Il rifugio Marinelli-Bombardieri al Bernina è il più conosciuto della Valmalenco, ed uno dei più conosciuti nel territorio della provincia di Sondrio. Di proprietà del CAI di Sondrio, fu costruito nel 1880. Il suo nome originario era rifugio Scerscen ma, dopo la morte del suo ideatore, Damiano Marinelli, nel 1882 venne intitolato a lui. Nel tempo fu soggetto a numerosi ampliamenti (1906, 1915, 1917, 1925 e 1938), finché, dopo la seconda guerra mondiale, per impulso di Luigi Bombardieri venne raddoppiato. Alla morte del Marinelli, in seguito alla tragica caduta dell’elicottero che lo trasportava nel 1957, il suo nome venne aggiunto nell’intitolazione del rifugio, che ebbe come custode Cesare Folatti.
Per informazioni su apertura e prenotazioni si può consultare il sito www.rifugiomarinellibombardieri.it/ o telefonare alla Guida Alpina Giuseppe Della Rodolfa (+39.0342.511577 nei periodi di apertura, +39.347.5200146 nei periodi di chiusura).
Al rifugio si può accedere per diverse vie.
CAMPOMORO-RIFUGIO MARINELLI-BOMBERDIERI
Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza
in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
Campomoro-Rif. Carate Brianza-Rif. Marinelli |
3 h e 30 min |
920 |
E |
SINTESI. Saliamo in Valmalenco, a Lanzada, e proseguiamo sulla carozzabile che raggiunge Campo Franscia e prosegue terminando a Campomoro (m. 1990), presso l'omonima diga artificiale. Parcheggiamo all'ampio spiazzo ed attraversiamo il coronamento della diga, scendendo, sul lato opposto, su una pista sterrata che dopo pochi tornanti porta ad una piazzola. Di qui parte un largo sentiero che risale ripido l'aspro versante meridionale del Sasso Moro, verso ovest. Al termine della salita volge a destra (nord) ed inizia una lunga traversata, salendo molto moderatamente, verso nord-nord-ovest, sull'alto versante del bacino di Musella, prima fra radi larici, poi all'aperto, fino ad intercettare il sentiero della V tappa dell'Alta Via della Valmalenco. Il sentiero poi risale, ripido, una serie di dossi e conduce al rifugio Carate-Brianza (m. 2636). Dal rifugio saliamo alla vicinissima Bocchetta delle Forbici e, sempre seguendo i triangoli gialli della V tappa dell'Alta Via della Valmalenco procediamo nel vallone di Scerscen, passando alti, a destra, del lago delle Forbici, verso nord-nord-ovest, ed aggirando uno sperone roccioso e piegando gradualmente a destra (est), passando a sinistra del lago delle Forbici ed a destra di un microlaghetto. Pieghiamo poi leggemrnete a sinistra, scendendo a guadare alcuni torrentelli, poi risaliamo la china che ci porta ai piedi dello sperone sulla cui cima è posto il rifugio Marinelli. la traccia volge bruscamente a sinistra e, ignorata la deviazione a destra per la bocchetta di Caspoggio ed il passo Marinelli Orientale, saliamo con ripidi tornantini verso ovest, fino al rifugio Marinelli-Bombardieri al Bernina (m. 2813). |
Apri qui una fotomappa del Vallone di Scerscen e della testata della Valmalenco
La via di accesso più utilizzata è senza dubbio quella che parte dalla località di Campomoro (m. 1990), che si raggiunge salendo, da Chiesa Valmalenco (a 15,5 km da Sondrio) verso Campo Franscia (m. 1550, 8 km da Chiesa Valmalenco; localmente solo “franscia”; l’aggiunta di “Campo-“ si deve ad una situazione curiosa: la Guardia di Finanza progettò di costruire a Campomoro una caserma; il progetto, però, mutò e la scelta cadde su Franscia, ma nei documenti, già pronti, venne cancellato solo –moro, sostituito con –franscia; così nacque il toponimo “Campofranscia”) e da Campo Franscia, su strada interamente asfaltata, a Campomoro (6 km da Campo Franscia). Qui si trova ampia possibilità di parcheggio. Lasciata l’automobile, iniziamo il cammino attraversando, sul camminamento, la corona della grande diga e portandoci sul suo lato settentrionale, dove troviamo una pista che scende ad uno spiazzo sottostante. Qui parte, appunto, il più frequentato sentiero per il rifugio Marinelli.
Nel primo tratto sale, ripido, sull’aspro versante meridionale del Sasso Moro (m. 3108), con qualche tratto esposto protetto da corrimano.
Apri qui una fotomappa della salita dalla diga di Campomoro alla bocchetta delle Forbici
Il sentiero volge poi gradualmente a destra (nord-ovest), raggiungendo un più tranquillo bosco di larici, che attraversiamo percorrendo un lungo tratto con andamento quasi pianeggiante. Usciti dal bosco, riconosciamo subito la bocchetta delle Forbici (buchèl di fòrbes) e, poco sotto, il rifugio Carate Brianza (m. 2636), per il quale passa il sentiero. Per raggiungerlo, dopo aver intercettato il sentiero che sale, da sinistra, dall’alpe Musella, dobbiamo risalire una serrata sequenza di dossi (si tratta dei famosi “sette sospiri” - "set suspìir"), ai piedi del versante meridionale delle eleganti cime di Musella (m. 2990, 3079, 3094; più ad est, la cima di Caspoggio, m. 3136; queste vette sono chiamate, però, localmente, nel loro complesso, “sas di fòrbes”). Dopo due ore circa di cammino siamo, dunque, al rifugio Carate Brianza ed alla bocchetta delle Forbici, che ci introduce al grandioso, selvaggio e bellissimo vallone di Scerscen (il termine “Scérscen” deriva, probabilmente, da quello dialettale “scérsc”, “cerchio”, e si riferisce alla conformazione dell’ampio catino glaciale che si apre, con forma circolare, ai piedi dei colossi della testata occidentale della Valmalenco).
Panorama dalla Bocchetta delle Forbici
Il rifugio ("la caràte") era, in origine, un deposito costruito, nel 1916, dagli Alpini che erano di stanza alla capanna Marinelli. Nel 1926 il comune di Torre S. Maria lo cedette all'Unione Escursionisti Caratesi, che lo ristrutturarono ed ampliarono e lo inaugurarono il 15 agosto 1927.
Il sentiero, con alcuni saliscendi, piega ora a destra (nord), correndo a mezza costa fra il versante occidentale delle cime di Musella ed il vallone di Scerscen, fino ad aggirare lo sperone di nord-ovest delle cime di Musella e piegare ancora a destra (direzione nord-est), iniziando un tratto in leggera discesa.
Apri qui una panoramica dalla bocchetta delle Forbici
Appaiono ora tutte le cime della parte occidentale della testata della Valmalenco, cioè, da sinistra (ovest), il pizzo Glüschaint (m. 3594), la Sella (m. 3584), i caratteristici pizzi Gemelli (m. 3500 e 3501), l’elegante e simmetrico pizzo Roseg (da “rösa” o “rosa”, massa di ghiaccio, m. 3936), il massiccio pizzo Scerscen (m. 3971), il quattromila più orientale della catena alpina, cioè il pizzo Bernina (m. 4049) e la Cresta Güzza (m. 3869). Scendiamo, così, nel cuore del vallone che scende, alla nostra destra, dalla vedretta di Caspoggio, il piccolo ghiacciaio per il quale passa la sesta tappa dell’Alta Via, e passiamo a destra di un laghetto, prima di attraversare, su un ponticello, il torrente che scende dal ghiacciaio.
Apri qui una fotomappa dell'alto Vallone di Scerscen
Possiamo vedere di fronte a noi la meta, cioè il rifugio Marinelli, in cima ad un imponente sperone roccioso, di color rosso cupo. Ne raggiungiamo, quindi, il fianco orientale, dopo una breve salita fra sassi e sparute erbe, per volgere a sinistra e risalirlo, con ripidi tornanti, ignorando la deviazione, a destra, per la bocchetta di Caspoggio. Dopo circa tre ore ed un quarto di cammino raggiungiamo, così, il piazzale del rifugio Marinelli-Bombadieri al Bernina (m. 2813).
Apri qui una panoramica dal sentiero per il rifugio Marinelli
È interessante, infine, leggere il resoconto della salita alla capanna, per il vecchio sentiero, da Bruno Galli Valerio, alpinista e naturalista che molto amò queste montagne: “Il 26 luglio 1900, io, l'amico M.P. e la guida E.Schenatti siamo in cammino per la capanna Marinelli. Il tempo è splendido e molto caldo. La piramide dello Scalino, spicca superba contro il cielo azzurro, al di là dei verdi pascoli di Franscia. Alla bell'alpe di Campascio regna una grande silenzio. Ci sono due capre vicino al ponte che ci guardano passare. Ci inerpichiamo nel bosco pieno di ciuffi rosati di rododendri. Attraverso le conifere si vede ergersi la massa nera del Sasso Moro.
Apri qui una panoramica del rifugio Marinelli e delle cime di Musella
Tocchiamo l'alpe di Musella (2066 m.) colle sue minuscole baite di legno. La salita senza fine lungo le coste erbose e le frane comincia: Lassù si scorge la Bocchetta delle Forbici (2662 m.) e la si direbbe vicinissima. Ma dobbiam traversare una serie di piani sovrapposti in gradini prima d'arrivare all'ultima costa. Un'aria fresca ci annuncia che ci stiamo avvicinando al passo. Pernici bianche si levano in volo. Due bracconieri alla ricerca di camosci, appaiono e scompaiono sulla cresta a sinistra della bocchetta. Arriviamo al passo.
Apri qui una fotomappa dell'alto Vallone di Scerscen
E' lo splendido colpo di scena tante volte visto e che desideriamo sempre rivedere. Gli immensi ghiacciai di Scerscen e il gruppo del Bernina appaiono d'un tratto davanti a noi. Al di là del passo, seguiamo il sentierino tracciato dal C.A.I. nella parete che scoscende a picco sulla vedretta di Caspoggio. Dall'altra parte del ghiacciaio, su una prominenza rocciosa ai piedi del Pizzo d'Argent, la capanna Marinelli appare. Il sentiero scompare nelle gande lungo le quali scendiamo sulla vedretta di Caspoggio.
Pizzi Roseg, Scerscen e Bernina
Traversando questa, arriviamo con facilità ai piedi delle roccie sulle quali è costruita la capanna. Ancora uno sforzo, sotto il peso dei sacchi e della legna della quale ci siamo caricati all'alpe Musella ed eccoci alla capanna (2812 m.). Siamo soli. Lo Schenatti, che ha con sè un pollo e che ama fare il cuoco, si incarica della cena. Noi ci portiamo sulle roccie, a ovest della capanna, per ammirare il ghiacciaio e le cime che ci contornano. Di fronte alla capanna, verso sud, si ergono, nere, appuntite come dei campanili, le Cime di Musella. Verso ovest, il Disgrazia le cui vedrette brillano alle luci della sera. Poi, sopra le vedrette di Scerscen: il Tremoggia, il Roseg, il Monte di Scerscen, ecc. Quando andiamo a coricarci, tutte le cime sono scoperte, il cielo disseminato di stelle.” (Bruno Galli Valerio, “Punte e passi”, a cura di Luisa Angelici ed Antonio Boscacci, Sondrio, 1998).
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CAMPOMORO-ALPE MUSELLA-VALLONE DI SCERSCEN-RIFUGIO MARINELLI-BOMBARDIERI AL BERNINA
Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza
in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
Campomoro-Alpe Musella-Vallone di Scerscen-Rifugio Marinelli-Bombardieri al Bernina |
5 h |
890 |
E |
SINTESI. Saliamo in Valmalenco, a Lanzada, e proseguiamo sulla carozzabile che raggiunge Campo Franscia e prosegue terminando a Campomoro (m. 1990), presso l'omonima diga artificiale. Parcheggiamo all'ampio spiazzo ed attraversiamo il coronamento della diga, scendendo, sul lato opposto, su una pista sterrata che dopo pochi tornanti porta ad una piazzola. Qui ignoriamo il sentiero per il rifugio Marinelli e procediamo sulla pista sterrata; ad un bivio prendiamo a destra e raggiungiamo il punto nel quale sulla destra della pista parte il sentiero segnalato che dopo breve traversata conduce all'alpe Musella, dove troviamo i rifugi Mitta
e Musella, a 2021 metri. Poco sopra i rifugi raggiungiamo poi le baite dell'alpe Musella (m. 2076). Ora, invece
di seguire le indicazioni per i rifugi Carate e Marinelli, portiamoci
verso il limite sud-occidentale dell’alpe, passando a monte di
una chiesetta posta su un piccolo poggio. Presso la più bassa
delle baite che troviamo sul limite occidentale dell’alpe troveremo
il triangolo giallo che segnala la variante della V tappa dell’Alta
Via che passa per il vallone di Scerscen. Il sentiero procede in un bosco di larici, supera una roccia levigata grazie ad una passerella in legno, attraversa un corpo franoso e passa a sinistra delle ex-miniere di amianto (m. 2050). Superiamo su un ponte il torrente Scerscen da destra a sinistra (per noi), procediamo guidati dai triangoli gialli non lontano dalla sua riva e cominciamo a salire gradualmente. Giunti ad un ampio pianoro, procediamo in piano e riprendiamo
a salire, volgendo leggermente a destra, passando a sinistra di una
curiosa formazione rocciosa costituita da due corni e sormontando un
dosso di magri pascoli e sassi, fino a giungere alla sella di quota
2360 (quadrivio segnalato da cartelli). Qui ignoriamo le indicazioni per la Forca d'Entova e seguiamo le indicazioni per il rifugio Marinelli procedendo verso nord-est e passando vicino ad un
grande masso sul quale si trova una freccia bidirezionale gialla, in
direzione della parte terminale del vallone. Per
buona parte dell’itinerario rimanente non c’è una vera e propria
traccia, (massima attenzione ai segnavia). Aggirata sulla destra una caratteristica formazione di rocce biancastre ed arrotondate, il sentiero volge decisamente a sinistra
(direzione ovest), procedendo, per un buon tratto, in direzione della
vedretta di Scerscen inferiore. Per un tratto ci allontaniamo dal rifugio Marinelli (già visibile ad est), ma ad un bivio un cartello ci manda a destra, e torniamo a procedere verso il rifugio. Troviamo il primo ponte su un ramo del torrente Scerscen. Proseguiamo verso destra (nord-est), superando una fascia di sfasciumi e tagliando il filo di una prima morena. Raggiungiamo, così, la parte terminale del vallone,
ai piedi, anche se ad una certa distanza, dell’ultimo imponente
gradino roccioso in cima al quale si mostra l’impressionante seraccata
occidentale della vedretta di Scerscen superiore. Incontriamo altri due ponti, giungendo ai piedi della seraccata orientale della vedretta
di Scerscen superiore. Ci attende, poi, un facile guado, prima di risalire
una seconda morena, di cui seguiamo per un tratto il filo, in direzione
nord, prima di piegare a destra, in direzione est, raggiungendo una
fascia di grandi massi, oltre la quale ci attende un secondo guado,
un po’ più impegnativo. troviamo una nuova
fascia di sfasciumi. Qui dobbiamo prestare attenzione ai segnavia, per
non sbagliare direzione. L’itinerario
piega ora a destra, assumendo la direzione sud-est e salendo un ripido versante morenico; un ultimo traverso a destra ci porta al piazzale del rifugio Marinelli-Bombardieri al Bernina (m. 2812). |
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Il vallone di Scerscen
Possiamo finalmente apprezzare l'imponenza e la suggestione del vallone che stiamo attraversando.
