Il terrazzo panoramico alle porte della Valtellina
CAMPANE DI CINO 1, 2, 3, 4 |
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IL COMUNE IN SINTESI (DATI RELATIVI AL 1996) |
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Abitanti (Cinensi): 333 | Maschi: 162, Femmine: 171 |
Numero di abitazioni: 232 | Superficie boschiva in ha: 39 |
Animali da allevamento: 496 | Escursione altimetrica (altitudine minima e massima s.l.m.): m. 325, m. 2143 (Monte Brusada) |
Superficie del territorio in kmq: 5,15 | Nuclei con relativa altitudine s.l.m.: Cino, m. 504 |
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Cino
La Costiera dei Cech, ampio versante settentrionale che accoglie chi
entra in Valtellina, presenta la caratteristica di ospitare alcuni paesi
che si affacciano al fondovalle da terrazzi panoramici di mezza costa:
da occidente, Cino, Cercino, Mello e Civo. Paesi la cui collocazione
rimanda all’alto medio-evo, quando il fondovalle, paludoso, era
assai meno ospitale e salubre di quanto divenne in epoca molto più
vicina a noi, dopo la bonifica della piana dell’Adda voluta dal
governo Asburgico.
Cino (“Scin”) è il più occidentale di questi
paesi, e la sua esistenza è attestata fin dall’epoca della dominazione franca nell’Italia settentrionale. Dobbiamo portarci al secolo VIII d.c., quando i Longobardi portarono il confine dei loro domini alla catena alpina, inglobando l'intera Valtellina. Tracce della presenza longobarda sono rinvenibili anche nei dialetti valtellinesi, ed il repertorio di termini che ad essa rimandano non è insignificante. Per citarne solo alcuni, si possono segnalare "sberlüsc'" (lampo) e "matüsc'" (caciottella di formaggio molle), “güdàzz" (padrino), "sluzz" (bagnato), "balòss" (furbo), "maschérpa" (ricotta), "gnècch" (di malumore), "lifròch" (sciocco), "bütér" (burro), "scagn" (appoggio per mungere), "scràna" (panca), "scoss" (grembo) , "stracch" (stanco). Sul finire di quel secolo, però, i Franchi calarono dal passo
dello Spluga per combattere i Longobardi. Alcuni soldati franchi si insediarono su questi poggi dalla felice esposizione. "Cech", dunque, deriverebbe da "Franchi". In un atto di vendita, firmato dal vassallo imperiale
franco Goteprando, compare, infatti, il toponimo “Cexini”
(864); qualche secolo dopo, nel 1335, gli Statuti di Como lo menzionano
con l’espressione “comune loci de Zizino”.
Nel basso medio-evo apparteneva alla squadra di Traona (comprendente la
parte settentrionale della bassa Valtellina) ed alla pieve di Olonio,
dalla quale, però, si staccò, costituendosi in parrocchia
autonoma, nel 1417.
Cino
Nel 1512 iniziarono i quasi tre secoli di dominio delle Tre Leghe Grigie sulla Valtellina. I nuovi signori sentirono il bisogno, per poter calcolare quante esazioni ne potevano trarre, di stimare la ricchezza complessiva di ciascun comune della valle. Furono così stesi gli Estimi generali del 1531, che offrono uno spaccato interessantissimo della situazione economica della valle (cfr. la pubblicazione di una copia secentesca del documento che Antonio Boscacci ha curato per il Bollettino della Società Storica Valtellinese). Nel "communis de Cigino" vengono registrate case e dimore per un valore complessivo di 148 lire (per avere un'idea comparativa, Forcola fa registrare un valore di 172 lire, Tartano 47, Talamona 1050, Morbegno 3419); i prati ed i pascoli hanno un'estensione complessiva di 287 pertiche e sono valutati 152 lire; gli orti occupano 4 pertiche, per un valore di 10 lire; boschi e terreni comuni sono valutati 27 lire; campi e selve si estendono per 1363 pertiche ed hanno un valore di 581 lire; gli alpeggi, che caricano 190 mucche, vengono valutati 38 lire; i vigneti si estendono per 102 pertiche e sono stimati 158 lire; vengono torchiate 4 brente di vino (una brenta equivale a 90 boccali), valutate 4 lire; sono citati 6 mulini, del valore di 6 lire; il valore complessivo dei beni è valutato 1127 lire (sempre a titolo comparativo, per Tartano è 642, per Forcola 2618, per Buglio 5082, per Talamona 8530 e per Morbegno 12163).
