III sezione, Lombardia Nord - Seconda tappa: Codera a Frasnedo
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Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
Codera-Cii-Tracciolino-Casten-Frasnedo |
5 h |
750 |
E |
Codera-Cii-TracciolinoCola-San Giorgio di Cola-Casten-Frasnedo |
7 h |
900 |
E |
SINTESI. A Codera (m. 825), dove si trovano i rifugi Risorgimento ed Osteria Alpina, passiamo in mezzo alle antiche baite e ad una serie di cartelli lasciamo il Sentiero Roma per scendere a destra al ponte sul torrente Codera. Sul lato opposto rvoaimo un sentiero che prende a destra ed in breve porta al ponte sul torrente Ladrogno, dopo il quale il sentiero sale a Cii (m. 851) e prosegue nel bosco fino ad intercettare il Tracciolino (m. 910), che seguiamo verso destra, superando la Val Grande. Troviamo poi una dopia deviazione: un sentiero sale a sinistra verso Cola, un secondo scende a destra verso San Giorgio. Dopo un'eventuale visita al nucleo di Cola, vale la pena di scendere a destra sul sentiero che si porta al vallone di Revelaso e riprende sul lato opposto con un passaggio esposto (attenzione), per poi traversare tranquillamente verso ovest-sud-ovest, fino a San Giorgio di Cola (m. 749). Qui ci portiamo al lavatoio e volgiamo a sinistra, salendo a monte del paese. Passiamo così accanto al cimitero e proseguiamo su un senterino che sale diritto ad est e torna ad intercettare il Tracciolino. Lo seguiamo verso destra giungendo ad una serie di gallerie scavate nella roccia. L'ultima è lunga 300 metri ed alla sua uscita il Tracciolino è molto più largo. Una
serie di curve e qualche ponte ci permette di superare alcuni valloncelli,
mentre comincia ad aprirsi qualche scorcio sulla val dei Ratti, annunciata. Alla fine, la casa dei guardiani della diga di Moledana in
valle dei Ratti annuncia che la meta è vicina: dopo circa otto chilometri di cammino (ma l’intero tracciolino supera i dodici
chilometri), intercettiamo la bella mulattiera che sale da Verceia a Frasnedo. |
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Dal
punto di vista dell’altimetria e dello sviluppo, la seconda tappa
del Sentiero Life, da Codera a Frasnedo, è analoga alla prima.
Dal punto di vista dell’impegno complessivo, invece, la si deve
considerare più dura, sia per la maggiore altezza media, sia
per la natura del terreno nel quale si articola.
Prima di raccontarla, però, qualche ultimo pensiero su Codera,
un paese che ha saputo conservare la sua identità, anche se dell’intensa
vita contadina del passato (si pensi che a metà del Seicento
vivevano stabilmente qui circa 400 persone) è rimasta solo una
modesta, ma tenace traccia.
È il pensiero che ci accompagna mentre lasciamo le sue case,
per iniziare, con questa seconda tappa, una traversata per molti aspetti
unica, quella che conduce dalla Val Codera (da "cotaria" e quindi da "cote", cioè masso) alla Valle dei Ratti, traversata
che, nel primo tratto, sfrutta un sentiero che attraversa valloni e
dirupi, mantenendosi costantemente su una quota di poco superiore ai
900 metri. Si tratta del Tracciolino (o trecciolino), incredibile tracciato
scavato, negli anni Trenta del secolo scorso, in gran parte nella viva
roccia, fra dirupi di impressionante vertigine ed ardite gallerie. Esso
aveva la finalità di congiungere, mediante un trenino a scartamento
ridotto, le opere idroelettriche della Valle dei Ratti e della Val Codera.
Il tracciato, con oltre 12 km di sviluppo, congiunge, infatti, la diga
della Val Codera, sopra Codera, con la diga Sondel di Moledana (dalla voce milanese "moeula", mola), in Valle
dei Ratti.
