale si trova la baita al Lago
(m. 2351). Qui intercettiamo per la seconda volta il sentiero Walter Bonatti, che però di nuovo subito ci lascia, salendo a sinistra, per via più breve, alla bocchetta di Spluga (se siamo in ritardo con il ruolino di marcia ci conviene seguirlo, risparmiando un'ora buona di cammino). Passando a sinistra del laghetto,
puntiamo alla selletta che imtroduce ad una conca di sfasciumi la quale ospita un secondo e
più piccolo laghetto (m. 2389), con un nevaietto che rimane anche
a stagione inoltrata.
Salendo sul fianco destro del canalino terminale, guadagniamo il passo di Primalpia (m. 2476), che si affaccia sull'alta Valle di Spluga. Iniziamo quindi la discesa dell'intera valle di Spluga, ignorando le indicazioni a sinistra per il rifugio Omio. Procediamo quindi diritti, su traccia che, nel primo tratto, è assai scarsamente segnalata e labile. Restiamo sul versante destro
idrografico della valle, con una diagonale che perde quota solo molto
gradualmente, superando qualche valloncello, fino ad intercettare la traccia
segnalata (segnavia rosso-bianco-rossi) che dal passo posto fra valle
di Spluga e val Toate scende al più grande dei laghi della valle di
Spluga. Sebbene la discesa non sia particolarmente problematica, è opportuno
seguire le bandierine rosso-bianco-rosse per superare agevolmente l'ultimo
zoccolo con affioramenti rocciosi, che presenta qualche tratto esposto. Raggiungiamo così sponda sud-orientale del lago di Spluga, passando poi sul lato opposto della valle.
Riprendiamo a scendere, sul lato sinistro della valle, oltrepassando
le casere dell'alpe due laghetti minori. La traccia non è sempre evidente
e le segnalazioni abbondano, ma con un po' di attenzione non ci
si può perdere. Scendiamo così su facili balze alla casera più bassa, posta a 1939 metri, a destra di un grande masso. Oltrepassata
la casera, la discesa diventa più ripida e la traccia più marcata. Dopo
aver attraversato un tratto di bosco, si raggiunge un nuovo ampio prato,
passando molto a sinistra di un'altra casera, per poi rientrare nel bosco
e scendere alle baite diroccate della Corte di Cevo (“cort dè cèf”, m. 1769).
La successiva discesa a Ceresolo (Sceresö, m. 1041) avviene in gran parte nel bosco.
L'ultimo tratto della discesa avviene su una mulattiera ben costruita,
che taglia la forra terminale della valle e raggiunge un ponte posto a
circa 700 metri.
Il
sentiero Italia, però, non passa per il ponte, ma, poco prima che la mulattiera
lo raggiunga, se ne stacca sulla sinistra, compiendo una lunga traversata
dell'aspro e un po' desolato fianco montuoso occidentale della bassa Val
Masino. Qui la traccia è ben visibile e segnalata, ma in diversi punti
molto sporca: si tratta della sezione meno esaltante del sentiero, che,
oltretutto, impone anche l'attraversamento di un corpo franoso ed una
salita di oltre 150 metri. Superato un vallone, si raggiungono infine
le case di Cornolo (“còrnol”), Ca' di Mei e Ca' dei Sandri, per poi scendere a Cataeggio (m. 787) da sud ovest. |
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Il bivacco può essere punto di appoggio per una duplice interessante traversata: al rifugio Volta ed al rifugio Omio, passando per il passo di Primalpia e la bocchetta del Calvo. Il primo tratto del cammino è comune. Vediamo, dunque, come muoverci. Gettato un ultimo colpo d’occhio al circo terminale dell’alta Valle dei Ratti (il panorama è davvero superbo), dobbiamo rimetterci in marcia per raggiungere il passo di Primalpia, seguendo i segnavia bianco-rossi lungo il sentiero, abbastanza evidente, che punta ad una baita solitaria, sul lato opposto dell’alpe, a nord-est rispetto a noi. In realtà la solitudine dell’alpe è apparente più che reale: d’estate viene ancora caricata, per cui probabilmente ci sentirà di ascoltare il rallegrante scampanio delle mucche, e magari anche il meno rallegrante abbaiare del cane da pastore (chissà perché questi animali considerano gli escursionisti dei nemici mortali dei capi di bestiame che hanno imparato a sorvegliare: nel loro immaginario, probabilmente, costoro ritemprano le forze divorandosi innocenti vitelli rapiti alla loro mandria). In breve, eccoci alla baita, che ospita gli alpeggiatori, sempre disposti a scambiare qualche parola con questi curiosi umani itineranti, e ad offrire preziose indicazioni. Oltre la baita, il sentiero prosegue, salendo leggermente e puntando ad un crinale che separa l’alpe dal vallone che dovremo sfruttare per salire al passo di Primalpia.
Raggiunto il crinale erboso, in corrispondenza di un grande ometto, si apre, di fronte ai nostri occhi, di nuovo, più vicino, l’ampio scenario dei pascoli dell’alpe Talamucca. Riconosciamo anche, facilmente, il rifugio Volta, che è l’ultimo edificio, a sinistra, nel circo dell’alta valle. Purché la giornata di buona, o almeno discreta.