Venne visitato, sul finire del secolo successivo
(1589) dal vescovo di Como, di origine morbegnese, Feliciano Ninguarda,
nella sua visita pastorale in Valtellina, che vi trovò 100 famiglie, tutte cattoliche
(possiamo stimare, all’incirca, 500 anime). Era, allora, parroco il sacerdote Fioramondo Greco, di Mello, eletto dagli abitanti di Caspano. 509 sono gli abitanti
registrati nel 1624, quando già era scoppiata la terribile Guerra
dei Trent’anni, destinata a segnare indelebilmente la storia dell’intera
Valtellina (due anni prima, nel 1622, Cino era stata eretta a parrocchia autonoma; la sua chiesa, dedicata a S. Giorgio, verrà poi ristrutturata verso la fine del Seicento e consacrata dal Vescovo di Como Giova Battista Mugiasca il 9 giugno del 1780).
Nel 1629-30 le milizie dei Lanzichenecchi, concentrate allo
sbocco della Valchiavenna in attesa di passare nel Milanese, si sparsero,
predando e non risparmiando violenze alla popolazione, in buona parte
della valle, causando una tremenda epidemia di peste, che ne ridusse
la popolazione alla metà, ed anche meno. I paesi della Costiera
dei Cech, Cino compreso, furono fra i primi ad essere investiti, per
la loro vicinanza e facile accessibilità.
Stando però a quanto si legge nel prezioso manoscritto di don Giovanni Tuana (1589-1636, grosottino, parroco di Sernio e di Mazzo), intitolato “De rebus Vallistellinae” (Delle cose di Valtellina), databile probabilmente alla prima metà degli anni trenta del Seicento (edito nel 1998, per la Società Storica Valtellinese, a cura di Tarcisio Salice, con traduzione delle parti in latino di don Abramo Levi), la prima ondata di peste non toccò Cino: “Puoco lontano a mezzo il monte v'è Cino con chiesa parochiale di S. Michele. pure separata da Sorico, quale ha 100 fameglie. Nissuno questi duoi ultimi luochi è stato offeso dalla peste passata. Puoco lontano si reggono le ruine d'un vecchio castello.”
Ricordiamo, però, che una seconda ondata, non meno dura, seguì nel biennio 1635-36 (vi perse la vita lo stesso Tuana). Alla peste seguirono
decenni di crisi economica, che indussero buona parte della popolazione
dell’intera Costiera ad emigrare, soprattutto verso Roma (conservando,
però, nei secoli successivi, fino ad oggi, un forte legame con
la terra d’origine, concretizzatosi nell’omaggio di quei
preziosi arredi sacri che conferiscono ancora oggi alle chiese dei Cech
una particolare bellezza, e nel ritorno periodico ad essa, per cui risuona,
nel periodo estivo, accanto a quello del dialetto locale, l’inconfondibile
accento romanesco) .
Cino
Solo nel Settecento cominciò una lenta ripresa, ma ancora sul
finire di questo secolo la popolazione non aveva recuperato i livelli
dell’inizio del Seicento: a Cino vivevano, nel 1797, 459 abitanti.
Ecco come, a metà del settecento, lo storico Quadrio accenna, parlando della squadra di Traona, al paese, menzionando un castello i cui ruderi, a quel tempo, erano ancora visibili: "Cino, unitamente con diverse Famiglie qua e là sparse, forma l'ottava Comunità. Quivi era pure un castello, le cui rovine tuttavia si veggono."