Partiamo, dunque, da Codera. Poco oltre l'Osteria Alpina, proseguendo verso l'interno della valle, sulla destra, troviamo un bivio: prendendo a destra (segnalazioni per San Giorgio ed il Sentiero Life delle Alpi Retiche) scendiamo, con pochi tornanti, al ponte sul torrente Codera (Punt de la Muta, m. 769), piccolo capolavoro
d’ingegneria, sospeso su quaranta metri di vuoto. Subito dopo
il ponte si incontra un bivio al quale si procede diritti (ignorando la deviazione di sinistra che sale nel bosco), raggiungendo ben
presto l’impressionante forra terminale della val Ladrogno Val Mala), valicata
da un secondo e non meno ardito ponte, il Punt de la Val Mala (m. 765), anch'esso costruito in pietra nel Settecento
Il Punt de la Val Mala
Proseguiamo diritti ignorando una deviazione a sinistra (si tratta del sentiero che sale in Val Ladrogno ed al bivacco Casorate Sempione) e passiamo poi accanto ad un grande castagno che protende i suoi rami sul sentiero. Non è un castagno qualsiasi, ma è “l’èrbul di mort”, il castagno dei morti, perché le sue castagne venivano vendute per offrire il ricavato ai defunti. Portar via quelle castagne per sé era considerato quasi un sacrilegio. Superati un tratto fangoso e due vallecole, passiamo accanto alla croce collocata in memoria di Attilio Colzada (Tìlu), uno degli ultimi abitanti di Cii e posatore di lastre di pietra, che morì scivolando dal sentiero proprio in questo punto mentre tornava a casa da Codera. Proseguendo nel bosco di castagni dopo un ultimo strappo usciamo ai prati di Cii (m. 851), e precisamente al primo dei suoi quattro nuclei, Cà di Piatt.
Cii
Si tratta di uno dei più singolari nuclei della Val Chiavenna, l’unico della Val Codera a non avere neppure un fazzoletto di prato in piano. Per quanto piccolo, è diviso in quattro nuclei. Ci accolgono una fontana ed uno splendido colpo d’occhio sul lago di Mezzola e l’alto Lario.
Nella già citata statistica del Prefetto Scelsi del 1866 a Cii risultavano residenti 49 persone (26 maschi e 23 femmine), in 9 famiglie. Le case complessive erano 14, 9 abitate e 5 vuote.
Il lago di Mezzola visto da Cii
Oltre Cii, il sentiero prosegue nella salita, con traccia meno evidente,
ma non lo si può perdere: alla fine si congiunge con il Tracciolino,
che, con un tracciato pungo più di dieci chilometri, spesso intagliato
nella viva roccia, unisce la Val Codera alla Val dei Ratti, partendo
dalla presa d’acqua della Sondel poco sopra Codera e raggiungendo
la diga di Moledana, sotto Càsten.
Il Tracciolino valica il vallone della Val Grande (Val di Curbiùm), entrando poi in un
bel bosco, sul grande dosso di Cola (voce dialettale che significa colle, vetta). Superato l'edificio usato come mensa per gli operai che lavorarono al Tracciolino, vediamo, sulla sinistra (scritta "Cola" in bianco su fondo rosso, segnavia rosso-bianco-rossi), la partenza del sentiero che conduce a Cola (m. 1018). Se possiamo mettere in conto un'oretta in più di cammino, vale la pena di lasciare temporaneamente il Tracciolino per salire all’abitato di Cola, dove, eccezion fatta per i mesi estivi, il silenzio è rotto
solo dallo scampanìo delle capre. Il dosso termina alle pendici
rocciose che salgono alla punta Redescala (m. 2304), che nasconde il
Sasso Manduino.
Baite di Cola
Una manciata di baite ben curate, la piccola graziosa chiesetta dedicata a S. Antonio Abate ed alla Visitazione, due belle fontane con ampie vasche ricavate da grandi blocchi di granito (quella sotto la chiesa è chiamata "Pisa di Sant"), un'ampia fascia di prati dominio incontrastato delle capre, con un maestoso faggio solitario come nume tutelare, un panorama eccellente sul lago di Mezzola e l'alto Lario, qualche arnia con le api che producono un eccellente miele di montagna, tutto questo è Cola. D'estate si anima delle voci dei villeggianti che vi ritrovano le radici più profonde, poi, per molti mesi, regna un silenzio che non è malinconia, ma respiro profondo di un tempo che qui accenna appena a scorrere.
Diversa la situazione nei tempi passati, quando Cola era, insieme a San Giorgio (o Cola Inferiore) uno dei cinque cantoni del comune denominato, dal secolo XII al XVI, Lezzeno superiore, successivamente Novate (i cinque cantoni erano Novate, Codera, Cola con San Giorgio, Campo e Verceia con la Valle dei Ratti). Ogni cantone del comune gestiva autonomamente la propria economia tramite un consiglio. I parroci erano eletti autonomamente dai cantoni e ricevevano solo successivamente il placet del vescovo di Como. Nella già citata statistica del Prefetto Scelsi del 1866 a Cii risultavano residenti 10 persone (4 maschi e 6 femmine), in 2 famiglie. Le case complessive erano 13, 2 abitate e 11 vuote.