Purtroppo la Valle di Ratti, per la sua vicinanza al lago di Como, è spesso percorsa da correnti umide, che generano nebbie anche dense, le quali ne velano la bellezza davvero unica. Se, quindi, potremo godere di una giornata limpida, consideriamoci fortunati. Scendiamo, ora, per un breve tratto sul crinale, fra erbe e qualche roccetta, fino ad un masso, sul quale il segnavia, accompagnato dalla targhetta azzurra con il logo “Life”, indica una svolta a destra. Dobbiamo, ora, prestare un po’ di attenzione, perché il sentiero, volgendo decisamente a destra, ci porta ad una breve cengia esposta, per la quale scendiamo al canalone che adduce al passo. Le corde fisse ci aiutano nella breve discesa, che sfrutta dapprima uno stretto corridoio nella roccia, poi una traccia di sentiero esposta. Con le dovute cautele, eccoci sul fondo del canalone, nel quale scorre il modesto torrentello alimentato dai laghetti superiori. Qui le due traversate si separano.
Il Lago del Marzèl
Per raggiungere il rifugio Volta, dobbiamo portarci sul lato destro del largo vallone, dove troviamo un sentierino, scarsamente marcato, che discende un versante morenico fino ad intercettare il sentiero che sale dal lato opposto della Valle dei Ratti (cioè da Frasnedo). Qui prendiamo a destra e, procedendo come sopra descritto (presentazione dell’itinerario Frasnedo-Volta), raggiungiamo la sommità del Mot e traversiamo, infine, al rifugio. Se, invece, vogliamo effettuare la più lunga traversata al rifugio Omio (ricalcando la terza tappa del Sentiero Life delle Alpi Retiche), procediamo così. Giunti alla base del canalino attrezzato con corde fisse, attraversiamo il torrente e cominciamo a risalire, sul lato sinistro (per noi) del canalone, un ampio versante erboso disseminato di massi, ricongiungendoci con il Sentiero Italia Lombardia nord 3. Il passo sembra lì, a pochi minuti di cammino. Ma, come spesso accade in questi casi, quel che ci sembra un valico è in realtà solo la soglia di un gradino superiore. La delusione della scoperta, però, dura ben poco, perché, oltre la soglia, ci appare, piccola perla di immenso valore, il laghetto di Primalpia (etimologicamente, la prima fra le alpi, l'alpe per eccellenzam. 2296), a monte della quale si trova la baita al Lago (m. 2351). Ecco uno di quegli angoli di montagna solitaria e silenziosa che, da soli, ripagano di ogni fatica. Passando a sinistra del laghetto, puntiamo alla selletta che ci sembra essere, finalmente, il passo agognato. Ed invece, per la seconda volta, raggiunta la selletta siamo alle soglie di un ultimo gradino, una conca di sfasciumi che ospita un secondo e più piccolo laghetto (m. 2389), con un nevaietto che rimane anche a stagioneinoltrata.
Il passo, questa volta, è davvero davanti a noi: qualche ultimo sforzo e, salendo sul fianco destro del canalino terminale, eccoci, finalmente, al passo di Primalpia (pàs de primàlpia, m. 2476). Un passo che regala un’emozione intensa, perché apre un nuovo, vasto ed inaspettato orizzonte: davanti a noi, in primo piano, l’alta Valle di Spluga, ma poi, oltre, un ampio scorcio della piana della media Valtellina, incorniciato, sulla sinistra, dai Corni Bruciati (protagonisti dell’ultima giornata del Sentiero Life), sul fondo dal gruppo dell’Adamello e, sulla destra, dalla catena orobica, che mostra le sue più alte vette della sezione mediana.
L'incrocio fra il sentiero Bonatti
ed i sentieri LIFE/Italia al lago del Marzel
Valeva davvero la pena di giungere, almeno una volta nella vita, fin qui: ecco un pensiero che non potremo trattenere. Qui, di nuovo, Sentiero Life e Sentiero Italia Lombardia nord 3 si separano: il secondo, infatti, effettua la lunga discesa della Valle di Spluga, passando per i suoi splendidi laghetti (dal passo si vedono solo quelli più piccoli, inferiori, mentre restanascosto il più grande lago superiore, il “läch gränt”).
Inizia ora una lunga discesa, di circa 1700 metri di dislivello, lungo la Valle di Spluga. Una valle che rivela un volto selvaggio, legato ai suoi scenari ed alla sua difficile accessibilità (anche qui l'automobile non può oltrepassare i 700 metri di Cevo, il paesino da cui parte la mulattiera che risale la valle).
Alta Valle di Spluga
Se si ha un po' di tempo, vale la pena di fare una puntata alla bocchetta di Spluga, posto più a nord: basta seguire le indicazioni per la capanna Volta o del sentiero Life, tagliando, poco sotto il passo, a sinistra ed aggirando uno sperone roccioso. La visuale che da questo secondo passo si ha sulla valle di Spluga e l'alto Lario è molto più ampia e suggestiva.