Poi venne Napoleone, che ridisegnò buona parte della carta geopolitica
dell’Europa: nell’assetto definitivo della repubblica cisalpina,
del maggio del 1801, Cino figurava come uno dei settanta comuni del
III distretto di Sondrio, nel dipartimento del Lario. Alla Repubblica
Cisalpina si sostituì, ben presto, il Regno d’Italia, e
Cino, come comune di III classe, con 435 abitanti, fu incluso nel V
cantone di Morbegno (1805). Cadde Napoleone, lasciando al meditabondo
Manzoni dubbi sulla sua vera gloria; certo è che all’egemonia
francese subentrò, dopo il Congresso di Vienna, il dominio austriaco:
nel 1815 Cino, che contava 410 abitanti, figurava come comune aggregato,
insieme a Monastero e Mantello, al comune principale di Dubino.
La chiesa di San Giorgio a Cino
A metà del medesimo secolo, e precisamente nel 1853, Cino tornò ad essere comune autonomo, con convocato generale e con una popolazione di 542 abitanti, nel III distretto di Morbegno. Il periodo della dominazione austriaca fu segnato da eventi che incisero in misura pesantemente negativa sull’economia dell’intera valle. L’inverno del 1816 fu eccezionalmente rigido, e compromise i raccolti dell’anno successivo. Le scorte si esaurirono ed il 1817 è ricordato, nell’intera Valtellina, come l’anno della fame. Vent’anni dopo circa iniziarono le epidemie di colera, che colpirono la popolazione per ben quattro volte (1836, 1849, 1854 e 1855), mentre quelle di filossera e peronospora, negli anni cinquanta, misero in ginocchio la vitivinicoltura valtellinese. Queste furono le premesse del movimento migratorio che interessò una parte consistente della popolazione nella seconda metà del secolo, sia di quella stagionale verso Francia e Svizzera, sia di quella spesso definitiva verso le Americhe e l’Australia.
Cino
All'unità d'Italia, nel 1861, Cino contava 525 abitanti (271 maschi e 254 femmine, in 115 famiglie, con 115 case più 2 vuote), saliti a 541 nel 1871, a 607 nel 1881 a 621 nel 2001 ed a 675 nel 1911. Consistente fu la partecipazione degli abitanti di Cino alle guerre che interessarono l'Italia nel periodo 1860-70 (II e III guerra d'indipendenza, 1860 e 1866, e liberazione di Roma, 1870): vi combatterono Berti Andrea fu Andrea, Berti Giorgio, Berti Andrea di Andrea, Bonetti Andrea, Caligari Giovanni, De Gianni Andrea, De Simoni Lorenzo, De Simoni Giovanni Pietro, Paganetti Pietro, Rossatti Domenico fu Giovanni, Rossatti Domenico di Francesco, Romegioli Giorgio Giuseppe, Romegioli Giuseppe fu Giuseppe, Valena Natale, Zanoli Carlo e Zanoli Lorenzo.
Dall’opera “La Valtellina (Provincia di Sondrio)”, di Ercole Bassi (Milano, Tipografia degli Operai, 1890), ricaviamo, poi, interessanti notizie sugli alpeggi di proprietà comunale in Val Masino:
Cino
Il 1909 è un anno da ricordare nella vita delle comunità di Cino, Cercino, Dubino e Mantello: arriva per la prima volta l’energia elettrica e, se consideriamo quanto essa sia essenziale nella nostra vita e quanto risulti difficile poterne fare a meno, possiamo capire che si tratta di una piccola rivoluzione. L’evento, accolto festosamente dalle popolazioni, fu reso possibile dalla costruzione, da parte della ditta Castelli, di una centralina sul torrente Pusterla, della potenza di 40 cavalli. Così quel medesimo torrente le cui acque, secondo un’antica leggenda, avevano investito e raso al suolo la casa dei nobili Pusterla di Mantello per punire i balli licenziosi che vi si tenevano, ora assicurava luce all’intera sezione occidentale della Costiera dei Cech.
Il monumento ai caduti sul sagrato della chiesa di S. Giorgio ricorda, invece, i morti nella prima guerra mondiale: Callina Pietro di Andrea, Caligari Giovanni fu Pietro, Zanoli Giulio maestro di Carlo, Giumelli Pietro di Pietro, Rizzi Fulgenzio di Pietro, Callina Giorgio di Battista, Rossatti Giovanni di Andrea, Guslini Martino fu Giovanni, Pedranzini Lorenzo di Alberto, oltre a Valena Giovanni Battista, Comalli Antonio, De Pedrina Giovanni e Berti Andrea, morti dal 1923 al 1926.