La valle, o vallone, di Scèrscen ("valùn de scérscen") è stata definita il Gran Canyon della Valmalenco: paragone azzardato se prendiamo in considerazione le dimensioni, azzeccato, invece, se ci riferiamo alla suggestione che questa grande conca di detriti alluvionali, che si stende ai piedi dei giganti della testata della valle, suscita. Una suggestione legata alla solitudine dei luoghi, assai meno percorsi rispetto alle vie escursionistiche più classiche della Valmalenco, ed all’acuta sensazione della propria piccolezza, che si sperimenta di fronte alla vastità degli spazi che gradualmente si aprono ed alla verticalità della compagine delle cime che chiudono l’orizzonte a nord. La storia di questo imponente bacino è assai interesssante ed istruttiva. Nei quasi tre secoli della cosiddetta Piccola Età Glaciale, dalla seconda metà del Cinquecento agli inizi dell'Ottocento, le temperature medie subirono un marcato calo. In quel periodo l'aspetto del Vallone di Scerscen era assai diverso dall'attuale. Un unico imponente ghiacciaio ne era padrone, con una superficie complessiva di circa 20 kmq. La sua lingua più bassa raggiungeva lo sbocco del vallone che sale alla forca d'Entova.
Il cimitero degli Alpini nel cuore del Vallone di Scerscen
La risalita delle temperature dalla seconda metà dell'Ottocento ne minò gradualmente la consistenza, frammentandolo nei cinque nuclei che vi troviamo oggi, la vedretta di Scercen inferiore (590 ha), quella di Scerscen superiore (553 ha), il ghiacciaietto Marinelli (28 ha), la vedretta di Caspoggio (52,5 ha) e quella di Musella (11,5 ha), con una superficie complessiva di circa il 65% di quella del ghiacciaio unificato. Le proiezioni per i decenni futuri vedono purtroppo un'accelerazione del ritiro dei ghiacciai per il ben noto processo di global warming. In futuro il Vallone di Scerscen dovrebbe essere interamente dominato dall'elemento minerale, con la presenza dei ghiacciai ridotta a sporadiche chiazze o addirittura annullata.
Il Vallone di Scerscen
Ci si sente minuscoli, percorrendo il vasto circo della parte terminale
del vallone, circondati, da tutti i lati, da formazioni rocciose dalle
forme più diverse: è come se la montagna, qui, ci fasciasse
interamente, ci avvolgesse in un abbraccio severo ed insieme arcano.
Il termine "Scerscen" deriva, probabilmente, dal latino "circinus", piccolo cerchio, per cui si riferirebbe ad un luogo recintato, chiuso.
Apri qui una panoramica del Vallone di Scerscen
Per
il vallone passa un sentiero che, partendo dall’alpe Musella,
ci consente di raggiungere il rifugio Marinelli, un itinerario alternativo
rispetto a quello consueto che passa a monte dell’alpe, raggiunge
il rifugio Carate Brianza ("la caràte") e si affaccia sul vallone dalla bocchetta
delle Forbici. Il vallone può quindi costituire un’occasione
per un elegante percorso ad anello che raggiunge il rifugio Marinelli,
con partenza e ritorno alla diga di Campomoro.
Per il vallone, infine, passa anche una variante della V tappa dell’Alta
Via della Valmalenco, dal rifugio Palù (toponimo assai diffuso, che deriva da "palude") al rifugio Marinelli.
L'alpe Musella
Vediamo, ora, come salire al rifugio passando per il vallone di Scerscen. All'alpe Musella possiamo salire da Campo Franscia, ma, per rendere meno severo il dislivello complessivo dell'escursione possiamo assumere come punto di partenza la già menzionata diga
di Campomoro (dighe de cammòor, m. 1990), che si raggiunge salendo, da Chiesa Valmalenco
(a 15,5 km da Sondrio) verso Campo Franscia (m. 1550, 8 km da Chiesa
Valmalenco) e da Campo Franscia, su strada interamente asfaltata, a
Campomoro (6 km da Campo Franscia). Qui si trova ampia possibilità
di parcheggio. Lasciata l’automobile, iniziamo il cammino attraversando,
sul camminamento, la corona della grande diga e portandoci sul suo lato
settentrionale, dove troviamo una pista che scende ad uno spiazzo sottostante.
Qui parte, segnalato, il più frequentato sentiero per il rifugio
Marinelli, che sfrutteremo al ritorno.
Ora,
invece, dobbiamo proseguire sulla strada sterrata, in leggera discesa,
e, ad un bivio, prendere a destra, fino ad incontrare, dopo una breve
salita, ancora sulla destra, la marcata mulattiera, segnalata, che si
stacca dalla pista e, con un primo tratto in salita, si dirige, attraversando
un bel bosco di larici, verso l’alpe Musella (si tratta di una
mulattiera che sale da Campo Franscia e, dopo aver superato l’alpe Foppa (fópo), giunge ad intercettare, in questo punto, la pista, consentendo
di effettuare una bella passeggiata da Campo Franscia all’alpe Musella in poco più di un’ora).
La mulattiera guadagna gradualmente quota, superando i 2000 metri, e
ci regala alcuni scorci davvero bucolici, nello splendido scenario di
un rado bosco di larici. Superiamo, così, dopo un breve ripido
tratto, un roccione liscio e raggiungiamo un’incantevole pianetta,
dove un ponticello ci permette di oltrepassare il torrentello che scende
dal fianco sud-occidentale del poderoso massiccio del monte Moro (m.
3108). Un ultimo tratto, in leggera discesa, ci conduce all’uscita
dal bosco: siamo all’alpe Musella, ampia e tranquilla conca che
si stende ai piedi delle cime omonime e del monte Moro, che la incorniciano
a nord e nord-est, e dell’ampio fianco del monte delle Forbici
(m. 2910), che la chiude a nord-ovest. Il nome di questo monte è legato ad un curioso errore: infatti localmente è chiamato "bar oolt", letteralmente "caprone alto", perché segna il confine superiore delle proprietà usufruibili per il pascolo da parte degli abitanti di Torre S. Maria, mentre il vero, anzi, i veri monti delle Forbici ("sas di fòrbes") sono le cime segnate sulle carte come cime di Musella (m. 2990, 3079, 3094; più ad est, la cima di Caspoggio, m. 3136; queste vette sono chiamate, infatti, localmente, nel loro complesso, “sas di fòrbes”). Ormai, però, questa trasposizione è entrata nell'uso, e difficilmente verrà corretta.
Superato un secondo ponticello,
raggiungiamo un primo gruppo di baite, sul limite meridionale dell’alpe. Qui
si trovano anche i rifugi Musella (m. 2021) e Mitta (m. 2020): nei pressi
del secondo troviamo facilmente il sentiero che sale, in un bosco di
larici, dall’alpe Campascio (campàasc, m. 1844). È, questo, un tratto
della quinta tappa dell’Alta Via della Valmalenco, ed insieme
del più classico e lungo itinerario per il rifugio Marinelli,
quello cioè che parte da Campo Franscia, proseguendo, dopo aver
attraversato la piana dell’alpe, alla volta dei celebri sette
dossi denominati, per la fatica che si deve spendere salendoli, “sette
sospiri” ("set suspìir"). Al termine della salita, il sentiero raggiunge il rifugio
Carate Brianza (m. 2636) e, poco sopra, la bocchetta delle Forbici (buchèl di fòrbes),
iniziando l’ultimo tratto di salita al rifugio Marinelli.
Noi dobbiamo, però, procedere per altra via, portandoci verso
il limite sud-occidentale dell’alpe e passando a monte di una
chiesetta posta su un piccolo poggio. Presso la più bassa delle
baite che troviamo sul limite occidentale dell’alpe troveremo
il triangolo giallo che segnala la variante della V tappa dell’Alta
Via che passa per il vallone di Scerscen (il termine “Scérscen” deriva, probabilmente, da quello dialettale “scérsc”, “cerchio”, e si riferisce alla conformazione dell’ampio catino glaciale che si apre, con forma circolare, ai piedi dei colossi della testata occidentale della Valmalenco). Imbocchiamo, così,
un sentiero che per un buon tratto corre, con qualche saliscendi, in
un bosco di larici, tagliando le estreme propaggini di rocce arrotondate
che scendono dallo sperone meridionale del monte delle Forbici. Il sentiero,
raggiunto un punto panoramico che ci permette di gettare un’occhiata
sulla piana dell’alpe Campascio (campàasc), occupata, nella parte occidentale,
da detriti alluvionali, piega a destra, esce dal bosco e taglia il selvaggio
fianco sud-occidentale del monte delle Forbici.
Ad
un certo punto, sulla nostra destra, si impone allo sguardo una singolare
e quasi surreale formazione rocciosa, massiccia, levigata, dalle sfumature
nere e rossastre; rappresenta un po’ un punto di svolta, in quanto
il panorama, alle nostre spalle, dominato dalla costiera Valmalenco
- Val di Togno, con il pizzo Scalino sulla snistra, comincia a chiudersi,
mentre si apre gradualmente quello del vallone. Poco oltre, una grande
roccia arrotondata ed esposta si frappone al nostro cammino: non potremmo
superarla senza l’ausilio della passerella in legno costruita
sul suo fianco e corredata di una corda fissa.
Poi il sentiero attraversa un corpo franoso e passa a sinistra di un masso curiosissimo, a forma di sedia, chiamato "sas de la sedia" o anche "sedia del diàul", non perché qui sedesse il diavolo in persona, ma perché un tempo i ragazzi salivano, per gioco, dal lato posteriore e faticavano non poco, poi, per scendere. Poco oltre, ecco le miniere abbandonate di amianto, a quota 2050, segnalate da un cartello
della Comunità Montana Valtellina di Sondrio, che dà anche
il Cimitero degli Alpini ad un’ora di cammino. A poca distanza
dalle miniere, raggiungiamo il ponte che ci porta sul lato opposto del
vallone nel quale stiamo entrando, cioè sul lato occidentale.
Percorriamo, ora, la zona denominata "brüt de scérscen", per il suo aspetto particolarmente desolato.
Apri qui una panoramica del Vallone di Scerscen
Qui, per un buon tratto, procediamo sul limite dei depositi alluvionali
del torrente Scerscen, prima di guadagnare un po’ quota, guidati
dai segnavia (triangoli gialli) sul fianco del vallone. Si apre, intanto,
il superbo scenario delle più alte cime di Valmalenco: le prime
ad apparire sono il pizzo Sella (m. 3511), a sinistra, ed il pizzo Roseg (da “rösa” o “rosa”, massa di ghiaccio, m. 3937), a destra. Ben presto appaiono, poi, più a destra,
i pizzi Scerscen (m. 3971) e Bernina (m. 4049). Ancora più a
destra, ecco la caratteristica ed inconfondibile Cresta Güzza (m.
3869). Chiude la superba testata della Valmalenco, sul lato destro,
il pizzo Argient (forma dialettale per "Argento"; nell'ottocento veniva chiamato Piz Ladner, poi anche Piz Blondina; m. 3945).
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Continuiamo
a guadagnare gradualmente quota, portandoci verso il fianco roccioso
che chiude alla nostra sinistra (ovest) il vallone, prima di approdare
ad un ampio pianoro. Mentre alla nostra destra la massiccia complesso
roccioso che culmina nel monte delle Forbici rende sempre meglio visibile,
le cime della testata della Valmalenco cominciano a defilarsi, nascoste
dai possenti gradoni rocciosi che si trovano nella parte medio-alta
del vallone. A sinistra si fa sempre più slanciata la cima quotata
3006, immediatamente a nord della forca d’Entova (buchèta d’éntua, termine che significa, etimologicamente, posto fra due corsi d'acqua, dai termini lombardi "ent" ed "ova"), cima che nasconde
alla vista le più famose cime del Sasso d’Entova (sasa d’éntua, m. 3329),
del pizzo Malenco (m. 3438) e del pizzo Tramoggia (m. 3441), posti a
nord-ovest della stessa.
Apri qui una fotomappa dell'alto Vallone di Scerscen
Dopo un tratto pianeggiante, riprendiamo a salire, volgendo leggermente
a destra, passando a sinistra di una curiosa formazione rocciosa costituita
da due corni e sormontando un dosso di magri pascoli e sassi, fino a
giungere ai cartelli che segnalano un trivio. Un primo cartello indica,
per chi scende, che l’alpe Musella è raggiungibile in un’ora
e mezza di cammino e Campo Moro in due ore; un secondo cartello indica
che, volgendo a sinistra, possiamo salire, in due ore, alla forca d’Entova,
porta di accesso all’alta Valmalenco, e dalla forca proseguire,
con un’ulteriore ora e tre quarti di marcia, fino al rifugio Longoni;
un terzo cartello segnala che, proseguendo in direzione opposta, cioè
verso destra, possiamo raggiungere, in cinque minuti, il Cimitero degli
Alpini.