Apri qui una fotomappa della discesa dalla Valle di Spluga
Terminata la diversione, si torna al passo di Primalpia e si inizia una
discesa che, nel primo tratto, è assai scarsamente segnalata ed avviene
su una traccia di sentiero molto labile. Si rimane sul versante destro
idrografico della valle, con una diagonale che perde quota solo molto
gradualmente, superando qualche valloncello, fino ad intercettare la traccia
segnalata (segnavia rosso-bianco-rossi) che dal passo posto fra valle
di Spluga e val Toate scende al più grande dei laghi della valle di
Spluga. Sebbene la discesa non sia particolarmente problematica, è opportuno
seguire le bandierine rosso-bianco-rosse per superare agevolmente l'ultimo
zoccolo con affioramenti rocciosi, che presenta qualche tratto esposto.
Il più grande dei laghetti dell'alta valle di Spluga è una piccola perla,
incastonata fra il pianoro (piuttosto accidentato) terminale della valle
ed il monte Spluga (o cima del Calvo -sciöma del munt Splüga-, m.2967), che rappresenta la maggiore
elevazione nella testata della valle.
Raggiunta la sua sponda sud-orientale, ci si deve concedere una sosta
per ammirarne la bellezza, prima di passare sul lato opposto della valle.
Un ulteriore motivo di interesse è rappresentato dal fatto che non vi
sono altri laghi, nell'intera Val Masino, oltre a questo ed a quello più
piccolo di Scermendone. Dal lago sono ben visibili i passi di Primalpia
e Talamucca (peraltro visibilissimi anche da buona parte del piano della
media Valtellina, nel tratto da Sondrio ad Ardenno: basta alzare gli occhi
verso nord ovest per individuare le forme regolari della cima del Desenigo
e, alla sua destra, le due evidenti selle dei passi.
Apri qui una fotomappa dei sentieri dell'alta Valle di Spluga
Sostando possiamo approfondire la nostra conoscenza di questo lago bellissimo, misterioso, sorprendente: si dice che raggiunga una profondità massima di 40 metri. Leggiamo, dunque, le annotazioni del dott. Paolo Pero, professore di storia naturale nel Liceo Ginnasio "G. Piazzi" di Sondrio, contenute nell'operetta "I laghi alpini valtellinesi" (Padova, 1894): "Una roccia eminentemente cristallina, che s'innalza in una serie di vette dirupate, chiude le limpidissime acque del lago Spluga. Il quale è collocato alla estremità superiore della Valle di questo nome, aperta nel versante destro della Val Masino. in cui sbocca, di poco a N. del paesello di Cevo. Ha forma rotondeggiante, alquanto allungata e diretta da N. O. a S. E. Verso S. O. s'innalza il monte Spluga (2844 m.), ed a N. O la cima del Calvo (2955 m.), che si continua poi con numerose creste verso E. fino al pizzo di Merdarola (2376 m.).
Lago di Spluga
I contrafforti di questi monti, che si continuano poi coi
monti coi versanti della Valle Spluga, s'innalzano nella estremità
superiore di questa, in vari cocuzzoli, assai arrotondati, e chiudono
a S.E. e a E. l'ameno lago in discorso, il quale, pertanto, si può
dire, per la sua origine, orografico. La mancanza quasi totale di detriti,
in questa specie da altipiano, permette di dedurre non solo l'origine
del lago, ma di studiare eziandia l'assetto della roccia in posto. Essa
mostrasi in ampi strati, che s'innalzano quasi perpendicolari all'orizzonte,
essendo lievemente inclinati verso S. e diretti da E. ad O. E' costituita
essenzialmente di gneis cristallino molto compatto, assai povero di
mica, con grandi cristalli di feldspato, ora spesseggianti in grandi
vene, che corrono parallelamente a' piani di stratificazione, ora più
radi, ma assai grossi, sparsi porfiricamente nella massa gneissica.
Grandi vene di quarzite bianca attraversano pure sinuosamente ed in
ogni direzione gli strati della roccia: profondi litoclasti dividono
pur questa in grossi massi, che precipitano dall'alto a testimonianza
del continuo lavoro delle forze meteoriche e del tempo edace. Per la
posizione sopra descritta il lago non ha lunghi affluenti, ma pochi
ruscelletti, di cui due sono i principali, che sboccano nel lago a N.
e ad O. e gli portano le gelide acque provenienti dalla fusione delle
nevi, le quali, pressoché persistenti, rivestono le pendici dei
monti che coronano la Valle di Spluga e specialmente il versante N.
E. del monte di questo nome. Una porzione di questi affluenti scorre
nascosta fra le abbondanti frane che rivestono il piede dei monti accennati.
A S. E. s'apre un piccolo emissario, fra un'ampia dilacerazione della
roccia in posto, che mantiene il medesimo aspetto di quello dei monti
sopra nominati. Quest'apertura è sbarrata in parte da massi disposti
caoticamente, fra i quali scorre l'emissario, che rimane solo in parte
visibile all'esterno. Esso infatti poco più lungi dal lago è
aumentato e scorre spumeggiante nella stretta apertura formatasi nella
roccia. Il poco e grossolano detrito non vale quindi a precludere propriamente
il corso dell'emissario, onde le acque sono principalmente trattenute
dalla roccia in posto, e però l'origine che sopra attribuimmo
al lago. I due affluenti portano necessariamente abbondante detrito
al bacino lacustre, sicché esso mostrasi colle sponde di N. e
di O. assai poco inclinate, mentre è assai ripida quella di E.
la quale si continua, quasi perpendicolarmente, col cocuzzolo
roccioso che s'innalza da questa parte. Qui infatti ha luogo la maggior
profondità che, per quanto ho potuto verificare, raggiunge fino
i 40 metri.