Panoramica da Cino
La popolazione tornò, poi, a scendere nel primo dopoguerra: dai 668 abitanti del 1921 si passò ai 588 del 1931 ed ai 586 del 1936.
Ecco come Ercole Bassi, ne “La Valtellina – Guida illustrata”, del 1928, presenta Cino e dintorni: “A mattina di Mantello vi è la frazione di Piussógno la cui chiesetta, rifatta nel 1784, possiede non pochi oggetti di pregio. Fra essi, notevoli due cartoni ad olio del 700 con cornice ovale ornate ed intagliate, uno con la crocefissione a tre figure, l'altro la M., il B., S. Antonio abate e un sacerdote; un Ecce Homo stampa tedesca; 4 candelabri dorati ed intagliati portanti figure d'angelo, del 6-700; una S. Maddalena in cornice dorata, attribuibile a C. Ligari, sei carte gloria intagliate del tardo 500; una croce astile di rame dorato con sbalzo, del 700; una pala d'altare con S. Margherita del tardo 500; una croce astile di rame dorato con Cristo in stile bizantino; un Crocefisso di legno del 700; un secchiello di rame sbalzato del 600-700; un ostensorio d'argento a sbalzo del 700; tre bei paramenti antichi; balaustra, mensa d'altare, predella, cornici in marmo nero e a colori, con la data del 1754. Da Mantello una rotabile lunga km. 4, sale a Cino (m. 488 - ab. 637 - osterie - coop. di cons. agric. - circ. ricreativo). Nella chiesa vi sono pregevoli quadri del sec. XVII e XVIII; pregevole la pala del primo altare a sinistra con il Transito di S. Giuseppe, di P. Ligari. Da Cino una strada, per un ridente altipiano conduce a Cercino (ab. 864 - m. 486 - coop. fam. agr. - ost.).”
Prati Nestrelli
Il medesimo Ercole Bassi, nella sua monografia “La Valtellina” (1890) così descrive il costume tradizionale di Cino, Cercino, Mantello e Dubino: “Le donne dei comuni di Mantello, Dubino, Cino e Cercino hanno, come quelle di Montagna, un fazzoletto bianco ripiegato in testa, corpetto che lascia libera la camicia di tela con pizzo alle braccia, al collo, al seno; veste verde o marrone; che si allaccia in modo goffo sopra le mammelle, terminata inferiormente da fascia rossa corta, da lasciar vedere le scarpe basse con fibbia, e le calze bianche fino al ginocchio; fazzoletto di seta o di lana al collo, capelli annodati indietro con nastri azzurri e ricci di fronte… Gli uomini usano di raro la giacca di panno marrone; hanno il panciotto rosso, calzoni corti con patta avanti, calze bianche e cappello di feltro.”
Cino dovette piangere fra i suoi caduti, nella seconda guerra mondiale, Romegioli Andrea, Valena Innocente, Valena Eugenio, Valena Felice, Pedranzini Felice e Zanoli Pietro, oltre a Camarri Marcello, morto per cause di guerra nel 1963. Vengono anche ricordati i dispersi in Russia, Berti Ezio, Camarri Felice, Pedranzini Giovanni, Pedraglio Pierino, Rizzi Edoardo, Tibi Teofilo e Rizzi Olimpio.
La discesa proseguì anche nel secondo dopoguerra,
a causa di quell’inesorabile e triste movimento di abbandono dei
paesi di mezza montagna e delle valli collaterali causato dall’emigrazione
o dall’insediamento nei paesi del fondovalle. Nel 1951 gli abitanti erano 596, nel 1961 444, nel 1971 379, nel 1981 361 e nel 1991 333. Alle soglie del terzo millennio (2001) Cino contava 335 abitanti, mentre nel 2005 ne contava 354 , poco più della metà di quelli che vi
erano insediati quattro secoli prima.