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A
noi interessa, però, la quarta indicazione, quella che segnala
il sentiero che prosegue diritto e che dà il rifugio Carate Brianza
ad un’ora e 20 minuti, il Monumento degli Alpini ad un’ora
e 30 minuti ed il rifugio Marinelli a 2 ore e 40 minuti. Prima di proseguire
su questo sentiero, che inizia un tratto in discesa, vale però
la pena di prendere a destra e, seguendo alcuni ometti, raggiungere
la croce, posta, a 2370 metri, a ricordo della morte di un gruppo costituito
da 16 alpini, travolti da una valanga il 1 aprile 1917, durante la I Guerra Mondiale, mentre marciavano per salire alla capanna Marinelli, allora presidiata, appunto, dagli Alpini.
Il cimitero degli Alpini
La valanga si era abbattuta sul rifugio Musella dalle pendici del Sasso Moro. La targa, posta dal gruppo A.N.A. di Lanzada, commemora il loro sacrificio con queste parole: “A questi prodi vigili sui monti non parve sorte dura precipitare a valle sotto la valanga immane se il verde delle fiamme e il rosso del sangue loro sul bianco della neve simboleggiarono al termine estremo del fronte di guerra la gloria del tricolore”. Alle spalle della croce i giganti ci guardano con sovrano silenzio, così come furono muti testimoni della lontana tragedia. Ecco i loro nomi: Francesco Agazzi, Mario Bonaiti, Lorenzo Capelli, Alessandro di Biase, Giuseppe Regazzoni, Faustino Sosio, Luigi Paini, Rocco Palermo, Antonio Ramboldini, tutti del V Reggimento Alpini. Il giorno dopo, 2 aprile 1917, una seconda valanga travolse gli Alpini che scendevano in loro soccorso. I loro nomi sono ricordati su un'altra lapide: Bernardo Bormolini, Angelo Bonfadini, Pietro Bonzi, Angelo Crescini, Pasquale Di Battisti, Di Pietrantonio..., Antonio Galli, Ugolino Generali, Mauro Mapello, Francesco Magliano, Luigi Olivieri, Ernesto Pellegrinello, Eppe Petrucciani, Enrico Rosati, Luigi Tomasini.
Seguendo il Sentiero dei Ponti
Per riprendere il cammino alla volta del rifugio Marinelli non è
necessario tornare ai cartelli: possiamo tagliare, in diagonale, verso
sinistra, scendendo ad un secondo pianoro che si stende ai piedi di
una grande e caratteristica formazione rocciosa biancastra, che reca
il segno del lavoro millenario del ghiacciaio che l’ha levigata.
Volgendo leggermente a destra e passando vicino ad un grande masso sul
quale si trova una freccia bidirezionale gialla, proseguiamo in direzione
della parte terminale del vallone. L’indicazione del cartello
che abbiamo lasciato alle spalle menziona anche il rifugio Carate Brianza,
che si trova appena sotto la bocchetta delle Forbici, la quale, a sua
volta, si trova circa trecento metri più in alto, alla nostra
destra ed a sinistra del monte delle Forbici. Tale
indicazione si giustifica per la presenza di una deviazione, a destra,
segnalata da segnavia bianco-rossi: questa variante si stacca dal sentiero
per la Marinelli e, proseguendo verso sud-est, attraversa il torrente
Scerscen e risale il fianco orientale del vallone, raggiungendo dapprima
il laghetto delle Forbici, poi la bocchetta omonima.
Ma torniamo al sentiero principale (sentiero per modo di dire, perché
per buona parte dell’itinerario non c’è una vera
e propria traccia, per cui bisogna prestare molta attenzione per non
perdere i segnavia che indicano la direzione corretta): aggirata sulla
destra la formazione rocciosa biancastra, esso volge decisamente a sinistra
(direzione ovest), procedendo, per un buon tratto, in direzione della
vedretta di Scerscen inferiore. In questo tratto si impone allo sguardo,
verso nord-nord-est, il pizzo Sella, che mostra un elegante profilo.
La nostra meta, il rifugio Marinelli, già visibile, verso nord-ovest,
alla sommità dell’imponente sperone roccioso rossastro
che lo ospita, si allontana, alle nostre spalle, tanto che per un attimo
ci assale il dubbio sulla correttezza dell’itinerario. Alla fine,
però, un cartello della Comunità Montana Valtellina di
Sondrio ci tranquillizza. Esso segnala un bivio: prendendo a sinistra,
saliamo all’edificio dell’ex-rifugio Entova-Scerscen, dal
quale possiamo poi scendere ad una comoda pista che ci porta a San Giuseppe (san giüsèf o giüsèp);
prendendo, invece, a destra ci portiamo ad un ponte, che attraversa
uno dei rami dello Scerscen, proseguendo nel cammino verso la Marinelli.
Il ponte, nuovo e robusto, è il primo dei tre nuovi ponti che
hanno sostituito quelli precedenti, travolti dalla furia delle acque.
Apri qui una fotomappa dell'alto Vallone di Scerscen
Oltrepassato
il ponte, l’itinerario prosegue verso destra, cioè in direzione
nord-est, superando una fascia di sfasciumi e tagliando il filo di una
prima morena. Raggiungiamo, così, la parte terminale del vallone,
ai piedi, anche se ad una certa distanza, dell’ultimo imponente
gradino roccioso in cima al quale si mostra l’impressionante seraccata
occidentale della vedretta di Scerscen superiore. Il silenzio è,
qui, rotto dal fragore delle acque e, qualche volta, da tonfi sordi
e fragorosi. Non si tratta di frane, ma della caduta di grandi blocchi
di ghiaccio che si staccano dal fronte della seraccata, precipitando
più a valle.
Seguendo il Sentiero dei Ponti
Proseguendo nella traversata, incontriamo altri due ponti, giungendo
ai piedi della seraccata orientale della vedretta di Scerscen superiore.
Ci attende, poi, un facile guado, prima di risalire una seconda morena,
di cui seguiamo per un tratto il filo, in direzione nord, prima di piegare
a destra, in direzione est, raggiungendo una fascia di grandi massi,
oltre la quale ci attende un secondo guado, un po’ più
impegnativo (mettiamo, quindi, in conto di poterci bagnare i piedi nelle
gelide acque di fusione: un cambio di calze è, dunque, quanto
mai opportuno). Un’eventuale sosta, necessaria, magari, per cambiare
le calze bagnate, ci permette di riconoscere le cime che abbiamo lasciato
alle nostre spalle,ad ovest: a destra della cima 3006, riconosciamo
ora, in sequenza ravvicinata, il Sasso d’Entova, il pizzo Malenco
ed il pizzo Tramoggia, che sormontano la vedretta di Scerscen inferiore.
Seguendo il Sentiero dei Ponti
Oltre l’ultimo ramo del torrente Scerscen, troviamo una nuova
fascia di sfasciumi. Qui
dobbiamo prestare attenzione ai segnavia, per non sbagliare direzione.
L’itinerario piega ora a destra, assumendo la direzione sud-est.
Mancano poco più di cento metri, si tratta di profondere le ultime
energie nella salita, prima della meta. Un ripido tratto ci permette
di guadagnare il bordo di un’ampia conca di sfasciumi, raggiungendo,
infine, una marcata traccia, che conduce direttamente al rifugio. Da
qui il panorama sui giganti della Valmalenco è particolarmente
felice. L’ultimo tratto, pur presentando un fondo largo e regolare,
deve essere affrontato con attenzione, perché è esposto.
Apri qui una fotomappa del Sentiero dei Ponti
Alla fine, eccoci all’ampio piazzale del rifugio Marinelli (m.
2813). Il rifugio, di proprietà del CAI di Sondrio, fu costruito nel 1880. Il suo nome originario era rifugio Scerscen ma, dopo la morte del suo ideatore, Damiano Marinelli, nel 1882 venne intitolato a lui. Nel tempo fu soggetto a numerosi ampliamenti (1906, 1915, 1917, 1925 e 1938), finché, dopo la seconda guerra mondiale, per impulso di Luigi Bombardieri venne raddoppiato. Alla morte del Marinelli, in seguito alla tragica caduta dell’elicottero che lo trasportava nel 1957, il suo nome venne aggiunto nell’intitolazione del rifugio, che ebbe come custode Cesare Folatti.
Apri qui una fotomappa del Vallone di Scerscen e della testata della Valmalenco
Dal piazzale si apre, verso est, il bellissimo scenario della
vedretta di Caspoggio, incorniciata, sulla destra, dalle cime di Musella
orientale (m. 3088) ed occidentale (m. 2990). Termina, dopo circa 4
ore e mezza - 5 ore di cammino (il dislivello superato è di circa
1060 metri), una salita dal fascino unico.
Il rifugio Marinelli Bombardieri al Bernina
Dal piazzale si apre, verso est, il bellissimo scenario della
vedretta di Caspoggio, incorniciata, sulla destra, dalle cime di Musella
orientale (m. 3088) ed occidentale (m. 2990). Termina, dopo circa 4
ore e mezza - 5 ore di cammino (il dislivello superato è di circa
890 metri), una salita dal fascino unico.
Apri qui una fotomappa dell'alto Vallone di Scerscen
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RIFUGIO PALU'-RIFUGIO MARINELLI-BOMBARDIERI AL BERNINA
Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza
in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
Rif. Palù-Bocchel del Torno-Alpe Campascio-Rif. Mitta e Musella-Rif. Carate Brianza-Bocchetta delle Forbici-Rif. Marinelli-Bombardieri al Bernina |
8 h |
1300 |
E |
SINTESI. Dal rifugio Palù saliamo all'alpe Roggione (m. 2007) ed attraversiamo un piccolo bosco, nel quale la traccia di
sentiero si fa strada a fatica fra alcuni grandi massi. Usciti dal bosco,
cominciamo a risalire uno stretto vallone, fra erbe e qualche masso, in
direzione della sella terminale, cioè del Bocchel del Torno (m.
2203). Ignoriamo le segnalazioni per Il sasso Nero alla
nostra sinistra e cominciamo a scendere verso destra, entrando nuovamente in
un bosco di larici.
Ignorata
la deviazione a destra per l'alpe Campolungo, continuiamo, dunque, a scendere verso sud-est, raggiungendo
le pisce di sci e la stazione dalla quale parte lo ski-lift che sale fino
al monte Motta.
Poco sopra la quota 1800, invece di proseguire nella medesima direzione, pieghiamo a sinistra, percorrendo una mulattiera che entra nella valle
di Scerscen. Superato l'omonimo torrente, raggiungiamo il pianoro dell'alpe Campascio, attraversandolo fino alle baite dell'alpe (m. 1844), precedute da due torrentelli. Presso la prima di queste baite imbocchiamo, sempre seguendo le segnalazioni,
il sentiero che riprende a salire verso destra (nord-est) per circa duecento
metri, fino a raggiungere la radura dove sono collocati i rifugi Mitta
e Musella, a 2021 metri. Poco sopra i rifugi raggiungiamo poi le baite dell'alpe Musella (m. 2076), dalle quali inizia la lunga salita verso nord che porta ad intercettare il sentiero che proviene da Campomoro (dalla nostra destra) ed a salire verso sinistra
alla bocchetta delle Forbici, che vediamo fin dall'alpe Musella. Appena prima della bocchetta si trova il rifugio rifugio
Carate Brianza (m. 2600). Oltre la bocchetta il sentiero procede verso nord, aggira
lo sperone roccioso che scende verso nord-ovest dal gruppo delle cime
di Musella e piega verso destra, alla volta del pianoro detritico
che si trova ai piedi della vedretta di Caspoggio, passando a destra
del laghetto di Musella. Superati alcuni rami del torrente che scende dalla vedretta di Caspoggio, piega a sinistra (direzione ovest) e si inerpica, con diversi tornanti, sul pendio del fianco orientale di uno sperone roccioso in cima al quale è posto il rifugio Marinelli-Bombardieri al Bernina (m.
2813). |
Apri qui una panoramica dello sperone del rifugio Marinelli-Bombardieri al Bernina
Possiamo salire al rifugio Marinelli-Bombardieri al Bernina anche percorrendo la V tappa dell'Alta Via della Valmalenco, cioè partendo dal rifugio Palù (al quale si sale facilmente da San Giuseppe, percorrendo la carrozzabile che sale ai Barchi, dove si parcheggia l'automobile, proseguendo su facile sentiero per poco più di mezz'ora fino al rifugio, posto sulla riva settentrionale dlel'omonimo ed inantevole lago).
Partiamo, dunque, dal rifugio Palù ('l rifùgiu) e torniamo all'alpe Roggione (m. 2007), dalla quale siamo scesi al termine della quarta tappa. Seguendo
le indicazioni attraversiamo un piccolo bosco, nel quale la traccia di
sentiero si fa strada a fatica fra alcuni grandi massi. Usciti dal bosco,
cominciamo a risalire uno stretto vallone, fra erbe e qualche masso, in
direzione della sella terminale, cioè del Bocchel del Torno (m.
2203). Oltre la sella si presenta al nostro sguardo una delle cime che
avremo modo di osservare con maggiore frequenza durante le rimanenti tappe,
vale a dire il pizzo Scalino (m. 3323). Ignoriamo le segnalazioni alla
nostra sinistra, che guidano chi volesse salire alla cima del Sasso Nero (umèt, m. 2919), e cominciamo a scendere verso destra, entrando nuovamente in
un bosco di larici, dal volto, però, questa volta più gentile.
Ignoriamo
la deviazione che, alla nostra destra, conduce all'alpe Campolungo, dalla
quale si sale al passo omonimo (m. 2167), gemello del Bocchel del Torno
(il passo è infatti posto fra il monte Roggione (crèsta del rungiùm), a nord, ed il
monte Motta - “sas òlt” -, a sud, ed è separato dal Bocchel del Torno dal monte
Roggione). Continuiamo, dunque, a scendere verso sud-est, raggiungendo
le pisce di sci e la stazione dalla quale parte lo ski-lift che sale fino
al monte Motta.