Il lago di Spluga
Il letto del lago è formato di sostanza sabbiosa,
talora di ghiajetta; solo in un piccolo seno verso N. E. diventa sensibilmente
melmoso e quasi paludoso. Le acque sono notevolmente trasparenti, sicché
lasciano scorgere per un ampio tratto il fondo, ove esso non prende
tosto rapida inclinazione, e mostrano un colore azzurro pallido, secondo
il numero II. della scala Forel. Le carte topografiche dell'Istituto
Militare riportano l'altitudine di 2141 m. e l'Ispettore Cetti vi attribuisce
la superficie di 42.000 mq. Io lo visitai il giorno 29 giugno 1893 ed
alle ore 11 ant. trovai che le acque presso l'emissario avevano
la temperatura di 7,5 gradi centigradi, mentre l'esterna era di 17,
con cielo sereno e l'aria calma."
Per illustrare meglio le caratteristiche di questo lago e dell'ambiente che lo ospita riportiamo anche le informazioni che ci vengono offerte dal bel volume "Laghi alpini di Valtellina e Valchiavenna", di Riccardo De Bernardi, Ivan Fassin, Rosario Mosello ed Enrico Pelucchi, edito dal CAI, sez. di Sondrio, nel 1993:
“Con il Lago Scermendone, ancor meno inserito nell'ambiente della Val Masino, si tratta in pratica del solo lago della Valle, noto regno del granito. A proposito della quale può parere singolare questa assenza di laghi, mentre ha abbondanza di acque, largamente note dalle numerose cascate, spesso a catena, sui torrenti che scendono dalle valli minori sospese. Ma è probabile che la natura stessa della roccia, il granito «ghiandone», molto sgretolabile da un lato, alla piccola scala, e viceversa impervio ed erto nelle grandi linee orografiche, non abbia facilitato la formazione - o forse la sopravvivenza - di laghetti neanche nei circhi glaciali, per lo più molto svasati ed erosi profondamente dai torrenti sul fondo. Questo bel laghetto, dunque, situato a 2160 m, in cima alla valle omonima, gode di una situazione di quasi unicità, e anche di isolamento, considerate le difficoltà dell'accesso. La valle infatti si presenta ertissima, oltre che defilata dai percorsi turistici usuali, pressoché intatta da interventi edilizi e del tutto da interventi di viabilità non pedonale...
Il lago di Spluga
Il lungo accesso (dai 700 m ca. di Cevo sono quasi 1500 m di dislivello, superabili in non meno di 4 ore da escursionisti «normali») si presenta però come un viaggio interessante nel passato agro-pastorale del territorio valtellinese. Si può ripassare tutta la vicenda della colonizzazione delle aspre pendici montane per strapparvi spazi al prato e al pascolo: una colonizzazione che si è sviluppata nel tempo e si è poi stabilizzata nello spazio su diversi piani altimetrici. Così si percorre una bellissima strada selciata (con piccole opere murarie di protezione e passaggi eccezionali) fino al maggengo di Ceresolo, poi il sentiero si fa assai più ripido adducendo ai prati di monte di Corte del Dosso (con deviazioni per altri prati) e infine alla Casera Spluga, il principale alpeggio e alle altre cascine sparse sull'altopiano superiore, dove il tracciato si fa finalmente meno ripido. Superato un bel lariceto, solo rocce e piccoli spazi a pascolo accompagnano al lago, che risulta una meta ben meritata!
A proposito del nome, comune peraltro al monte adiacente e a tutta la valle, si può ricordare che - di derivazione latina o prelatina - significa in ogni caso grotta (spelonca, anfratto).”
Riprendiamo il cammino, dunque, sul lato sinistro della valle, oltrepassando
le casere dell'alpe (che d'estate viene ancora caricata, come, del resto,
l'alpe Talamucca) e due laghetti minori. La traccia non è sempre evidente
e le segnalazioni non sovrabbondano, ma con un po' di attenzione non ci
si può perdere (diversa è però la situazione in caso di foschia molto
bassa, ma questa è un'insidia comune a quasi tutti gli itinerari escursionistici
oltre una certa quota). Lo scenario dell'alta valle
è sempre molto suggestivo, soprattutto nel suo lato sinistro, chiuso dalla
costiera che la separa dalla valle Merdarola. Se si dovesse perdere la
traccia, molto labile in questo tratto, si può prendere come punto di
riferimento la più bassa delle casere ("casén") al di sopra del limite boschivo,
ben visibile e posta a 1939 metri, a destra di un grande masso. Oltrepassata
la casera, la discesa diventa più ripida e la traccia più marcata. Dopo
aver attraversato un tratto di bosco, si raggiunge un nuovo ampio prato,
passando molto a sinistra di un'altra casera, per poi rientrare nel bosco
e scendere alle baite diroccate della Corte di Cevo (“cort dè cèf”, m. 1769).