Cino
All’origine dello spopolamento sta una causa economica, la redditività
sempre più scarsa delle attività dell’agricoltura
e dell’allevamento, che erano state la sostanza, nei secoli, della
vita di questo paese, scandita, nei diversi momenti dell’anno,
dalle necessità della terra: d’inverno si stava nel paese,
in primavera ed in autunno si scendeva ai bei terrazzamenti sui quali
erano disposte le viti, d’estate si salita alle alte quote degli
alpeggi, seguiti da parroci a maestri, che offrivano sostegno all’anima
ed alla mente.
Un legame saldissimo con la terra, dunque, nonostante il Guler von Weineck,
governatore grigione nel biennio 1587-88, descrivesse, con questi termini
laconici ed un po’ tristi, il suo territorio: “Cino sta
a mille passi da Mantello, ma in montagna e precisamente sul medesimo
ripiano dove poc’anzi si è detto sorgere Cercino, sebbene
a ponente di questo. Il territorio è assai più arido e
sterile che quello di Cercino”. Vero è che la configurazione
montana del territorio di Cino non era fra le più felici per
la pratica dell’allevamento, data la scarsità di pascoli,
che indusse i suoi intraprendenti abitanti, con moto analogo a quelli
di Mello, a cercarli anche a parecchia distanza da esso, in Valchiavenna
ed in Val Masino.
Un
episodio può dirci molto, su questa fame di alpeggi: Cino possedeva,
in passato, il più bell’altar maggiore, in legno, dell’intera
Costiera dei Cech, nella
chiesa di S. Giovanni di Bioggio, centro spirituale dei Cech, cui convenivano,
fino a qualche decennio fa, i devoti da tutti i paesi della Costiera
nella giornata di inizio maggio dedicata alle solenni rogazioni al Signore,
perché la stagione fosse propizia. Ebbene, l’altare fu
in uso agli abitanti di Mello, ma in cambio Cino ebbe, da Mello
(al cui territorio apparteneva, fino alla fine del Settecento, l’intera
Val Masino), gli alpeggi dell’Oro, nella Valle dei Bagni di Masino,
di Romilla e di Témola, in Val di Mello. Teniamo presente, per
capire meglio il nesso fra questi due comuni, che sono gli unici, nella
Costiera dei Cech, a non avere uno sbocco sul fondovalle, e ad essere,
di conseguenza, interamente legati, nella loro economia, alle attività
di media ed alta montagna.
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Il territorio di Cino, infatti, che si estende per 5,15 kmq, è delimitato, a sud, da quello
di Mantello (il confine corre, da est ad ovest, lungo la fascia dei
400 metri, o poco sotto), mentre a monte del paese si allarga, verso
est e verso ovest, salendo fino al crinale che separa i Cech dalla Valle
dei Ratti, e comprendendo i maggenghi dei Prati dell’O, ad ovest
(m. 1226) e di Nestrelli, ad est (m. 1178). Più in alto, sul
lato occidentale, troviamo lo splendido e panoramicissimo alpeggio della
Bassetta (m. 1635), che culmina nell’omonima elevazione (monte
Bassetta, m. 1746). Procedendo verso est, incontriamo il passo del Culmine
(m. 1818), importantissima porta di transito dai Cech alla Val Codogno,
in Valle dei Ratti,
e la cima della Brusada (monte Brüsada, m. 2143, punto di massima
elevazione del territorio comunale), che guarda, a sud-est, all’alpe
omonima, già, però, in territorio di Cercino. Dalla cima
della Brusada il confine scende, quasi diritto, verso sud, passando
ad est dei prati Nestrelli e poco ad ovest della frazione di Siro (comune
di Cercino), prima di prendere, come già detto, intorno ai 400
metri, un andamento est-ovest. Dal versante montuoso scendono al paese
tre valloni principali: da ovest, la valle dei Mulini, denominata così
perché le sue acque erano sfruttate per macinare grano e frumento,
la val Maronara e la val Chignolo.
Cino, nella stagione estiva, presenta ancora oggi una certa animazione,
che si spegne, di molto, nella malinconia delle luci più tenui
e delicate delle rimanenti stagioni. Non così in passato. Immaginiamo
un salto all’indietro di circa mezzo secolo.