Poco sopra la quota 1800, invece di proseguire nella medesima direzione
(che ci condurrebbe al rifugio Scerscen - m. 1813 - e da qui a Campo Franscia
- m. 1620), pieghiamo a sinistra, percorrendo una mulattiera che effettua
una lunga traversata sul fianco orientale del versante montuoso che dal
Sasso Nero scende fino al monte Motta: entriamo così nella valle
di Scerscen e, superato l'omonimo torrente, raggiungiamo il pianoro dell'alpe Campascio (campàasc), fino alle baite dell'alpe (m. 1844), precedute da due torrentelli.
Presso la prima di queste baite imbocchiamo, sempre seguendo le segnalazioni,
il sentiero che riprende a salire verso destra (nord-est) per circa duecento
metri, fino a raggiungere la radura dove sono collocati i rifugi Mitta
e Musella, a 2021 metri, circondati dalla bellissima cornice di boschi
gentili. Poco sopra i rifugi raggiungiamo poi le baite dell'alpe Musella (m. 2076), dalle quali inizia la lunga salita verso nord che porterà
alla bocchetta delle Forbici (buchèl di fòrbes). A
questo sentiero si congiunge da destra, poco sopra la quota 2200, quello
che parte dal limite sud-occidentale della diga di Campomoro (dighe de cammòor) ed attraversa,
quasi pianeggiante, il bosco di radi larici che costituisce il limite
superiore dell'alpe Musella. Quando vediamo il cartello che indica la
deviazione a destra per Campomoro, abbiamo già iniziato quella
lunga e faticosa salita che ci permetterà di sormontare sette dossi
posti in rapida successione: si tratta dei famosi "sette sospiri" ("set suspìir"),
che devono la loro denominazione non solo ad alcune brusche impennate
del sentiero, ma anche alla fallace impressione che la bocchetta delle
Forbici sia lì, a portata di mano, impressione alla quale succede
l'amara constatazione che il percorso è più lungo e faticoso
diquanto ci si aspetterebbe. Lo scenario che ci sta di fronte, però
nella sua bellezza in parte ci ripaga dalla fatica: le chiare cime di
Musella (m. 2990, 3079, 3094; alla loro destra, la cima di Caspoggio, m. 3136; queste vette sono chiamate, però, localmente, nel loro complesso, “sas di fòrbes”) ci fanno già respirare quell'aria di alta montagna che
dominerà sovrana oltre la bocchetta. Raggiungiamo infine, appena
sotto la bocchetta, il, si può ben dire, sospiratissimo rifugio
Carate Brianza, posto poco al di sopra della quota 2600.
Il rifugio ("la caràte") era, in origine, un deposito costruito, nel 1916, dagli Alpini che erano di stanza alla capanna Marinelli. Nel 1926 il comune di Torre S. Maria lo cedette all'Unione Escursionisti Caratesi, che lo ristrutturarono ed ampliarono e lo inaugurarono il 15 agosto 1927.
Tre quarti buoni
della tappa sono ormai alle nostre spalle ed il rifugio costituisce il
nuovo ideale per sostare e chiamare a raccolta le forze residue, prima
dello strappo finale. Dal rifugio lo sguardo può spaziare sull'intera
vallata, dominata dalla scura e massiccia mole del Sasso Moro (m. 3108).
Dal rifugio alla bocchetta (m. 2636) il passo, si può ben dire,
è breve.
Apri qui una fotomappa del Vallone di Scerscen e della testata della Valmalenco
Lo
scenario che ci attende al di là di essa è probabilmente
il più bello dell'intera alta via: improvvisa e perentoria, ecco
la testata della Valmalenco, con i suoi colossi che, parafrasando la celebre
frase del Re Sole, sembrano dire "La Valmalenco siamo noi".
Vale la pena di passarle in rassegna con calma. Il lato sinistro è
occupato dallavedretta di Scerscen inferiore e dal poderoso bastione
roccioso sul quale si elevano il pizzo Gluschaint (m. 3594), i pizzi Gemelli
(m. 3584, 3564, ben visibili da Sondrio) ed il pizzo di Sella (m. 3517).
A destra dell'evidente depressione del passo di Sella si collocano le
più famose cime di questa testata. Innanzitutto il pizzo Roseg (da “rösa” o “rosa”, massa di ghiaccio, m. 3937), che da qui appare in tutta la sua imponenza ed insieme eleganza.
Poi il pizzo Scerscen (m. 3971), alla cui destra si colloca la più
alta vetta delle Alpi Retiche e la più occidentale delle cime che
superano i 4000 metri, il pizzo Bernina (m. 4050), che per la verità
non è ancora visibile dalla bocchetta: bisogna, infatti, percorrere
un tratto del sentiero che permette di aggirare uno sperone roccioso per
vederlo gradualmente comparire davanti al nostro sguardo.
Il piz Roseg si specchia sul laghetto lungo il sentiero per il rifugio Marinelli-Bombardieri al Bernina
Aggirato
lo sperone roccioso che scende verso nord-ovest dal gruppo delle cime
di Musella, il sentiero piega verso destra, alla volta del pianoro detritico
che si trova ai piedi della vedretta di Caspoggio, passando a destra di
un laghetto. Man mano che ci avviciniamo al pianoro, si apre, alla nostra
destra, una visuale sempre più ampia sulla vedretta di Caspoggio,
piccolo ghiacciaio che dovremo risalire all'inizio della sesta tappa e
dal quale scendono diversi torrentelli, che attraversiamo anche con l'ausilio
di un ponticello.
Non manca molto, ormai, alla meta, il rifugio Marinelli-Bombardieri al Bernina (m.
2813), ma l'ultimo tratto richiede ancora uno sforzo che, data la stanchezza,
appare severo. Il rifugio è, infatti, collocato su un grande sperone
roccioso posto a sud-ovest del crinale che scende dalla punta V Alpini
e dal passo Marinelli occidentale, per cui il sentiero che lo raggiunge
si inerpica, con diversi tornanti, sul pendio del suo fianco orientale.
Alla fine, però, dopo circa 7-8 ore dalla partenza, anche il grande
rifugio è raggiunto. Abbiamo superato, in salita, un dislivello
effettivo di circa 1300 metri.
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RIFUGIO LONGONI-RIFUGIO MARINELLI-BOMBARDIERI AL BERNINA
Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza
in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
Rif. Longoni-Pista-Laghetto e forca d'Entova-Vallone di Scerscen-Rif. Marinelli |
6 h |
1060 |
E |
SINTESI. Dal rifugio Longoni (m. 2450), seguendo le indicazioni della IV tappa dell'Alta Via della Valmalenco, procediamo verso ovest ed al bivio scendiamo verso sinistra, sul sentiero che confluisce nella pista per l'ex-rifugio Entova Scerscen. Giunti alla piazzola ad un tornante dx della pista, saliamo verso l'ex-rifugio, ignorando più avanti la deviazione a destra per il rifugio Palù (cioè lasciando la IV tappa dell'Alta Via e procedendo su una sua variante alta). Dopo diversi tornanti siamo al pianoro con una baita, al quale un tempo parcheggiavano i veicoli. Poco oltre la pista passa nei pressi del laghetto di Èntova superiore (m. 2738). La lasciamo prendendo a destra (segnavia: triangoli gialli) e passiamo a destra del laghetto, salendo il vallone di sfasciumi fino alla Forca d'Entova (m. 2831). Sempre seguendo i triangoli gialli, passiamo in mezzo a due pozze (laghetto Tricheco) e cominciamo a scendere sul fianco di un vallone laterale che confluisce nel Vallone di Scerscen, dapprima, con direzione est-nord-est, sul lato destro. Poi superiamo, passando a sinistra, la pozza quotata m. 2636, pieghiamo a sinistra e di nuvo a destra e proseguiamo la discesa sul fianco erboso di sinistra del vallone. a quota 2500
metri circa attraversiamo, verso destra, il modesto solco di un corso
d’acqua spesso asciutto, proseguendo
la discesa, senza percorso obbligato, sul ripido fianco erboso, fino
ad un corridoio erboso, a quota 2430 metri circa, raggiunto il quale
pieghiamo decisamente a sinistra, riprendendo, appena possibile, la
discesa, disegnando una diagonale verso sinistra. La discesa termina
in corrispondenza di una piccola morena, oltrepassata la quale, verso
destra, ci troviamo a percorrere un gentile pianoro, a quota 2340 circa. Pieghiamo leggermente a sinistra, raggiungendo tre
cartelli, che segnalano fra l'altro la direzione (nord) per il rifugio Marinelli-Bombardieri,
dato a 2 ore e mezza: la seguiamo passando vicino ad un
grande masso sul quale si trova una freccia bidirezionale gialla, in
direzione della parte terminale del vallone. Per
buona parte dell’itinerario rimanente non c’è una vera e propria
traccia, (massima attenzione ai segnavia). Aggirata sulla destra una caratteristica formazione di rocce biancastre ed arrotondate, il sentiero volge decisamente a sinistra
(direzione ovest), procedendo, per un buon tratto, in direzione della
vedretta di Scerscen inferiore. Per un tratto ci allontaniamo dal rifugio Marinelli (già visibile ad est), ma ad un bivio un cartello ci manda a destra, e torniamo a procedere verso il rifugio. Troviamo il primo ponte su un ramo del torrente Scerscen. Proseguiamo verso destra (nord-est), superando una fascia di sfasciumi e tagliando il filo di una prima morena. Raggiungiamo, così, la parte terminale del vallone,
ai piedi, anche se ad una certa distanza, dell’ultimo imponente
gradino roccioso in cima al quale si mostra l’impressionante seraccata
occidentale della vedretta di Scerscen superiore. Incontriamo altri due ponti, giungendo ai piedi della seraccata orientale della vedretta
di Scerscen superiore. Ci attende, poi, un facile guado, prima di risalire
una seconda morena, di cui seguiamo per un tratto il filo, in direzione
nord, prima di piegare a destra, in direzione est, raggiungendo una
fascia di grandi massi, oltre la quale ci attende un secondo guado,
un po’ più impegnativo. troviamo una nuova
fascia di sfasciumi. Qui dobbiamo prestare attenzione ai segnavia, per
non sbagliare direzione. L’itinerario
piega ora a destra, assumendo la direzione sud-est e salendo un ripido versante morenico; un ultimo traverso a destra ci porta al piazzale del rifugio Marinelli-Bombardieri al Bernina (m. 2812). |
La testata della Valmalenco dal sentiero per il rifugio Marinelli-Bombardieri al Bernina
Se ci troviamo al rifugio Longoni, possiamo traversare al rifugio Marinelli-Bombardieri al Bernina passando dalla forca d'Entova e scendendo al vallone di Scerscen, dove intercettiamo l'itinerario già descritto sopra. Si tratta di una traversata lunga, ma interessantissima ed affascinante per i luoghi solitari e suggestivi toccati.
Si tratta di una variante della V tappa dell'Alta Via, che passa per la forca d’
Éntova (buchèl de la scaròlda) e congiunge direttamente i rifugi Longoni
(m. 2450) e Marinelli,
Partiamo, dunque, dal rifugio Longoni, posto a 2450 metri, su un terrazzo
roccioso panoramico dal quale si domina l'alta Valmalenco e si gode
di un'ottima visuale sulla parete nord del monte Disgrazia e sulla testata
della Val Sissone (val de sisùm). Tornati al trivio che si incontra salendo al rifugio
dall’alpe Fora, scendiamo verso sud-est, seguendo la direzione
segnalata per San Giuseppe (san giüsèf o giüsèp) ed il rifugio Palù, su un ripido sentiero
che, superata una fascia di roccioni, attraversa un bel boschetto di
pini mughi, portandoci ad una piazzola che precede la strada sterrata
che dai Prati della Costa, sopra san Giuseppe, sale verso l'ex rifugio
Entova-Scerscen. Raggiunta la pista sterrata, seguiamo la segnalazione per il
rifugio Palù (che lo indica a 4 ore di cammino), cioè
proseguiamo, in leggera salita, verso sinistra, puntando decisamente
a nord-est. I triangoli gialli ci informano che stiamo percorrendo un
tratto della quarta tappa dell’Alta Via della Valmalenco, che
va da Chiareggio al rifugio Palù.
Dopo qualche tornante, ci attende un tratto pianeggiante, prima di raggiungere
il vallone dal quale scende il ramo occidentale del torrente Entovasco ("éntuàsch").
Qui, anche a stagione avanzata, possiamo trovare un nevaietto. Dopo
un breve tratto, incrociamo anche il ramo orientale del torrente, e
subito dopo il tracciato classico della quarta tappa dell’Alta
Via ci lascia, per addentrarsi in mare di massi, in direzione sud-est. Da
qui in avanti comincia una fitta serie di tornanti, che affronta l’aspro
versante montuoso, caratterizzato da rocce dalle forme aspre, bizzarre,
gotiche. Per un tratto scorgiamo, in alto, l’edificio dell’ex-rifugio,
che poi sparisce, mentre la salita si fa più faticosa. Un ultimo
tornante ci introduce al pianoro dove troviamo una baita. Qui parcheggiavano
i veicoli di quanti volevano raggiungere il rifugio con un breve percorso,
quando questo era aperto. Ora vi domina la solitudine: non sono in molti,
infatti, a scegliere questo percorso per un’escursione.
Poco oltre la baita ed un piccolo specchio d’acqua, una gradita
sorpresa: la pista passa nei pressi del bellissimo laghetto di Èntova (làach o lèèch d'éntua, m. 2738), una vera perla, alle cui spalle si disegna, netta, la forca
d’Entova (buchèta d’éntua, m. 2831). Ritroviamo, sul limite della pista, i segnavia
gialli, che segnalano la variante della quinta tappa dell’Alta
Via: seguendoli, lasciamo alla nostra sinistra la pista e cominciamo,
in direzione est, la traversata della fascia di massi che occupa interamente
il vallone chiuso, ad est, dalla forca. Il tracciato dettato dai segnavia
ci consente di guadagnare, senza eccessive difficoltà, i 2831
metri della forca di Entova, il punto più alto della traversata.