La successiva discesa a Ceresolo (Sceresö, m. 1041) avviene in gran parte nel bosco,
il che, d'estate, permette di difendersi dalla calura, che non fa sconti
agli escursionisti affaticati. La bassa valle di Spluga diventa sempre
meno suggestiva ed offre molti segni che testimoniano gli effetti dell'abbandono
della montagna da parte dell'uomo. Salvo poi trovare altri segni che indicano
un ritorno di interesse economico: si sta, infatti, costruendo un bacino
artificiale per una piccola centrale idroelettrica.
L'ultimo tratto della discesa avviene su una mulattiera ben costruita,
che taglia la forra terminale della valle e raggiunge un ponte posto a
circa 700 metri. Vale la pena di oltrepassarlo, per raggiungere il vicino
paesino di Cevo e scambiare qualche impressione con la gente del posto,
scendendo poi, lungo la strada, alle cascate del Ponte del Baffo, spettacolo
che certo risentirà della costruzione dell'invaso.
Il
sentiero Italia, però, non passa per il ponte, ma, poco prima che la mulattiera
lo raggiunga, se ne stacca sulla sinistra, compiendo una lunga traversata
dell'aspro e un po' desolato fianco montuoso occidentale della bassa Val
Masino. Qui la traccia è ben visibile e segnalata, ma in diversi punti
molto sporca: si tratta della sezione meno esaltante del sentiero, che,
oltretutto, impone anche l'attraversamento di un corpo franoso ed una
salita di oltre 150 metri. Superato un vallone, si raggiungono infine
le case di Cornolo (“còrnol”), Ca' di Mei e Ca' dei Sandri, per poi scendere a Cataeggio (m. 787) da sud ovest. Qui, o nella vicina Filorera (m. 841, vedi immagine),
si può comodamente pernottare.
Questa tappa comporta un dislivello complessivo, in salita, di circa 650
metri, e tempi medi che si aggirano intorno alle 6 ore, sempre, ovviamente,
al netto delle soste. Consiglio però vivamente di prolungarla di un paio
d'ore, salendo, lungo la strada, al pianoro fra Filorera e San Martino
(m. 923), almeno fino alle prede, cioè ai grandi massi caduti, in qualche
mitico e remoto tempo di lotte fra giganti, dalla laterale valle di Preda.
La più grande di queste prede è la celeberrima Preda di Remenno, detta
anche Sasso Remenno (m. 943), che è anche il più grande monolito d'Europa
ed una frequentatissima palestra di roccia.
Se invece si è troppo stanchi, si potranno comunque osservare da Filorera
l'affilata cima del Cavalcorto, forse il simbolo più rappresentativo della Val Masino, e, alla sua destra, gli eleganti pizzi del Ferro (sciöma dò fèr), testata
della valle omonima (se qualche vostro amico sta percorrendo la terza tappa del sentiero Roma, può darsi
che stia passando proprio di lì...).
Cataeggio incorniciata dai pizzi del Ferro
Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
Biv. Primalpia-Passo di Primalpia-Corte di Cevo-Ceresolo-Cataeggio |
6 h |
670 |
E |
SINTESI. Dal rifugio Volta (m. 2212) ridiscendiamo verso la media Valle dei Ratti seguendo il medesimo sentiero di salita. Traversiamo quindi in leggera discesa verso le baite dell'alpe Talamucca e proseguiamo verso sud, scendendo alla sommità del Mot (m.2074). Sempre seguendo il sentiero segnalato scendiamo più decisamente con diversi tornantini lungo il fianco orientale del Mot, a lato di una valletta, fino ad un bivio segnalato. Ignoriamo il sentiero di destra che prosegue nella discesa della Valle dei Ratti e prendiamo a sinistra (est-sud-est), iniziando a salire lungo un ripido vallone di pietrame e strisce di pascolo. Dopo circa un quarto d'ora intercettiamo la traccia di sentiero che traversa fin qui dal bivacco Primalpia, e procediamo come sopra descritto, cioè continuiamo nella salita del canalone, passando per il lago di Manzèl e terminando la salita al passo di Primalpia (m. 2476). Iniziamo quindi la discesa dell'intera valle di Spluga, ignorando le indicazioni a sinistra per il rifugio Omio. Procediamo quindi diritti, su traccia che, nel primo tratto, è assai scarsamente segnalata e labile. Restiamo sul versante destro
idrografico della valle, con una diagonale che perde quota solo molto
gradualmente, superando qualche valloncello, fino ad intercettare la traccia
segnalata (segnavia rosso-bianco-rossi) che dal passo posto fra valle
di Spluga e val Toate scende al più grande dei laghi della valle di
Spluga. Sebbene la discesa non sia particolarmente problematica, è opportuno
seguire le bandierine rosso-bianco-rosse per superare agevolmente l'ultimo
zoccolo con affioramenti rocciosi, che presenta qualche tratto esposto. Raggiungiamo così sponda sud-orientale del lago di Spluga, passando poi sul lato opposto della valle. Riprendiamo a scendere, sul lato sinistro della valle, oltrepassando
le casere dell'alpe due laghetti minori. La traccia non è sempre evidente
e le segnalazioni abbondano, ma con un po' di attenzione non ci
si può perdere. Scendiamo così su facili balze alla casera più bassa, posta a 1939 metri, a destra di un grande masso. Oltrepassata
la casera, la discesa diventa più ripida e la traccia più marcata. Dopo
aver attraversato un tratto di bosco, si raggiunge un nuovo ampio prato,
passando molto a sinistra di un'altra casera, per poi rientrare nel bosco
e scendere alle baite diroccate della Corte di Cevo (“cort dè cèf”, m. 1769).