La chiesetta di S. Antonio a Cola
La chiesetta appare dimessa, ma riveste più di un motivo di interesse. Decorata nel 1674 grazie ai contributi degli emigranti di Roma, ha una sola navata ed ospita affreschi del celebre pittore G.B. Macolino il giovane, con scene della vita di Gesù e santi. Le due campane che oggi sono mestamente appoggiate sul campaniletto appena accennato non sono meno interessanti. Una, in particolare, è la più antica della Valchiavenna e risale al secolo XV, come attesta la scritta "Battista Cuanta Comensis 1486".
Lago di Mezzola ed alto Lario visti da Cola
Torniamo
poi al Tracciolino. Possiamo ora decidere per un eventuale secondo fuori-programma, la visita a San Giorgio di Cola. In tal caso, invece di seguirlo verso sinistra (ma possiamo anche farlo, attraversando il Vallone di Ladrogno e sfruttando più avanti la deviazione segnalata sulla destra per San Giorgio: si tratta di una variante anche più sicura) imbocchiamo il sentiero che parte subito sul lato opposto e segnalato da segnavia rosso-bianco-rossi. Passiamo così accanto ad una cappelletta e scendiamo per
quasi duecento metri nel cuore impressionante dell’ombroso vallone
di Revelaso (o Revelasco: da "rava", dirupo), una sorta di Purgatorio da cui si riemergiamo, sul lato
opposto del vallone, superando un tratto di sentiero esposto e non protetto
(attenzione, dunque). La risalita porta, in breve tempo, dopo un tratto con qualche saliscendi (non soffermarsi per pericolo di caduta pietre) al bellissimo
abitato di San Giorgio di Cola (voce dialettale che significa "colle", "vetta", m. 748), paese di cavatori di granito, gentile e sorprendente isola
bucolica in un mare di forre e precipizi.
Dopo aver ricordato che al paesino possiamo giungere anche per via più tranquilla, anche se un po' più lunga, cioè procedendo sul Tracciolino ed imboccando il facile sentiero che scende a destra dopo il Vallone di Revelaso, cerchiamo di sapere qualcosa di più di questo luogo straordinario.
Nel 1866, qualche anno dopo l’unità d’Italia, il prefetto Scelsi curò la redazione di un’ampia statistica della provincia di Sondrio, dalla quale risultava che nelle 26 case di San Giorgio (di cui 9 vuote) abitavano 17 famiglie e 69 persone (31 maschi e 38 femmine), 45 celibi, 20 coniugate e 4 vedove. Una piccola comunità alacre, legata all’attività estrattive del granito. Nel comune di Novate, infatti, erano allora attive 4 cave di granito, il celebre sanfedelino, a grana molto compatta, di color grigio latteo, apprezzatissimo per costruzioni e pavimentazioni.
San Giorgio di Cola
Retrocedendo nel tempo, San Giorgio nei secoli passati era, con Cola, uno dei cinque cantoni del comune denominato, dal secolo XII al XVI, Lezzeno superiore, successivamente Novate (i cinque cantoni erano Novate, Codera, Cola con San Giorgio, Campo e Verceia con la Valle dei Ratti). Ogni cantone del comune gestiva autonomamente la propria economia tramite un consiglio. I parroci erano eletti autonomamente dai cantoni e ricevevano solo successivamente il placet del vescovo di Como.
L’avvento del III millennio ha visto la popolazione permanente di San Giorgio ridotta a 3 abitanti. Oggi il piccolo museo di San Giorgio conserva alcuni dei segni di questo importante passato.
Apri qui una panoramica di San Giorgio di Cola
Questi luoghi, come testimonia un avello
celtico nei pressi del cimitero, hanno visto da tempo assai antico la
mano operosa dell’uomo. Una leggenda vuole che questo avello, insieme ad un altro simile, abbia ospitato la salma di un comandante spagnolo, in servizio al Forte di Fuentes (edificato nel 1603), morti per la malaria che infestava il Pian di Spagna (la leggenda è riportata nel volume di Giambattista Gianoli "Dizionario storico delle valli dell'Adda e del Mera", Tipografia Commerciale Valtellinese, Sondrio, 1945, pg. 59).