Apri qui una fotomappa dell'alto Vallone di Scerscen
Prima di lasciare l’alta Valmalenco, gettiamo però un’occhiata
sul panorama che si offre al nostro sguardo dal valico: il laghetto
d’Entova appare poco più in basso, nell’ampia conca
incorniciata, ad ovest, dal Sasso d’Entova (sasa d’éntua), la cui breve punta
sormonta un poderoso e frastagliato fronte roccioso. Alle spalle di
questo versante, in direzione ovest, si intravede la punta di Fora (sasa de fura o sasa ffura, m.
3363). Più
a sinistra chiudono l’orizzonte, sempre verso ovest, le cime di
Rosso e di Vazzeda. Verso est, invece, cioè in direzione della
Val Lanterna, appare una sequenza di cime poderose. Si distinguono,
da destra, il massiccio del monte delle Forbici (m. 2910; la denominazione è però erronea; viene chiamato localmente "bar óolt", perché le sue pendici nord-occidentali erano utilizzate per il pascolo di capre e pecore; alla sua sinistra
si trova la bocchetta omonima, appena sopra il rifugio Carate Brianza),
seguito dalle cime di Musella (m. 2990, 3079, 3094; più ad est, la cima di Caspoggio, m. 3136; queste vette sono chiamate, però, localmente, nel loro complesso, “sas di fòrbes”), che sovrastano la
vedretta di Caspoggio, e dalla punta Marinelli (m. 3182). Proseguendo
verso sinistra, scorgiamo il passo Marinelli orientale (m. 3120).
La discesa, che si conclude nel cuore del vallone di Scerscen, non presenta
difficoltà. I segnavia dettano un percorso che passa fra due
piccoli specchi d’acqua a quota 2800 (i laghèt), ben visibili dalla forca
(passando poco distante, sulla destra, di quello di sinistra). Scendendo
ancora, giungiamo in vista di un terzo specchio d’acqua, un po’
più grande, a quota 2636, a sinistra dell’imbocco di un
vallone detritico che scende nella nascosta ed ampia conca che ospita
il più misterioso lago della Valmalenco, il lago di Scarolda
(m. 2456). Il lago è nascosto dalle quinte oscure e selvagge
costituite dai roccioni nerastri del versante nord-occidentale del massiccio
del Sasso Nero. Il nostro itinerario non lo tocca: resta là dietro,
misterioso, in uno scenario degno di un’opera del genere fantastico.
Noi passiamo a sinistra dello specchio d’acqua e, dopo una breve
salita, ci affacciamo all’ampio versante di erbe e sfasciumi che
scende al vallone di Scerscen. Scesi di altri cento metri, a quota 2500
metri circa attraversiamo, verso destra, il modesto solco di un corso
d’acqua spesso asciutto, proseguendo
la discesa, senza percorso obbligato, sul ripido fianco erboso, fino
ad un corridoio erboso, a quota 2430 metri circa, raggiunto il quale
pieghiamo decisamente a sinistra, riprendendo, appena possibile, la
discesa, disegnando una diagonale verso sinistra. La discesa termina
in corrispondenza di una piccola morena, oltrepassata la quale, verso
destra, ci troviamo a percorrere un gentile pianoro, a quota 2340 circa.
Alla nostra sinistra si mostra una grande e tondeggiante formazione
di rocce biancastre e levigate, frutto del lavoro millenario del ghiacciaio
di Scerscen inferiore, il cui fronte si è ora di parecchio ritirato.
Proseguendo verso est, ci portiamo nel cuore del vallone di Scerscen:
alla nostra destra (sud), nascosta da alcuni modesti dossi, si trova
la bocchetta di quota 2360, per la quale passa il sentiero che, partendo
dall’alpe Musella, risale il vallone.
Noi dobbiamo, invece, piegare leggermente a sinistra, raggiungendo tre
cartelli, che segnalano la direzione (nord) per il rifugio Marinelli-Bombardieri al Bernina,
dato a 2 ore e mezza, quella per la bocchetta sopra citata (sud), vale
a dire per il Cimitero degli Alpini (poco ad est della bocchetta), dato
a 15 minuti, l’alpe Musella, data ad un’ora e 45 minuti,
ed il rifugio Longoni (dal quale siamo giunti noi), dato a 4 ore, ed
infine quella per il rifugio Carate Brianza (est), dato ad un’ora
e 10 minuti, ed il Monumento degli Alpini, dato ad un’ora e 30
minuti. È facile comprendere come si tratti di un crocevia di
molteplici possibilità escursionistiche. Seguiamo,
ora, le indicazioni per il rifugio Marinelli, passando vicino ad un
grande masso sul quale si trova una freccia bidirezionale gialla, in
direzione della parte terminale del vallone. Teniamo presente che per
buona parte dell’itinerario non c’è una vera e propria
traccia, per cui bisogna prestare molta attenzione per non perdere i
segnavia che indicano la direzione corretta. Aggirata sulla destra la
formazione rocciosa biancastra, il sentiero volge decisamente a sinistra
(direzione ovest), procedendo, per un buon tratto, in direzione della
vedretta di Scerscen inferiore. In questo tratto si impone allo sguardo,
verso nord-nord-est, il pizzo Sella, che mostra un elegante profilo.
La nostra meta, il rifugio Marinelli, già visibile, verso nord-ovest,
alla sommità dell’imponente sperone roccioso rossastro
che lo ospita, si allontana, alle nostre spalle, tanto che per un attimo
ci assale il dubbio sulla correttezza dell’itinerario. Alla fine,
però, un cartello della Comunità Montana Valtellina di
Sondrio ci tranquillizza. Esso segnala un bivio: prendendo a sinistra,
saliamo all’edificio dell’ex-rifugio Entova-Scerscen, dal
quale possiamo poi scendere ad una comoda pista che ci porta a San Giuseppe
(si tratta di una possibilità che può essere presa in
considerazione da chi voglia chiudere un anello che parte ed arriva
al rifugio Longoni); prendendo, invece, a destra ci portiamo ad un ponte,
che attraversa uno dei rami dello Scerscen, proseguendo nel cammino
verso la Marinelli. Il ponte, nuovo e robusto, è il primo dei
tre nuovi ponti che hanno sostituito quelli precedenti, travolti dalla
furia delle acque.
Oltrepassato
il ponte, l’itinerario prosegue verso destra, cioè in direzione
nord-est, superando una fascia di sfasciumi e tagliando il filo di una
prima morena. Raggiungiamo, così, la parte terminale del vallone,
ai piedi, anche se ad una certa distanza, dell’ultimo imponente
gradino roccioso in cima al quale si mostra l’impressionante seraccata
occidentale della vedretta di Scerscen superiore. Il silenzio è,
qui, rotto dal fragore delle acque e, qualche volta, da tonfi sordi
e fragorosi. Non si tratta di frane, ma della caduta di grandi blocchi
di ghiaccio che si staccano dal fronte della seraccata, precipitando
più a valle. Proseguendo nella traversata, incontriamo altri due ponti, giungendo ai piedi della seraccata orientale della vedretta
di Scerscen superiore. Ci attende, poi, un facile guado, prima di risalire
una seconda morena, di cui seguiamo per un tratto il filo, in direzione
nord, prima di piegare a destra, in direzione est, raggiungendo una
fascia di grandi massi, oltre la quale ci attende un secondo guado,
un po’ più impegnativo (mettiamo, quindi, in conto di poterci
bagnare i piedi nelle gelide acque di fusione: un cambio di calze è,
dunque, quanto mai opportuno). Un’eventuale sosta, necessaria,
magari, per cambiare le calze bagnate, ci permette di riconoscere le
cime che abbiamo lasciato alle nostre spalle,ad ovest: a destra della
cima 3006, riconosciamo ora, in sequenza ravvicinata, il Sasso d’Entova,
il pizzo Malenco ed il pizzo Tramoggia, che sormontano la vedretta di
Scerscen inferiore.
Oltre l’ultimo ramo del torrente Scerscen, troviamo una nuova
fascia di sfasciumi. Qui dobbiamo prestare attenzione ai segnavia, per
non sbagliare direzione. L’itinerario
piega ora a destra, assumendo la direzione sud-est. Mancano poco più
di cento metri, si tratta di profondere le ultime energie nella salita,
prima della meta. Un ripido tratto ci permette di guadagnare il bordo
di un’ampia conca di sfasciumi, raggiungendo, infine, una marcata
traccia, che conduce direttamente al rifugio Marinelli-Bombardieri al Bernina, che appare all'improvviso dopo un ultimo traverso a destra.
Da qui il panorama sui
giganti della Valmalenco, che dal cuore del vallone rimangono seminascosti,
è particolarmente felice: appaiono, in tutta la loro imponenza,
da sinistra il pizzo Roseg (da “rösa” o “rosa”, massa di ghiaccio, m. 3937), il pizzo Scerscen (m. 3971), il
pizzo Bernina (m. 4049) e la Cresta Güzza (m. 3869). L’ultimo
tratto, pur presentando un fondo largo e regolare, deve essere affrontato
con attenzione, perché è esposto. Alla fine, eccoci all’ampio
piazzale del rifugio Marinelli (m. 2813), che raggiungiamo dopo circa
6 ore di cammino (il dislivello in salita è di circa 1060 metri).
Dal piazzale si apre, verso est, il bellissimo scenario della vedretta
di Caspoggio, incorniciata, sulla destra, dalle cime di Musella orientale
(m. 3088) ed occidentale (m. 2990).
Apri qui una fotomappa del Vallone di Scerscen e della testata della Valmalenco
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TRAVERSATA RIFUGIO MARINELLI-BOMBARDIERI - RIFUGIO BIGNAMI PER LA BOCCHETTA DI CASPOGGIO
Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza
in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
Rif. Marinelli-Bocchetta di Caspoggio-Alpe Fellaria-
Rif. Bignami |
4 h |
350 |
EE |
SINTESI. Scendiamo dal rifugio Marinelli-Bombardieri al Bernina fino ai piedi dello sperone roccioso dove,
invece di proseguire a destra, verso la bocchetta delle Forbici, seguiamo la deviazione segnalata a sinistra (sud-est), in direzione del limite inferiore di sinistra della vedretta di Caspoggio.
Risalita una ganda, tocchiamo un nevaietto a valle rispetto alle roccette che chiudono il ghiacciaio
a sinistra. Messo piede sul ghiacciaio, seguiamo le tracce di coloro che sono già transitati
ad indicarci la via di risalita: pur essendo il ghiacciaio, nel suo lato nord-orientale
(di sinistra) poco crepacciato, non lo si deve mai prendere sottogamba. Descriviamo così un arco (sud-est) verso destra, in direzione della ben visibile bocchetta di Caspoggio (m. 2983). Una corda fissa aiuta a superare un liscio piano inclinato roccioso. Poi, toccata la prima neve, descriviamo un arco di cerchio
sulla destra, fino a raggiungere i primi massi di un largo vallone detritico.
La traccia, raggiunto il limite di una sorta di ampio balcone, comincia
a scendere più decisamente, serpeggiando fra i massi di un ampio vallone (direzione est). Pieghiamo poi leggermente a destra, ed ancora a sinistra, allontanandoci dal centro del vallone. Scendiamo così all'ampio ripiano dell'alpe di Fellaria (m. 2400), che raggiungiamo dopo aver piegato a destra ed attraversato un torrentello. Pieghiamo poi a sinistra ed in breve siamo al rifugio Bignami (m. 2385). |
Classicissima, dal rifugio Marinelli-Bombardieri al Bernina, la traversata al rifugio Bignami per la bocchetta di Caspoggio, sesta tappa dell'Alta Via della Valmalenco, che ci fa rimanere nel cuore del gruppo
del Bernina.
Apri qui una fotomappa della salita alla bocchetta di Capoggio
Tocchiamo in essa, proprio
sui 2983 metri della bocchetta di Caspoggio, il punto più alto
dell'intera alta via. Ci attende anche una breve esperienza di risalita
di un ghiacciaio, la vedretta di Caspoggio, annidato a settentrione della
cima di Caspoggio (m. 3136) e delle cime di Musella (m. 2990, 3079, 3094; queste vette, insieme alla cima di Caspoggio, sono chiamate, però, localmente, nel loro complesso, “sas di fòrbes”).
Per attaccare il piccolo ghiacciaio dobbiamo ripercorrere in discesa l'ultimo
tratto della quinta tappa, fino ai piedi dello sperone roccioso del rifugio
Marinelli.Qui,
invece di proseguire a destra, verso la bocchetta delle Forbici (buchèl di fòrbes), puntiamo
verso sud-est, in direzione del limite inferiore di sinistra del ghiacciaio.
Per raggiungerlo dobbiamo risalire una ganda, per poi toccare il primo
lembo di neve, a valle rispetto alle roccette che chiudono il ghiacciaio
a sinistra. In genere sono le tracce di coloro che sono già transitati
ad indicarci la via di risalita, e le dobbiamo seguire scrupolosamente,
perché, pur essendo il ghiacciaio, nel suo lato nord-orientale
(di sinistra) poco crepacciato, non lo si deve mai prendere sottogamba.
Piccoli crepacci, infatti, possono celarsi sotto la superficie innevata,
anche a poca distanza dalla via percorsa. Capita, qualche volta, di vedere
qualche escursionista sprovveduto risalire o scendere la vedretta con
un equipaggiamento che ricorda la famosa canzone di Jannacci il cui testo
recita: "El purtava i scarp de tenis..." Ci vogliono invece
calzature adeguate; un paio di ramponi ed una piccozza non sono affatto
di troppo (per sicurezza, chiedere ai gestori del rifugio Marinelli notizie
sulle condizioni della neve).
Apri qui una panoramica sul ghiacciaio e la bocchetta di Caspoggio
La
via di salita descrive un arco che si tiene sempre sul lato sinistro del
ghiacciaio, approssimandosi all'evidente sella della bocchetta. La salita
verso la bocchetta ci permette di ammirare da vicino altri due giganti
del gruppo del Bernina, che nella precedente tappa ci sono rimasti nascosti.