La successiva discesa a Ceresolo (Sceresö, m. 1041) avviene in gran parte nel bosco. L'ultimo tratto della discesa avviene su una mulattiera ben costruita,
che taglia la forra terminale della valle e raggiunge un ponte posto a
circa 700 metri.
Il
sentiero Italia, però, non passa per il ponte, ma, poco prima che la mulattiera
lo raggiunga, se ne stacca sulla sinistra, compiendo una lunga traversata
dell'aspro e un po' desolato fianco montuoso occidentale della bassa Val
Masino. Qui la traccia è ben visibile e segnalata, ma in diversi punti
molto sporca: si tratta della sezione meno esaltante del sentiero, che,
oltretutto, impone anche l'attraversamento di un corpo franoso ed una
salita di oltre 150 metri. Superato un vallone, si raggiungono infine
le case di Cornolo (“còrnol”), Ca' di Mei e Ca' dei Sandri, per poi scendere a Cataeggio (m. 787) da sud ovest. |
Apri qui una fotomappa dell'alta Valle dei Ratti
Il
primo tratto di questa quarta giornata ci impone di tornare sui propri
passi rispetto al cammino del giorno precedente: scendiamo, infatti, dal rifugio Volta al Mot e da questo al vallone risalito il giorno prima,
senza però percorrerlo fino in fondo: seguendo le segnalazioni, infatti,
tagliamo, ad una quota approssimativa di 1950 metri, verso est (sinistra),
per risalire un canalone che si fa sempre più stretto e conduce al passo
di Primalpia (m. 2476).
I segnavia sono piuttosto scarsi, ma non si può sbagliare. Il sentiero
non si porta al centro del canalone, dal quale scende un torrentello,
ma rimane sul fianco di pascoli e massi che ne costituisce il lato sinistro
(per chi sale). Ad esso si congiunge, da destra, il Sentiero Life delle
alpi Retiche, che proviene dal bivacco Primalpia, scende nel canalone
sfruttando un passaggio attrezzato che supera il fianco roccioso alla
nostra destra (lo distinguiamo, guardando a destra) e sale fino ad intercettare
il Sentiero Italia.
Cogliamo,
dunque, l'occasione per raccontare come si ginge fin qui partendo dal bivacco Primalpia.
Seguendo
i segnavia bianco-rossi, lasciamo il bivacco, seguendo un sentiero, abbastanza
evidente, che punta ad una baita solitaria, sul lato opposto dell’alpe,
a nord-est rispetto a noi. Attenzione a non seguire le indicazioni del Sentiero Walter Bonatti (che più avanti intercettiamo e che prende a destra salendo). In realtà la solitudine dell’alpe
è apparente più che reale: d’estate viene ancora caricata,
per cui probabilmente ci sentirà di ascoltare il rallegrante scampanio
delle mucche, e magari anche il meno rallegrante abbaiare del cane da
pastore (chissà perché questi animali considerano gli escursionisti
dei nemici mortali dei capi di bestiame che hanno imparato a sorvegliare:
nel loro immaginario, probabilmente, costoro ritemprano le forze divorandosi
innocenti vitelli rapiti alla loro mandria).
Il Lago del Marzèl
In breve, eccoci alla baita, che ospita gli alpeggiatori, sempre disposti
a scambiare qualche parola con questi curiosi umani itineranti,
e ad offrire preziose indicazioni. Oltre la baita, il sentiero prosegue,
salendo leggermente e puntando ad un crinale che separa l’alpe dal
vallone che dovremo sfruttare per salire al passo di Primalpia. Raggiunto
il crinale erboso, in corrispondenza
di un grande ometto, si apre, di fronte ai nostri occhi, di nuovo, più
vicino, l’ampio scenario dei pascoli dell’alpe Talamucca.
Riconosciamo anche, facilmente, il rifugio Volta, che è l’ultimo
edificio, a sinistra, nel circo dell’alta valle. Purché la
giornata di buona, o almeno discreta. Purtroppo la Valle di Ratti, per
la sua vicinanza al lago di Como, è spesso percorsa da correnti
umide, che generano nebbie anche dense, le quali ne velano la bellezza
davvero unica. Se, quindi, potremo godere di una giornata limpida, consideriamoci
fortunati.