Un'altra leggende è legata alla denominazione del paese, che si dovrebbe alla reale presenza di San Giorgio, il grande santo che sconfisse un terribile drago e che negli ultimi anni scelse di vivere proprio qui, con il suo fidatissimo cavallo. Lo proverebbe, fra l'altro, l'orma impressa da quest'ultimo su un masso, quando spiccò, con il santo in sella, un prodigioso balzo fin sul versante opposto della valle, ad Avedée, dove si fermò per abbeverarsi. Una variante vuole che il santo, subito dopo la faticosa uccisione del drago, sia venuto a dissetarsi all'acqua di uno dei due avelli di origine forse celtica che sono uno dei motivi che rendono famoso questo borgo. Dopo la sua morte, sarebbe, quindi, stato sepolto nel cimitero del borgo, luogo davvero unico, con una cappella ricavata sotto un enorme blocco di granito.
Chiesetta di San Giorgio
La magia di questo pugno di baite e della chiesetta già dedicata ai santi Giorgio ed Eufemia (oggi dedicata ai Sacri Cuori di Gesù e Maria), manufatti tutti rigorosamente in granito, è difficilmente esprimibile.
Gli stipiti di granito sull’ingresso delle case recano incise le iniziali dei proprietari, ma ce n’è uno nel quale è incisa la tavola del gioco della tria (conosciuta anche con il nome di tris o mulinello – in tedesco mühlenrett ), uno dei più diffusi in tutto il mondo, assai conosciuto perché riportato sul retro di gran parte delle scacchiere (si tratta di un reticolo costituito da tre quadrati concentrici collegati da una croce inscritta, nel quale si inseriscono i pezzi con lo scopo di allinearne tre per eliminare un pezzo avversario).
La chiesetta conserva tratti romanici nell'abside semicircolare con lesene esterne, anche se fu interamente rifatta nel 1778 e decorata nel 1852 e nel 1901 (il campanile venne aggiunto nel 1880). Alle spalle della sua piazza ombreggiata da grandi platani, segnaliamo la fontana e l'adiacente cappelletta fatta costruire dal parroco di Cola, don Ghiggioli, nel 1855, per scongiurare la minaccia del colera, che in quegli anni mieteva non poche vittime in Val Chiavenna. Nella cappelletta viene raffigurata la Beata Vergine Maria Immacolata e si legge: "A gloria di Dio Trino e Uno, di Maria SS e dei Santi, i Colesi apprestando i materiali con amore, d. Gius. Maria Chiggioli parroco di Cola a sue spese fece edificare e dipingere la presente opera, dominando il colera morbo in Chiavenna, l'anno 1855". La vasca, scavata in un grande blocci di granito, è datata 1849.
Cappelletta a San Giorgio di Cola
Fra le curiosità di questo straordinario borgo si può ricordare anche la presenza di vigneti la cui uva viene raccolta a fine ottobre.
Ma per scovare i luoghi più suggestivi dobbiamo salire per breve tratto lungo il sentiero che, alle spalle della cappelletta, si dirige verso monte per intercettare a quota 920 metri circa la lunga striscia del Tracciolino. Una breve salita appena oltre il paese ci porta accanto al già citato masso-avello, a destra del sentiero, lungo 2 metri e largo circa 50 centimetri. Nel masso è scavato l'incavo destinato ad accogliere la salma, poi coperta da una lastra di granito andata perduta. Un canalino assicurava lo scolo dell'acqua piovana. Misteriose le sue origini. Secondo alcuni risale all'epoca pre-romana (Barelli e Buzzetti) o romana (Giussani e Magni), anche se è probabile che si debba all'opera di popolazioni locali, estranee alla cultura romana. Secondo altri, invece, risalirebbe all'età medievale. L'immaginazione popolare vuole infine che nell'avello sia stato custodito il corpo di San Giorgio.
Masso-avello di San Giorgio di Cola
Se proseguiamo nella salita siamo subito al cimitero di San Giorgio, unico e davvero indimenticabile: al suo interno un enorme blocco di granito aggettante, che sembra la visibilizzazione della lotta di tutto ciò che sussiste contro lo strapotere beffardo del tempo, funge da cappelletta. Un po' più in alto ancora, infine, si trova un secondo masso-avello. Il breve ripiano del cimitero si chiamava anticamente "Mòta". Il parroco di Cola Martino della Pietra vi scoprì, nel 1798, varie ampolle, lucernetti ed olle con ceneri e bicchierini. Per questo chiamò il luogo "Cimitero dei pagani" (ma entrò nell'uso anche l'espressione "Sagràa di Pagàn"), supponendo che si trattasse di oggetti dedicati al culto pagano in epoca precedente all'arrivo dei cristianesimo fra questi monti. Purtroppo questi reperti sono andati smarriti.