Immaginiamo una sera di primavera inoltrata, di quel maggio che diffonde,
intenso, il profumo dell’erba nelle campagne e fra le case. Immaginiamo,
dopo i rintocchi dell’Ave Maria, le famiglie raccogliersi, e le
ragazze cenare con i genitori, e restare in casa, dopo cena, per quelle
quiete cose che scandiscono lo scampolo della giornata, dalla serata
al sonno. Immaginiamo di percorrere le vie del paese, che si animano
di baldi giovanotti che strisciano, quasi, furtivi, di casa in casa.
Le porte non sono chiuse, solo accostate. Scelgono la loro casa, ne
socchiudono, solo per un breve spiraglio, l’uscio, restando fuori,
nascosti. Camuffano la voce con le palme delle mani congiunte ed appoggiate
alle labbra, lanciano, verso l’interno della casa, dove sta la
ragazza che le deve raccogliere, brevi frasi, apprezzamenti, avvertimenti,
pettegolezzi taglienti. Ride, la ragazza, o si inquieta, ma non si muovere,
né si muove alcun altro componente
della famiglia: questo vuole, infatti, l’antichissimo rito ludico
del “talamonare”, a cui nessuna ragazza sfugge, fin quando
non “si parla” con un giovanotto, che comincia a venire
in casa, a frequentarla ufficialmente.
Ecco, questo talamonare, come tante altre gustose cose del passato,
si è perso. Rimane, a Cino, il sottile incanto di un paese sospeso
in un tempo che, come l’uscio delle case, è solo socchiuso
agli spiragli del futuro. Per raggiungere il paese, dobbiamo portarci a
Mantello, sulla strada provinciale pedemontana orobica che congiunge
Dubino a Morbegno (lo possiamo fare, se proveniamo da Milano, staccandoci
dalla ss. 38 dello Stelvio, subito dopo l’uscita dalla tangenziale,
a Rògolo, sulla sinistra, verso nord, imboccando la strada che
porta al nuovo ponte sull’Adda a Mantello, oppure, più
avanti, e sempre sulla sinistra, poco dopo la stazione ferroviaria di
Cosio Valtellino, imboccando la strada che porta a Traona, dove si prende
a sinistra, raggiungendo Mantello).
Da Mantello parte la strada che sale, con ampi tornanti e qualche strettoia, a Cino (504 m., a 3,5 km da Mantello). Ci accoglie l’orgoglioso profilo della chiesa di S. Giorgio, che si staglia contro il cielo di ponente. Dal sagrato antistante all’ingresso, volto a levante, possiamo ammirare il dipinto che celebra la vittoria del santo contro il drago, simbolo delle forze del male. Fra tutti gli edifici sacri della Costiera dei Cech, questa chiesa spicca per bellezza e visibilità dal fondovalle. La sua origine è almeno quattrocentesca, ma venne poi radicalmente rifatta nei successivi secoli XVII e XVIII, per essere consacrata, infine, nel 1780. Bellissimo, poi, il panorama che si apre dal suo sagrato, sulla bassa Valtellina e sul versante orobico, quello dei Maròch, da sempre divisi, per fiera rivalità, dai Cech. Indugiando sul sagrato, ci capiterà, forse, in una giornata festiva, di sentire il suono delle campane, fra le più belle dei Cech. Passaggiando, poi, fra le vie del paese vedremo ancora molte testimonianze della tipica architettura contadina, con i ballatoi in legno sospesi fra ombre e squarci di luce.
Apri qui una panoramica dai prati della Brusada
G.A.M. (Gruppo Aquile di Morbegno), "Alti sentieri a nord di Poira - Itinerari escursionistici, storia, leggende, flora e fauna dei Cech - Cartine dei sentieri"
Fattarelli, Martino, "La sepolta di Olonio e la sua pieve alla sommità del lago e in bassa Valtellina", Oggiono, 1986
Della Ferrera, Leonardo, "Le memorie di Nicola Paravicini de Lunghi fra "liber chronicus" parrocchiale e autobiografia" (nella rivista "Storia in Lombardia", n. 2, 2010, Franco Angeli Editore, Milano)
La chiesa di San Giorgio a Cino
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