Scendiamo,
ora, per un breve tratto sul crinale, fra erbe e qualche roccetta, fino
ad un masso, sul quale il segnavia, accompagnato dalla targhetta azzurra
con il logo “Life”, indica una svolta a destra. Dobbiamo,
ora, prestare un po’ di attenzione, perché il sentiero, volgendo
decisamente a destra, ci porta ad una breve cengia esposta, per la quale
scendiamo al canalone che adduce al passo. Le corde fisse ci aiutano nella
breve discesa, che sfrutta dapprima uno stretto corridoio
nella roccia, poi una traccia di sentiero esposta. Con le dovute cautele,
eccoci sul fondo del canalone, nel quale scorre il modesto torrentello
alimentato dai laghetti superiori. Seguendo i segnavia, lo attraversiamo
e cominciamo a risalire, sul lato sinistro (per noi) del canalone, un
ampio versante erboso disseminato di massi, ricongiungendoci con il Sentiero
Italia Lombardia nord 3.
L'incrocio fra il sentiero Bonatti
ed i sentieri LIFE/Italia al lago del Marzel
Giunti qui dal rifugio Volta o dal bivacco Primalpia, proseguiamo alla
volta del passo, che sembra lì, a pochi minuti di cammino.
Ma, come spesso accade in questi casi, quel che ci sembra un valico è
in realtà solo la soglia di un gradino superiore. La delusione
della scoperta, però, dura ben poco, perché, oltre la soglia,
ci appare, piccola perla di immenso valore, il laghetto di Primalpia o del Manzèl (m.
2296), a monte della quale si trova la baita al Lago (m. 2351). Ecco uno
di quegli angoli di montagna solitaria e silenziosa che, da soli, ripagano
di ogni fatica. Qui ritroviamo per un tratto le indicazioni del Sentiero Walter Bonatti, che però subito ci lascia salendo alla nostra sinistra, al passo o bocchetta di Spluga. Passando a sinistra del laghetto, puntiamo alla selletta
che ci sembra essere, finalmente, il passo agognato. Ed invece, per la
seconda volta, raggiunta la selletta siamo alle soglie di un ultimo gradino,
una conca di sfasciumi che ospita un secondo e più piccolo laghetto
(m. 2389), con un nevaietto che rimane anche a stagione inoltrata.
Il passo, questa volta, è davvero davanti a noi: qualche ultimo
sforzo e, salendo sul fianco destro del canalino terminale, eccoci, finalmente,
al passo di Primalpia (m. 2476). Un passo che regala un’emozione
intensa, perché apre un nuovo, vasto ed inaspettato orizzonte:
davanti a noi, in primo piano, l’alta valle di Spluga, ma poi, oltre,
un ampio scorcio della piana della media Valtellina, incorniciato, sulla
sinistra, dai Corni Bruciati, sul fondo dal
gruppo dell’Adamello e, sulla destra, dalla catena orobica, che
mostra le sue più alte vette della sezione mediana. Valeva davvero
la pena di giungere, almeno una volta nella vita, fin qui: ecco un pensiero
che non potremo trattenere. Qui, di nuovo, Sentiero Life e Sentiero Italia
Lombardia nord 3 si separano:
il secondo, infatti, effettua la lunga discesa della Valle di Spluga,
passando per i suoi splendidi laghetti (dal passo si vedono solo quelli
più piccoli, inferiori, mentre resta nascosto il più grande
lago superiore, il “läch gränt”), mentre il Sentiero Life, invece, rimane in quota, effettuando
una traversata dell’alta Valle di Spluga che, passando per il passo
gemello della bocchetta di Spluga, sale al passo del Calvo.
Inizia ora una lunga discesa, di circa 1700 metri di dislivello, lungo
la Valle di Spluga. Una valle che rivela un volto selvaggio, legato ai
suoi scenari ed alla sua difficile accessibilità (anche qui l'automobile
non può oltrepassare i 700 metri di Cevo, il paesino da cui parte la mulattiera
che risale la valle). Se si ha un po' di tempo, vale la pena di fare una
puntata alla bocchetta di Spluga, posto più a nord: basta seguire le indicazioni
per la capanna Volta o del sentiero Life, tagliando, poco sotto il passo,
a sinistra ed aggirando uno sperone roccioso. La visuale che da questo
secondo passo si ha sulla valle di Spluga e l'alto Lario è molto più ampia
e suggestiva.
Apri qui una fotomappa della discesa dalla Valle di Spluga
Terminata la diversione, si torna al passo di Primalpia e si inizia una
discesa che, nel primo tratto, è assai scarsamente segnalata ed avviene
su una traccia di sentiero molto labile. Si rimane sul versante destro
idrografico della valle, con una diagonale che perde quota solo molto
gradualmente, superando qualche valloncello, fino ad intercettare la traccia
segnalata (segnavia rosso-bianco-rossi) che dal passo posto fra valle
di Spluga e val Toate scende al più grande dei laghi della valle di
Spluga. Sebbene la discesa non sia particolarmente problematica, è opportuno
seguire le bandierine rosso-bianco-rosse per superare agevolmente l'ultimo
zoccolo con affioramenti rocciosi, che presenta qualche tratto esposto.