Si tratta del piz Argient (m. 3915) e del piz Zupò (che significa “nascosto”, da “zuper”, nascondere, m. 3995), le cui lisce e monolitiche pareti suscitano una vivida
impressione di potenza e solennità. Più lontane e defilate,
ma sempre regali appaiono, infine, a nord-ovest le ormai familiari cime
dei pizzi Roseg (da “rösa” o “rosa”, massa di ghiaccio), Scerscen e Bernina.
Apri qui una fotomappa della salita alla bocchetta di Caspoggio
La bocchetta di Caspoggio è una spaccatura nell'aspro crinale roccioso che congiunge
la punta Marinelli (m. 3182) alla cima di Caspoggio (m. 3136).
Dall'altra
parte sembra aprirsi un nuovo mondo: non più le torreggianti e
maestose cime del gruppo del Bernina, ma una profonda fuga di quinte,
montagne dietro le quali si profilano altre montagne, fino ad un orizzonte
lontano di alte cime che scorgiamo appena. In primo piano si aprono davanti
ai nostri occhi la valle Confinale (canfinààl) e Poschiavina, naturali porte sulla
più grande Val Poschiavina, in territorio svizzero.
Apri qui una panoramica sul vallone di Scerscen dalla bocchetta di Caspoggio
Il
primo tratto della discesa sul nevaio che si trova sotto la bocchetta
richiede attenzione, perché si deve superare una piccola fascia
rocciosa, con l'ausilio di corde fisse. Poi, toccata la prima neve, si
prosegue con maggiore tranquillità, descrivendo un arco di cerchio
sulla destra, fino a raggiungere i primi massi di un largo vallone detritico.
La bocchetta rimane visibile ancora per un buon tratto, finché
la traccia, raggiunto il limite di una sorta di ampio balcone, comincia
a scendere più decisamente, serpeggiando fra i massi del vallone.
Apri qui una panoramica verso est dalla bocchetta di Caspoggio (a destra: il pizzo Scalino)
Nell'ulteriore discesa non mancano i motivi di interesse panoramico: alla
nostra destra ottima è la visuale sul pizzo Scalino (m. 3323) e
sulla sua vedretta, mentre a sinistra comincia ad aprirsi lo scenario
della vedretta di Fellaria Orientale, che si stende sotto le propaggini
orientali della testata della Valmalenco, chiusa dal piz Varuna (o pizzo
Verona, m. 3453).
Apri qui una panoramica sulla Val Lanterna dal sentiero di discesa al rifugio Bignami
Più
scendiamo, maggiori sono i particolari che la complessa architettura montuosa
che ci circonda rivela ai nostri occhi. Guardando di nuovo a destra, scorgiamo
la tozza e massiccia mole del fianco nord-orientale del Sasso Moro (m.
3108), a destra del quale si mostra anche la forca di Fellaria (buchèl de felérìe, m. 2819),
che, al termine di un vallone detritico, permette di scendere, attraverso
un vallone gemello, nell'alta valle di Musella; vi è infatti un
percorso segnalato che conduce fin nei pressi del rifugio Carate Brianza.
Apri qui una panoramica dal rifugio Bignami
Scesi ormai all'alpe Fellaria (m. 2401), possiamo tornare ad ammirare,
alla nostra sinistra, la poderosa mole del piz Argient e del piz Zupò,
sotto i quali si stende la vedretta di Fellaria. Da essa scendono diversi
torrentelli, che superano l'ultimo gradone roccioso con fragorose cascate.
L’alpe Fellaria (o Fellerìa, in dialetto “felerìe”) merita un breve discorso. Si tratta, infatti, di uno dei più alti alpeggi alpini, posta, com’è, a 2400 metri. Il suo centro è posto in un piccolo avvallamento che pone le baite al riparo dai venti che spirano dai ghiacciai omonimi. Fino alla metà degli anni Settanta del secolo scorso era caricata da una decina di famiglie della contrada di Ganda (Lanzada), ciascuna con il proprio soprannome (i re,i gat, i santin, i mau, i gnolii, i tonitoni, i alpin, i öc, i péteréi), con una settantina di capi che salivano fin qui dopo aver sostato nei sottostanti alpeggi di Campomoro (cammòor) e di Gera (prima che gli attuali invasi li sommergessero); oggi, invece, da molti anni nessun capo di bestiame pascola più nella splendida cornice dell’alta Valle di Campomoro.
Anche la sesta tappa volge ormai alla fine: poco al di sotto dell'alpe
Fellaria, infatti, a 2385 metri raggiungiamo il rifugio Bignami , dopo
circa 4 ore di cammino. Il dislivello superato in salita è il più
modesto fra le tappe dell'alta via, 350 metri circa. La
tappa è quindi, insieme all'ottava ed ultima, la più breve
e meno faticosa in questa maratona fra i monti della Valmalenco, ma certamente
non la meno suggestiva.
Apri qui una fotomappa del Vallone di Scerscen e della testata della Valmalenco
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TRAVERSATA RIFUGIO MARINELLI-BOMBARDIERI - RIFUGIO BIGNAMI PER IL PASSO MARINELLI ORIENTALE
Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza
in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
Campomoro-Rif. Carate Brianza-Rif. Marinelli-Passo Marinelli or.-Ghiacciaio di Fellaria or.-Sentiero Marson-Rif- Bignami-Campomoro |
7 h |
1260 |
EE |
SINTESI. Saliamo in Valmalenco, a Lanzada, e proseguiamo sulla carozzabile che raggiunge Campo Franscia e prosegue terminando a Campomoro (m. 1990), presso l'omonima diga artificiale. Parcheggiamo all'ampio spiazzo ed attraversiamo il coronamento della diga, scendendo, sul lato opposto, su una pista sterrata che dopo pochi tornanti porta ad una piazzola. Di qui parte un largo sentiero che risale ripido l'aspro versante meridionale del Sasso Moro, verso ovest. Al termine della salita volge a destra (nord) ed inizia una lunga traversata, salendo molto moderatamente, verso nord-nord-ovest, sull'alto versante del bacino di Musella, prima fra radi larici, poi all'aperto, fino ad intercettare il sentiero della V tappa dell'Alta Via della Valmalenco. Il sentiero poi risale, ripido, una serie di dossi e conduce al rifugio Carate-Brianza (m. 2636). Dal rifugio saliamo alla vicinissima Bocchetta delle Forbici e, sempre seguendo i triangoli gialli della V tappa dell'Alta Via della Valmalenco procediamo nel vallone di Scerscen, passando alti, a destra, del lago delle Forbici, verso nord-nord-ovest, ed aggirando uno sperone roccioso e piegando gradualmente a destra (est), passando a sinistra del lago delle Forbici ed a destra di un microlaghetto. Pieghiamo poi leggemrnete a sinistra, scendendo a guadare alcuni torrentelli, poi risaliamo la china che ci porta ai piedi dello sperone sulla cui cima è posto il rifugio Marinelli. la traccia volge bruscamente a sinistra e, ignorata la deviazione a destra per la bocchetta di Caspoggio ed il passo Marinelli Orientale, saliamo con ripidi tornantini verso ovest, fino al rifugio Marinelli-Bombardieri al Bernina (m. 2813). Seguiamo le indicazioni del cartello che
segnala il rifugio Marco e Rosa (m. 3606), posto
all’inizio del sentiero (a destra del rifugio, per chi guarda
a monte) che lascia il piazzale e comincia a salire, fra sfasciumi,
in direzione nord-est. I numerosi segnavia (bandierine rosso-bianco-rosse
e triangoli gialli dell’Alta Via della Valmalenco, di cui stiamo
percorrendo la variante alta della sesta tappa) ci aiutano ad individuare
il percorso meno faticoso fra gli sfasciumi ed i roccioni. Dopo un primo
tratto comune, i due percorsi si dividono: le bandierine segnalano,
sulla sinistra, il percorso per il rifugio Marco e Rosa, mentre i triangoli gialli segnalano
quello per il passo Marinelli orientale, per il quale dobbiamo passare.
Nella salita, attraversiamo verso destra alcuni torrentelli, che scendono
dalla vedretta di Fellaria, superiamo, con attenzione, una fascia di
roccioni, risaliamo per breve tratto un piccolo nevaietto, sotto il
quale scorre un torrentello, lo lasciamo alla nostra sinistra ed approdiamo
ad un microlaghetto, posto a valle della punta V Alpini (m. 3333). Lo oltrepassiamo e saliamo verso ovest fino al culmine del cordone che si affaccia sulla vedretta di Fellaria orientale. Siamo così al passo Marinelli orientale (m. 3120). Per la discesa regoliamoci così (adottando tutte le cautele di una traversata su ghiaccicio). Se guardiamo in direzione del pizzo Scalino (cioè verso sud-est)
vediamo che la vedretta è delimitata, nella sua parte bassa (lato
meridionale), da una crestina rocciosa, che scende verso sinistra. Dobbiamo
scendere, con pendenza modesta, senza allontanarci troppo dal limite
di destra del ghiacciaio ed aggirando alcune linee di crepa, in direzione
di tale crestina. Passiamo, così, a sinistra di una piccola fascia
di rocce, oltre la quale scorgiamo, sulla nostra destra, una prima ampia
sella raggiunta dalla neve (m. 2967) ed una seconda bocchetta sormontata
da un grande ometto (m. 3000).
Piegando, quindi, leggermente a sinistra (cioè verso est) seguiamo
il versante della crestina, fino a raggiungerne il limite orientale,
oltre il quale, appena sotto, sulla destra, vediamo una sella sul bordo
della vedretta, dalla quale scende un torrentello. Dobbiamo, quindi,
piegare gradualmente a destra (est-sud-est) e scendere a questa depressione. A sinistra della sella si trova una modesta formazione
rocciosa: su una grande roccia possiamo leggere, anche da una certa
distanza, la scritta, in giallo, “Alta Via”, con una freccia
che indica in alto a destra. Lasciamo, così, il ghiacciaio e scendiamo seguendo i triangoli gialli e gli ometti su un versante ripido, sfruttando alcune cengette, raggiungiamo un ampio ripiano, a sinistra di un nevaietto.
Dobbiamo, ora, piegare decisamente a sinistra (nord) ed attraversare la conca ed affacciarci ad un ampio canalone
di sfasciumi, sul cui fondo si trova un laghetto. Una traccia di sentiero
corre sulla sinistra, rimanendo alta, a ridosso del versante roccioso,
ed una seconda traccia, indicata dai triangoli gialli dell’Alta
Via, scende, invece, più diretta, verso destra, raggiungendo
la riva occidentale del laghetto Fasso, posto ad una quota di 2642 metri.
Il lato settentrionale del laghetto è delimitato
da una morena, sul cui filo corre la parte terminale del ramo “A”
del sentiero glaciologico Luigi Marson. Lo raggiungiamo e lo seguiamo verso sud est. Proseguiamo sul filo della morena, poi attraversiamo,
verso sud, un breve pianoro e ci affacciamo a monte della dolce piana
dell’alpe di Fellaria. La discesa alla piana avviene facilmente,
su traccia di sentiero, su un versante occupato da pascoli e massi. Raggiunta la piana, attraversiamo un primo torrentello, per poi scendere
ad attraversare, su un ponticello, un secondo torrente. Pochi passi
ancora e, oltrepassate le baite dell’alpe di Fellaria (m. 2401),
raggiungiamo il rifugio Bignami (m. 2385). Dal rifugio, seguendo il marcato sentiero che scende verso sud-sud-ovest tagliando il versante orientale del Sasso Nero, scendiamo al camminamento della diga di Gera. Lo attraversiamo e scendiamo dal lago opposto, al grande parcheggio ed alla pista che riporta a Campomoro. |
Apri qui una panoramica del passo Marinelli orientale
La traversata al rifugio Bignami può avvenire però anche per una diversa e più impegnativa via, il passo Marinelli orientale e la vedretta di Fellaria occidentale. Si tratta di una variante che richiede attenzione ed esperienza escursionistica. Per effettuare la traversata alta, seguiamo le indicazioni del cartello che
segnala il rifugio Marco e Rosa (m. 3606), posto
all’inizio del sentiero (a destra del rifugio, per chi guarda
a monte) che lascia il piazzale e comincia a salire, fra sfasciumi,
in direzione nord-est. I numerosi segnavia (bandierine rosso-bianco-rosse
e triangoli gialli dell’Alta Via della Valmalenco, di cui stiamo
percorrendo la variante alta della sesta tappa) ci aiutano ad individuare
il percorso meno faticoso fra gli sfasciumi ed i roccioni. Dopo un primo
tratto comune, i due percorsi si dividono: le bandierine segnalano,
sulla sinistra, il percorso per il rifugio Marco e Rosa, che passa per
il passo Marinelli occidentale, mentre i triangoli gialli segnalano
quello per il passo Marinelli orientale, per il quale dobbiamo passare.
Apri qui una panoramica della Punta V Alpini
Nella salita, attraversiamo verso destra alcuni torrentelli, che scendono
dalla vedretta di Fellaria, superiamo, con attenzione, una fascia di
roccioni, risaliamo per breve tratto un piccolo nevaietto, sotto il
quale scorre un torrentello, lo lasciamo alla nostra sinistra ed approdiamo
ad un microlaghetto, posto a valle della punta V Alpini (m. 3333), che,
vista da qui, ha un aspetto davvero elegante. Alle sue spalle si profila
l’imponente complesso costituito dai pizzi Argient (m. 3945) e
Zupò (che significa “nascosto”, da “zuper”, nascondere, m. 3995), mentre, da una suggestiva finestra sulla sinistra,
occhieggiano i pizzi Roseg e Scerscen. Alla nostra destra è facilmente
individuabile lo sperone roccioso della punta Marinelli (m. 3182); alle
sue spalle, più a destra ancora, si
apre una bella finestra che mostra la parte superiore della vedretta
di Caspoggio ed il versante settentrionale della cime di Musella.