Non così per uno "scyphus" (vasetto in pietra ollare lavorato al tornio) scoperto nel 1900 dallo storico chiavennasco don Pietro Buzzetti, che lo lasciò in dono alla Biblioteca capitolare laurenziana di Chiavenna.
Cimitero di San Giorgio di Cola
Nella seconda edizione della "Guida alla Valtellina" curata per il CAI di Sondrio da Fabio Besta (1886), si legge in proposito: "A pochi passi dal camposanto, sulla cima di due enormi massi sono scavati dei sepolcri, che il Barella e altri giudicano etruschi. Non molto lungi, là dove si dice la Motta, vicino alla chiesa, vi ha un antico sepolcreto che i contadini del luogo chiamano tuttora Sagrà di pagan (Sagtato dei pagani). Ivi nel 1798 dal curato di Cola, Martino della Pietra, furono rinvenuti diversi avanzi di sepolcri, ampolle, anelli e altri oggetti; probabilmente anche ora, scavando, si farebbero nuove scoperte."
San Giorgio di Cola
Riprendiamo, dalle case alte del paese, il cammino e, seguendo le indicazioni,
incamminiamoci sul sentiero che riporta al Tracciolino, passando appunto a lato del citato cimitero. Superati il cimitero
ed un bel bosco di betulle, intercettiamo di nuovo il Tracciolino, che
dobbiamo percorrere
verso
destra, in direzione della Val dei Ratti, raggiungendo ben presto ad una
serie di gallerie che permettono di superare valloni e strapiombi impressionanti.
Qui si capisce cosa sia l'aspetto orrido della montagna: pareti granitiche
incombono sopra la testa e talora sembrano voler inghiottire l'inerme
escursionista, mentre sotto si aprono voragini paurose. Eppure il sentiero
sembra dipanarsi sicuro, ed è sempre abbastanza largo e protetto, tanto
da infondere sicurezza. Si badi comunque, in alcuni tratti, ai sassi che
potrebbero cadere dall'alto. Sarebbe buona cosa munirsi di un casco (ed
anche di una torcia, perché la più lunga delle gallerie misura circa trecento
metri). Poi,
proprio al termine della galleria più lunga (dove è necessaria
una torcia per procedere in sicurezza), lo scenario si ingentilisce un
po' e, seguendo i binari e facendo attenzione ai carrelli che potrebbero
percorrerli, ci si avvia rasserenati alla casa dei guardiani che precede
di poco la fine del Tracciolino. Non lo si segue però fino alla fine,
ma lo si lascia, verso sinistra, quando si intercetta il sentiero che
da Verceia sale verso Frasnedo. la quota è sempre quella: poco
più di 900 metri.
Ci vuole ancora poco più di mezzora di cammino prima di concludere questa
tappa.
Dopo un primo breve tratto di salita, si raggiunge l'abitato di Càsten (m. 975), dove si comincia a scorgere parte della testata della Val dei
Ratti, e precisamente la Cima del Desenigo. Il sentiero passa appena a
valle delle baite di Casten (o Casctan, come reca scritto un cartello,
che definisce il piccolo nucleo, con un respiro davvero ampio, frazione
d'Europa). Accanto a questo cartello ve n'è un altro, dell'Associazione
Nazionale Partigiani Italiani, che riassume l'itinerario percorso dalla
55sima brigata Fratelli Rosselli nell'inverno del 1994 per passare da Introbio in Valsassina a Bondo in Svizzera, passando in alta Val Codera per la bocchetta della Teggiola. Essi passarono in Val Gerola,
scesero a guadare l'Adda, risalirono per la Costiera dei Cech e passarono in Val dei Ratti e da qui in Val Codera.
Poco più in alto, sulla sinistra del sentiero, si incontra un bel
trogolo ("böi", con voce dialettale, cioè piccola
vasca in pietra che raccoglie l'acqua per il bestiame) che risale al XVI
secolo. Salendo ancora, ecco una bella cappelletta, dova una Madonna con
un sorriso appena accennato ed un Bambino meditabondo riproducono fattezze
che sicuramente rimandano più a questa terra di montagna che alla
lontana terra di Palestina. La cappelletta è posta sul ciglio dell'impressionante
forra della valle (che però, dal sentiero, si intuisce, più
che vedere). Ora il panorama si allarga: vediamo un primo scorcio dell'alta
valle e, sulla sinistra, scorgiamo la meta, Frasnedo.