Il più grande dei laghetti dell'alta valle di Spluga è una piccola perla,
incastonata fra il pianoro (piuttosto accidentato) terminale della valle
ed il monte Spluga (o cima del Calvo -sciöma del munt Splüga-, m.2967), che rappresenta la maggiore
elevazione nella testata della valle.
Raggiunta la sua sponda sud-orientale, ci si deve concedere una sosta
per ammirarne la bellezza, prima di passare sul lato opposto della valle.
Un ulteriore motivo di interesse è rappresentato dal fatto che non vi
sono altri laghi, nell'intera Val Masino, oltre a questo ed a quello più
piccolo di Scermendone. Dal lago sono ben visibili i passi di Primalpia
e Talamucca (peraltro visibilissimi anche da buona parte del piano della
media Valtellina, nel tratto da Sondrio ad Ardenno: basta alzare gli occhi
verso nord ovest per individuare le forme regolari della cima del Desenigo
e, alla sua destra, le due evidenti selle dei passi.
Apri qui una fotomappa dei sentieri dell'alta Valle di Spluga
Si riprende a scendere, dunque, sul lato sinistro della valle, oltrepassando
le casere dell'alpe (che d'estate viene ancora caricata, come, del resto,
l'alpe Talamucca) e due laghetti minori. La traccia non è sempre evidente
e le segnalazioni non sovrabbondano, ma con un po' di attenzione non ci
si può perdere (diversa è però la situazione in caso di foschia molto
bassa, ma questa è un'insidia comune a quasi tutti gli itinerari escursionistici
oltre una certa quota). Lo scenario dell'alta valle
è sempre molto suggestivo, soprattutto nel suo lato sinistro, chiuso dalla
costiera che la separa dalla valle Merdarola. Se si dovesse perdere la
traccia, molto labile in questo tratto, si può prendere come punto di
riferimento la più bassa delle casere ("casén") al di sopra del limite boschivo,
ben visibile e posta a 1939 metri, a destra di un grande masso. Oltrepassata
la casera, la discesa diventa più ripida e la traccia più marcata. Dopo
aver attraversato un tratto di bosco, si raggiunge un nuovo ampio prato,
passando molto a sinistra di un'altra casera, per poi rientrare nel bosco
e scendere alle baite diroccate della Corte di Cevo (“cort dè cèf”, m. 1769).
La successiva discesa a Ceresolo (Sceresö, m. 1041) avviene in gran parte nel bosco,
il che, d'estate, permette di difendersi dalla calura, che non fa sconti
agli escursionisti affaticati. La bassa valle di Spluga diventa sempre
meno suggestiva ed offre molti segni che testimoniano gli effetti dell'abbandono
della montagna da parte dell'uomo. Salvo poi trovare altri segni che indicano
un ritorno di interesse economico: si sta, infatti, costruendo un bacino
artificiale per una piccola centrale idroelettrica.
L'ultimo tratto della discesa avviene su una mulattiera ben costruita,
che taglia la forra terminale della valle e raggiunge un ponte posto a
circa 700 metri. Vale la pena di oltrepassarlo, per raggiungere il vicino
paesino di Cevo e scambiare qualche impressione con la gente del posto,
scendendo poi, lungo la strada, alle cascate del Ponte del Baffo, spettacolo
che certo risentirà della costruzione dell'invaso.
Il
sentiero Italia, però, non passa per il ponte, ma, poco prima che la mulattiera
lo raggiunga, se ne stacca sulla sinistra, compiendo una lunga traversata
dell'aspro e un po' desolato fianco montuoso occidentale della bassa Val
Masino. Qui la traccia è ben visibile e segnalata, ma in diversi punti
molto sporca: si tratta della sezione meno esaltante del sentiero, che,
oltretutto, impone anche l'attraversamento di un corpo franoso ed una
salita di oltre 150 metri. Superato un vallone, si raggiungono infine
le case di Cornolo (“còrnol”), Ca' di Mei e Ca' dei Sandri, per poi scendere a Cataeggio (m. 787) da sud ovest. Qui, o nella vicina Filorera (m. 841, vedi immagine),
si può comodamente pernottare.
Questa tappa comporta un dislivello complessivo, in salita, di circa 650
metri, e tempi medi che si aggirano intorno alle 6 ore, sempre, ovviamente,
al netto delle soste. Consiglio però vivamente di prolungarla di un paio
d'ore, salendo, lungo la strada, al pianoro fra Filorera e San Martino
(m. 923), almeno fino alle prede, cioè ai grandi massi caduti, in qualche
mitico e remoto tempo di lotte fra giganti, dalla laterale valle di Preda.
La più grande di queste prede è la celeberrima Preda di Remenno, detta
anche Sasso Remenno (m. 943), che è anche il più grande monolito d'Europa
ed una frequentatissima palestra di roccia.
Se invece si è troppo stanchi, si potranno comunque osservare da Filorera
l'affilata cima del Cavalcorto, forse il simbolo più rappresentativo della Val Masino, e, alla sua destra, gli eleganti pizzi del Ferro (sciöma dò fèr), testata
della valle omonima (se qualche vostro amico sta percorrendo la terza tappa del sentiero Roma, può darsi
che stia passando proprio di lì...).
Cataeggio incorniciata dai pizzi del Ferro
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