Il passo Marinelli orientale, per il quale dobbiamo passare, è
posto appena dietro il crinale del lembo occidentale della vedretta
di Fellarìa (o Fellerìa) occidentale. Qualche nota per
chi percorresse la traversata in senso opposto, cioè dalla Bignami
alla Marinelli: il laghetto costituisce il punto di riferimento fondamentale
nel passaggio dal ghiacciaio ad canalone che scende verso la Marinelli.
Bisogna seguire il torrentello emissario, rimanendo alla sua sinistra,
fino al nevaietto, che va attraversato verso destra nella parte mediana,
appena prima della strozzatura, approdando, risalito un breve gradino
di roccia, alla fascia di roccioni che si scende seguendo i triangoli
gialli.
Apri qui una panoramica sul vallone di Scerscen dalla bocchetta di Caspoggio
Torniamo al racconto della traversata: la salita ai 3120 metri del passo Marinelli orientale avviene facilmente, rimanendo nei pressi del margine destro del ghiacciaio.
Ci affacciamo, così, ad un panorama grandioso: alla nostra sinistra
i pizzi Argient e Zupò si mostrano in tutta la loro imponenza,
ed alla loro destra vediamo la grande colata del ghiacciaio che scende
dalla vedretta di Fellaria orientale. Dietro il limite superiore di
quest’impressionante corridoio di ghiaccio, si scorge appena la
punta del piz Palü (m. 3905). Proseguendo verso destra, ecco la
massiccia costiera che scende dal passo dei Sassi Rossi (m. 3510), presso
il quale si scorge il bivacco Pansera (m. 3546), fino alla cima del
Sasso Rosso (m. 3481). Dietro questa costiera, a destra, appare il piz
Veruna (m. 3453), sull’angolo nord-orientale della testata della
Valmalenco. Alla
sua destra, la più modesta cima Fontana (m. 3070) e, alle sue
spalle, sul fondo, uno scorcio del versante orientale della Valle di
Poschiavo e le lontane cime del gruppo dell’Adamello e dell’Ortles-Cevedale.
Verso sud-est, infine, si impone allo sguardo il pizzo Scalino (m. 3323),
che mostra, a sinistra, la sua vedretta, chiusa dal pizzo Canciano (m.
3103).
Dal passo possiamo anche dominare la configurazione del ghiacciaio,
la vedretta di Fellarìa occidentale, che ci appare come una vasta
conca con un bordo dalla pendenza moderata. Dobbiamo scendere verso
sud-sud-est, descrivendo un arco che ci mantiene non lontani dal bordo
di destra del ghiacciaio e scegliendo una linea di traversata che eviti
le più pronunciate linee di crepa che, nella stagione avanzata,
sono ben visibili.
Nella traversata dobbiamo adottare tutte le misure necessarie quando
si procede su ghiacciaio, cioè dobbiamo procedere in cordata,
muniti di piccozza, ramponi ed occhiali da sole. Non è, questo,
un ghiacciaio che faccia paura, ma merita il dovuto rispetto. Quanto
ai crepacci, vale la pena di meditare su quanto scrive Fulvio Campiotti,
nel volume “Come si va in montagna” (Italia Bella, Milano,
1951): “ I crepacci…sono di due qualità: quelli che
si vedono e quelli che non si vedono. I primi si trovano generalmente
nella parte inferiore, non innevata, dei ghiacciai e non sono pericolosi.
Le loro, talvolta enormi e paurose, cavità possono impressionare
o intimorire… ma… il ghiaccio, anche se verde o nero, quando
è scoperto non tradisce mai. I crepacci invece che non si vedono
o che occhieggiano fra la coltre nevosa che ricopre la parte media e
superiore dei ghiacciai
sono pericolosissimi perché non sono facilmente individuabili
o non palesano la loro vera identità. Buchette da nulla possono
invece celare caverne addirittura. Sui ghiacciai innevati bisogna quindi
marciare sempre legati e con la massima attenzione”.
Il terreno
va quindi sempre sondato con attenzione usando la piccozza e bisogna
tenere presente che la neve che ricopre i crepacci è sempre più
candida. Torniamo alla nostra traversata.
Se guardiamo in direzione del pizzo Scalino (cioè verso sud-est)
vediamo che la vedretta è delimitata, nella sua parte bassa (lato
meridionale), da una crestina rocciosa, che scende verso sinistra. Dobbiamo
scendere, con pendenza modesta, senza allontanarci troppo dal limite
di destra del ghiacciaio ed aggirando alcune linee di crepa, in direzione
di tale crestina. Passiamo, così, a sinistra di una piccola fascia
di rocce, oltre la quale scorgiamo, sulla nostra destra, una prima ampia
sella raggiunta dalla neve (m. 2967) ed una seconda bocchetta sormontata
da un grande ometto (m. 3000).
Apri qui una panoramica sul ghiacciaio di Fellaria occidentale
Piegando, quindi, leggermente a sinistra (cioè verso est) seguiamo
il versante della crestina, fino a raggiungerne il limite orientale,
oltre il quale, appena sotto, sulla destra, vediamo una sella sul bordo
della vedretta, dalla quale scende un torrentello. Dobbiamo, quindi,
piegare gradualmente a destra (est-sud-est) e scendere a questa depressione.
Chi
effettuasse la traversata in senso contrario deve, invece, lasciare
la depressione e, tendendo leggermente a sinistra e seguendo l’andamento
del bordo sinistro della vedretta, salire passando a destra della lingua
di roccette che precede di poco il passo e prestando attenzione ad una
fascia di linee di crepa.
Torniamo alla discesa. A sinistra della sella si trova una modesta formazione
rocciosa: su una grande roccia possiamo leggere, anche da una certa
distanza, la scritta, in giallo, “Alta Via”, con una freccia
che indica in alto a destra. Lasciamo, così, il ghiacciaio e,
seguendo il torrentello emissario, scendiamo alla roccia con la scritta
“Alta Via”. La traversata affronta, ora, in la discesa di
un versante piuttosto ripido, che si trova immediatamente a valle delle
formazioni rocciose con la scritta “Alta Via” e che è
occupato da roccioni e sfasciumi, sulla sinistra (per chi scende) del
torrentello. La discesa termina in un’ampia conca occupata da
una ganda, di cui vediamo già il lato sud-orientale, con la punta
quotata 2840 metri, dietro la quale rimane visibile il pizzo Scalino.
Apri qui una panoramica dal passo Marinelli orientale, verso est
La freccia vicino alla scritta “Alta Via” indica una possibile
direttrice di discesa, che, dopo un primo brevissimo tratto a destra,
piega a sinistra. È possibile anche, dal punto nel quale lasciamo
il ghiacciaio, procedere subito verso sinistra, seguendo numerosi ometti. Questa
seconda direttrice ci permette di passare a destra, e ad una certa distanza,
da un piccolo specchio d’acqua, che regala un quadretto stupendo:
sopra il laghetto si mostra la grande seraccata che caratterizza la
parte orientale del ghiacciaio di Fellaria occidentale, ai piedi delle
punte, che da qui paiono gemelle, dei pizzi Argient e Zupò. Pieghiamo,
ora, a destra, fino a raggiungere un canalino, e seguiamo con attenzione
gli ometti: l’ultima parte della discesa, infatti, è abbastanza
ripida, e dobbiamo procedere con prudenza per evitare di scivolare o
di far rotolare sassi verso valle.
Alla fine raggiungiamo il pianoro della conca, a sinistra di un nevaietto.
Dobbiamo, ora, piegare decisamente a sinistra (nord), attraversare la conca ed affacciarci ad un ampio canalone
di sfasciumi, sul cui fondo si trova un laghetto. Una traccia di sentiero
corre sulla sinistra, rimanendo alta, a ridosso del versante roccioso,
ed una seconda traccia, indicata dai triangoli gialli dell’Alta
Via, scende, invece, più diretta, verso destra, raggiungendo
la riva occidentale del laghetto Fasso, posto ad una quota di 2642 metri.
Alle spalle del laghetto sono bel visibili, verso est, il piz Varuna
e la cima Fontana.
Apri qui una panoramica dal passo Marinelli orientale
Il lato settentrionale del laghetto è delimitato
da una morena, sul cui filo corre la parte terminale del ramo “A”
del sentiero glaciologico Luigi Marson, nel quale la variante alta della
sesta tappa dell’Alta Via, che stiamo percorrendo, si innesta
nella sua parte conclusiva.
Salendo
sul filo della morena, troviamo, in corrispondenza di un punto panoramico,
una targa che ci illustra la natura del ghiacciaio di cui possiamo godere,
da qui, di un’ottima visuale. Le morene, come spiega la targa,
sono state formare dall’avanzata dei ghiacciai, che, con un’azione
paragonabile a quella di una ruspa, hanno eretto queste grandi colline
di detriti sui loro lati. L’ultima avanzata del ghiacciaio di
Fellaria risale alla piccola età glaciale compresa fra la metà
del secolo XVI alla metà del secolo XIX. Tale avanzata portò,
nell’Ottocento, il ghiacciaio, fino alla piana ora occupata dal
grande invaso artificiale di Gera, poco al di sopra dei 2100 metri.
Iniziò poi una progressiva ritirata: agli inizi del Novecento
le due grandi seraccate della parte orientale ed occidentale del ghiacciaio
erano ancora unite, ma si divisero negli anni Trenta, ed ore presentano
fronti nettamente separati. Con uno sforzo di immaginazione possiamo
ricostruire lo scenario del ghiacciaio nella sua massima imponenza,
quando, dal punto in cui siamo, si poteva accedere direttamente al ghiacciaio
ed attraversare l’intera valle verso est.
Guardando in basso, dominiamo buona parte dell’ampia piana dove
confluiscono i torrenti che scendono dal ghiacciaio. Guardando verso
sud-est, infine, vediamo la verde val Confinale, che si apre a monte
dell’alpe Gembrè, e che culmina nel passo Confinale, presso
il quale si trova il bivacco Anghileri-Rusconi.
Riprendiamo
la discesa: troviamo ora, accanto ai triangoli gialli, i bolli blu del
sentiero glaciologico. Disceso il filo della morena, attraversiamo,
verso sud, un breve pianoro e ci affacciamo a monte della dolce piana
dell’alpe di Fellaria. La discesa alla piana avviene facilmente,
su traccia di sentiero, su un versante occupato da pascoli e massi.
Vediamo già il bacino della diga di Gera e, guardando a destra
(sud ovest) i due passi attraverso i quali si effettuano la versione
classica e la variante bassa della sesta tappa dell’Alta Via,
vale a dire la bocchetta di Caspoggio (a destra) e la forca di Fellaria
(buchèl de felérìe, a sinistra), separati dalla formazione rocciosa che culmina con la
quota 3069.
Raggiunta la piana, attraversiamo un primo torrentello, per poi scendere
ad attraversare, su un ponticello, un secondo torrente. Pochi passi
ancora e, oltrepassate le baite dell’alpe di Fellaria (m. 2401),
raggiungiamo il rifugio Bignami (m. 2385), collocato su un ampio terrazzo
che domina il lago di Gera. Nei pressi del rifugio troviamo il sentiero
che scende verso la muraglia che sbarra la diga, e che corre sul versante denominato "còsto granda" e sulla parte
bassa del possente versante sud-orientale del Sasso Moro. L’ultima
parte del sentiero, intagliata nella viva roccia, propone qualche saliscendi,
prima di condurci sul lato occidentale del camminamento della poderosa
muraglia della diga di Gera (dighe de la Gère) che, con i suo 65 milioni di metri cubi,
è una delle più grandi d’Italia.
Attraversando
il camminamento, possiamo gustare, sia a valle che a monte, di un ottimo
panorama. Verso nord vediamo, a destra della cima del Sasso Rosso, la
seraccata che scende dal ramo orientale del ghiacciaio di Fellaria e,
alla sua destra, il piz Veruna. Verso sud, invece, dominiamo la piana
di Campomoro, occupata dall’omonima diga, e possiamo scorgere,
sulla destra, il monte Disgrazia. Dal camminamento scendiamo ai piedi
della muraglia e procediamo su una pista sterrata che fiancheggia il
lato orientale della diga di Campomoro (dighe de cammòor, anch’essa imponente, con
i suoi 10 milioni di metri cubi d’acqua), raggiungendo infine,
dopo circa 7 ore di cammino, l’automobile (se, ovviamente, siamo saliti al rifugio Marinelli nella medesima giornata partendo da Campomoro).
Apri qui una fotomappa della discesa dal passo Marinelli or. al rif. Bignami
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TRAVERSATA RIFUGIO MARINELLI-BOMBARDIERI - RIFUGIO BIGNAMI PER LA FORCA DI FELLARIA
Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza
in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
Campomoro-Rif. Carate Brianza-Bocchetta di Fellaria-Rif. Bignami-Campomoro |
4 h e 30 min. |
900 |
E |
SINTESI. Saliamo in Valmalenco, a Lanzada, e proseguiamo sulla carozzabile che raggiunge Campo Franscia e prosegue terminando a Campomoro (m. 1990), presso l'omonima diga artificiale. Parcheggiamo all'ampio spiazzo ed attraversiamo il coronamento della diga, scendendo, sul lato opposto, su una pista sterrata che dopo pochi tornanti porta ad una piazzola. Di qui parte un largo sentiero che risale ripido l'aspro versante meridionale del Sasso Moro, verso ovest. Al termine della salita volge a destra (nord) ed inizia una lunga traversata, salendo molto moderatamente, verso nord-nord-ovest, sull'alto versante del bacino di Musella, prima fra radi larici, poi all'aperto, fino ad intercettare il sentiero della V tappa dell'Alta Via della Valmalenco. Il sentiero poi risale, ripido, una serie di dossi e conduce al rifugio Carate-Brianza (m. 2636). Seguendo le indicazioni di un cartello a lato del rifugio Carate Brianza, procediamo su traccia di sentiero verso ovest-nord-ovest, tagliando il versante meridionale ai piedi delle cime di Musella. Seguiamo gli abbondanti segnavia biancorossi (ma anche triangoli gialli, perché percorriamo una variante bassa della VI tappa dell'Alta Via della Valmalenco), che ci aiutano a districarci in una fascia di blocchi e sfasciumi. Nella seconda parte della traversata pieghiamo verso destra (sud-est) e ci portiamo al centro del vallone che sale alla forca di Fellaria, poi su quello di destra (per noi). Dopo aver guadagnato un po’ di quota sul versante destro, iniziamo
la parte terminale della traversata, con andamento più tranquillo,
in direzione sud-est, verso l’evidente depressione della forca.