Ignorata la deviazione, sulla destra, per Moledana e Corveggia, si incontra
una nuova vasca di raccolta dell'acqua, questa volta in cemento, prima
di superare un passaggio nel quale la mulattiera corre a fianco della
nuda roccia.
Frasnedo
Poi, ecco il limite inferiore dei prati di Frasnedo. Dopo
gli ultimi tornantini, una seconda cappelletta ed una nuova Madonna con
Bambino accolgono il viandante. Passando fra le baite, si possono osservare
un portale settecentesco ed una piccola edicola che ospita una statuetta
di S. Barbara, protrettrice della Valle
dei Ratti. Il paese di Frasnedo (m. 1287) è uno dei pochi, ormai,
rimasti nella condizione di non poter essere raggiunti se non da una marcia
di un'ora e mezza dal punto più alto raggiungibile, da Verceia,
con l'automobile (m. 700 circa).
Non si deve pensare, però, che sia un paese deserto, o malinconicamente
abitato solo da persone amanti della solitudine: d'estate si anima di
gente cordiale, ma anche orgogliosa delle proprie radici e diffidente
rispetto ad ogni ipotesi di più facile accessibilità della valle.
In alto, in posizione dominante, troviamo la chiesetta dedicata alla Madonna
della Neve: nella festa estiva a lei dedicata si svolge una solenne celebrazione
seguita da una festosa processione, accompagnata dal suono dispiegato
delle campane della chiesetta. Sopra il portale una scritta ricorda che
l'edificio sacro fu eretto nel 1686; a lato, i santi Abbondio e Rocco,
dipinti nel 1906 da Martino Svanella.
Frasnedo
Il colpo d'occhio, dal sagrato della chiesa, raggiunge un breve scorcio
dell'alto Lario, oltre lo stretto intaglio della bassa valle. In alto,
sulla destra, a monte di Frasnedo, l'appuntita cima del monte di Frasnedo
(m. 1993), ad ovest della quale si colloca quella forcella di Frasnedo
per la quale passa il Sentiero Life delle Alpi Retiche, che poi scende
a Frasnedo, giungendo anch'esso proprio qui, alla chiesetta della Madonna
della Neve.
Il pernottamento si effettua presso il rifugio Frasnedo, aperto, il 10 maggio 2010. Per informazioni si possono chiamare Elda 3336266504, Martin 331 9714350, Livio 338 4469448, l'ufficio comunale di Verceia tel./fax. 0343 39503
(sempre per acquisire informazioni: info@rifugiofrasnedo.it;
sito web: www.rifugiofrasnedo.it).
Rifugio Frasnedo
Il rifugio si trova all'uscita del paese, vicino al punto di arrivo della teleferica
che lo serve; si tratta dell'ex-edificio dello spaccio. Qui si può attendere
la sera, godendo, se la giornata è limpida, di un'ottima visuale sull'alto
Lario e preparando, nella propria immaginazione, la terza tappa.
Se volete saperne di più, aprite la presentazione della terza tappa, tratto che porta da Frasnedo al rifugio Volta.
Ah, volete sapere quanto ci si può mettere a percorrere questa seconda
tappa? Difficile dirlo. Il dislivello complessivo non è certo proibitivo,
e si aggira intorno ai 750 metri. Lo sviluppo in lunghezza è però notevole.
Cinque ore complessive, al netto delle soste, possono essere un tempo
medio attendibile.
Frasnedo
Ricordiamo, infine, che è anche possibile salire direttamente a Frasnedo da Verceia: una strada-pista sterrata ha raggiunto al momento la Motta (m. 850 circa). La pista agro-silvo-pastorale è chiusa al traffico dei veicoli non autorizzati, ma è possibile acquistare il permesso di transito giornaliero nei bar Val di Ratt, Pinki, Milky, Circolo "Al Sert"; presso gli uffici Comunali (tel. 0343 44137; www.comune.verceia.so.it) è possibile anche acquistare un permesso annuale. Dalla pista (destinata a proseguire verso Frasnedo) si imbocca la mulattiera che, tagliato il Tracciolino, si affaccia alla media Valle dei Ratti e porta, infine, a Frasnedo (tempo di percorrenza: un'ora e mezza circa).
Verceia
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