Dopo circa un’ora di cammino dal rifugio Carate Brianza,
ci affacciamo alla forca di Fellaria (2819 m.). Scendiamo
in un ampio vallone, compreso fra il vallone gemello che culmina nella
bocchetta di Caspoggio, a nord, ed il versante settentrionale del Sasso
Moro, a sud; piegando a destra, ci portiamo sul suo lato destro, fino
a raggiungere, sempre guidati dai segnavia, un pianoro percorso da un pigro torrentello. Procediamo, quindi, in direzione est-nord-est, con
andamento pianeggiante. La traccia non sempre è visibile, ma la traversata, senza problemi,
ci conduce sulle soglie di un modesto avvallamento, nel quale scendiamo
da destra, raggiungendo il punto in cui il sentiero confluisce in quello
che, salendo dal rifugio Bignami, conduce alla bocchetta di Caspoggio.
Percorrendolo verso destra, siamo in breve alle baite dell’alpe
di Fellaria (m. 2401) e, a breve distanza, al rifugio Bignami (m. 2385). Dal rifugio, seguendo le abbondanti segnalazioni, scendiamo lungo il marcato sentiero (via d'accesso normale al rifugio) che taglia la parte bassa del selvaggio fianco orientale del Sasso Moro (non indugiamo nella discesa, perché c'è pericolo di caduta di massi) e che termina al camminamento della diga di Gera. Ci portiamo sul suo lato pposto e scendiamo all'ampian spianata-parcheggio ai piedi del muraglione della diga. Percorrendo na pista sterrata che passa a sinistra della diga di Campomoro torniamo all'automobile. |
Apri qui una panoramica della Forca di Fellaria
Pochi sanno, infine, che la traversata al rifugio Bignami può avvenire anche per una via più bassa, rispetto alla bocchetta di Caspoggio, e priva dell'impegno richiesto dalla traversata di un ghiacciaio: si tratta della via che comporta una ridiscesa al rifugio Carate Brianza ed una successiva facile traversata che sfrutta la forca di Fellaria e porta all'alpe omonima, nei cui pressi è situato il rifugio Bignami.
Si tratta di una variante della VI tappa dell'Alta Via della Valmalenco, meno spettacolare delle
due più alte, ma che può essere presa in considerazione
da chi, per qualsiasi motivo, non se la senta di affrontare un tratto
di traversata su ghiacciaio. In questo caso, raggiunto il rifugio Marinelli
al termine della quinta tappa, si ridiscende, il giorno successivo,
al rifugio Carate Brianza (la discesa richiede poco più di mezzora
di cammino) e si inizia, da qui, la traversata.
Se, invece, la effettuiamo come escursione a sé stante, dobbiamo
partire, come già detto, dalla diga di Campomoro (m. 1990), che
si raggiunge salendo, da Chiesa Valmalenco (a 15,5 km da Sondrio) verso
Campo Franscia (m. 1550, 8 km da Chiesa Valmalenco) e da Campo Franscia,
su strada interamente asfaltata, a Campomoro (6 km da Campo Franscia).
Qui si trova ampia possibilità di parcheggio. Lasciata l’automobile,
iniziamo il cammino attraversando, sul camminamento, la corona della
grande diga e portandoci sul suo lato settentrionale, dove troviamo
una pista che scende ad uno spiazzo sottostante. Qui parte il più
frequentato sentiero per il rifugio Marinelli-Bombardieri al Bernina.
Nel
primo tratto sale, ripido, sull’aspro versante meridionale del Sasso Moro (m. 3108), con qualche tratto esposto protetto da corrimano.
Il sentiero volge poi gradualmente a destra (nord-ovest), raggiungendo
un più tranquillo bosco di larici, che attraversiamo percorrendo
un lungo tratto con andamento quasi pianeggiante. Usciti dal bosco,
riconosciamo subito la bocchetta delle Forbici (buchèl di fòrbes), a destra del monte omonimo
(m. 2910) e, poco sotto, il rifugio Carate Brianza (m. 2636), per il
quale passa il sentiero.
Il rifugio ("la caràte") era, in origine, un deposito costruito, nel 1916, dagli Alpini che erano di stanza alla capanna Marinelli. Nel 1926 il comune di Torre S. Maria lo cedette all'Unione Escursionisti Caratesi, che lo ristrutturarono ed ampliarono e lo inaugurarono il 15 agosto 1927.
Per raggiungerlo, dopo aver intercettato il
sentiero che sale, da sinistra, dall’alpe Musella (m. 2076), dobbiamo
risalire una serrata sequenza di dossi (si tratta dei famosi “sette
sospiri” - "set suspìir" ), ai piedi del versante meridionale delle eleganti cime
di Musella (m. 3088).
Se, nella salita, volgiamo lo sguardo a destra, cioè verso est,
possiamo osservare, alle spalle di una caratteristica formazione rocciosa
dalla cima arrotondata, il Sasso Moro, che si pone al centro dell’anello
che stiamo percorrendo (anello che, dunque, potremmo chiamare del Sasso
Moro). Se, invece, guardiamo verso sud possiamo scorgere la bucolica
piana dell’alpe di Musella, dove si trovano anche i rifugi Mitta
e Musella, e per la quale passa il sentiero che sale alla bocchetta
delle Forbici da Campo Franscia.
Apri qui una fotomappa della traversata dal rifugio Carate Brianza alla bocchetta di Fellaria
Dopo
due ore circa di cammino, dunque, raggiungiamo il rifugio Carate Brianza. Alla sua
destra troviamo il cartello che indica la partenza del sentiero per
la forca di Fellaria (buchèl de felérìe) ed il rifugio Bignami. Invece di salire alla bocchetta
delle Forbici, dunque, imbocchiamo questo sentiero, che si dirige verso
est-nord-est, e che è segnalato da segnavia diversi (soprattutto
bianco-rossi, ma anche triangoli bianchi con bordo giallo, ad indicare
che si tratta di una variante della sesta tappa dell’Alta Via,
e segmenti bianchi).
Non si tratta di un sentiero marcato, anzi la traccia, in molti punti,
si perde in un dedalo caotico di massi, grandi e piccoli, ma non rischiamo
di perderci, in quanto i segnavia sono addirittura sovrabbondanti, soprattutto
nella prima parte, e ci guidano, si può ben dire, passo per passo.
Oltretutto ben presto giungiamo in vista della meta, in quanto la forca
ci appare come l’evidente sella che chiude il vallone di sfasciumi
verso il quale ci stiamo dirigendo. Il vallone è delimitato a
sud dalle propaggini che scendono verso nord-ovest dalla cima del Sasso
Moro ed a nord dalle cime di Musella (m. 2990, 3079, 3094; più ad est, la cima di Caspoggio, m. 3136; queste vette sono chiamate, però, localmente, nel loro complesso, “sas di fòrbes”).
Il sentiero comincia la traversata a mezza costa sul fianco sinistro
(per noi) del vallone, cioè su quello settentrionale, salendo
molto gradualmente. I
magri pascoli cedono ben presto il passo ad una fascia di massi di dimensioni
medio-piccole. Guardando davanti a noi, abbiamo l’impressione
che la traccia debba effettuare la traversata rimanendo su questo versante
e raggiungendo la sella con un arco di cerchio. Invece, ad un certo
punto, i segnavia ci fanno piegare a destra e scendere leggermente,
raggiungendo il cuore del vallone, dove si trova una fascia di grandi
massi.
È, questo, il tratto più faticoso dell’anello: i
segnavia ci guidano, ma, per diversi minuti, dobbiamo, con cautela,
districarci in una congerie di massi di dimensioni rilevanti, portandoci
gradualmente sul lato opposto (destro) del vallone. Su un terreno del
genere ci si deve muovere sempre con calma ed attenzione, perché
un piede messo malamente o uno scivolone in un buco possono essere all’origine
di infortuni anche seri. Qualche pausa, per riprendere fiato, ci consente
di osservare le cime di Musella occidentali che, viste da qui, assumono
un aspetto quasi gotico, mostrandosi come un irto sistema di guglie
e pinnacoli.
Dopo aver guadagnato un po’ di quota sul versante destro, iniziamo
la parte terminale della traversata, con andamento più tranquillo,
in direzione sud-est, verso l’evidente depressione della forca.
Prima di raggiungerla, passiamo a sinistra di un’ampia finestra
dalla quale appaiono, alla nostra destra, il
monte Disgrazia e, sul fondo, uno scorcio della catena orobica.
Poi, dopo circa un’ora di cammino dal rifugio Carate Brianza,
ci affacciamo alla forca di Fellaria, posta a 2819 metri, che ci immette in un corridoio
dal quale si vedono già, verso nord-est (alla nostra sinistra)
il piz Varuna (m. 3453) e, alla sua destra, la cima Fontana (m. 3070),
sul versante settentrionale della val Confinale. Sullo sfondo, qualche
scorcio del versante orientale della Valle di Poschiavo e le più
alte cime della Val Grosina. Lasciamo, invece, alle nostre spalle un’esigua
finestra nella quale, sul fondo, si individua la vedretta di Scerscen
inferiore e, sul suo limite sud-occidentale, la dorsale scandita dalla
triade del pizzo Tramoggia (piz di tremögi,, m. 3441), a nord-ovest, dal pizzo Malenco
(m. 3438), al centro, e dal Sasso d’Entova (sasa d’éntua, m. 3329; le tre vette, nel loro insieme, erano chiamate, localmente, “i tremögi”; la denominazione distinta deriva da un interesse alpinistico), a sud-est.
Il corridoio che stiamo percorrendo suscita un forte senso di tranquilla
solitudine: è un luogo appartato, lontano dalle vie più
battute della Valmalenco, dove, preso nella morsa di un silenzio inviolato,
anche il tempo sembra aver fermato il suo corso.
Apri qui una panoramica sulla Forca di Fellaria
La discesa è assai più agevole della salita: troviamo
una buona traccia di sentiero che ci permette di perdere quota senza
fatica. Scendiamo
in un ampio vallone, compreso fra il vallone gemello che culmina nella
bocchetta di Caspoggio, a nord, ed il versante settentrionale del Sasso
Moro, a sud; piegando a destra, ci portiamo sul suo lato destro, fino
a raggiungere, sempre guidati dai segnavia, un pianoro percorso da un pigro torrentello. Procediamo, quindi, in direzione est-nord-est, con
andamento pianeggiante.
La traccia non sempre è visibile, ma la traversata, senza problemi,
ci conduce sulle soglie di un modesto avvallamento, nel quale scendiamo
da destra, raggiungendo il punto in cui il sentiero confluisce in quello
che, salendo dal rifugio Bignami, conduce alla bocchetta di Caspoggio.
Percorrendolo verso destra, siamo in breve alle baite dell’alpe
di Fellaria (m. 2401) e, a breve distanza, al rifugio Bignami (m. 2385),
collocato su un ampio terrazzo che domina il lago di Gera (m. 2150).
Apri qui una fotomappa dei percorsi dal Rifugio Bignami
L’alpe Fellaria (o Fellerìa, in dialetto “felerìe”) merita un breve discorso. Si tratta, infatti, di uno dei più alti alpeggi alpini, posta, com’è, a 2400 metri. Il suo centro è posto in un piccolo avvallamento che pone le baite al riparo dai venti che spirano dai ghiacciai omonimi. Fino alla metà degli anni Settanta del secolo scorso era caricata da una decina di famiglie della contrada di Ganda (Lanzada), ciascuna con il proprio soprannome (i re, i gat, i santin, i mau, i gnolii, i tonitoni, i alpin, i öc, i péteréi), con una settantina di capi che salivano fin qui dopo aver sostato nei sottostanti alpeggi di Campomoro e di Gera (prima che gli attuali invasi li sommergessero); oggi, invece, da molti anni nessun capo di bestiame pascola più nella splendida cornice dell’alta Valle di Campomoro.
Nei pressi del rifugio troviamo il sentiero che scende, in direzione
sud, verso la muraglia che sbarra la diga, e che corre sul versante denominato "còsto granda" e sulla parte bassa
del possente versante sud-orientale del Sasso Moro. Nella discesa si
apre al nostro sguardo un bello scorcio della val Poschiavina (da non
confondere con la ben più ampia Valle di Poschiavo, in territorio
svizzero, alla quale, peraltro, si accede da questa valle minore valicando
il passo di Canciano), posta a sud della val Confinale. L’ultima
parte del sentiero, intagliata nella viva roccia che precipita nelle
acque del lago, propone qualche saliscendi, prima di condurci sul lato
occidentale del camminamento della poderosa muraglia della diga di Gera che, con i suo 65 milioni di metri cubi, è una delle più
grandi d’Italia.
Attraversando il camminamento, possiamo gustare, sia a valle che a monte,
un ottimo panorama. Verso nord vediamo, a destra della cima del Sasso
Rosso (m. 3481), la seraccata che scende dal ramo orientale del ghiacciaio di Fellaria e, alla sua destra, il piz Varuna. Verso sud, invece, dominiamo
la piana di Campomoro, occupata dall’omonima diga, e possiamo
scorgere, sulla destra, il monte Disgrazia (m. 3678), alla cui sinistra
si individua il pizzo Cassandra (piz Casàndra o Casèndra, m. 3226). Dal camminamento scendiamo
ai piedi della muraglia e procediamo su una pista sterrata che, dopo
un paio di tornanti in discesa, assume un andamento pianeggiante, fiancheggiando
il lato orientale della diga di Campomoro.
Apri qui una panoramica dal rifugio Bignami
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CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo (CNS, come quelle sopra riportate), che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri).
Apri qui la carta on-line
GALLERIA DI IMMAGINI
Mappa del percorso - elaborata su un particolare della carta tavola elaborata da Regione Lombardia e CAI (copyright 2006) e disponibile per il download dal sito di CHARTA ITINERUM - Alpi senza frontiere
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