Incantevoli specchi d'acqua in alta Val Sobretta
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Fra le possibili escursioni che hanno come punto di partenza S. Caterina Valfurva quella ai Bei Laghetti in Val Sobretta è fra le meno note, pur essendo una delle più belle e tranquille. I Bei Laghetti sono un sistema di dieci laghetti adagiati nelle conche glaciali scavate ai piedi del versante meridionale ed orientale della dorsale Monte Mala-Monteur-Monte Vallecetta, che costituisce il fianco occidentale dell’alta Val Sobretta. Quest’ultima, a sua volta, è la più importante laterale meridionale della Valfurva, con imbocco posto appena prima di S. Caterina. Il nome suggestivo, riportato sulla carta IGM, è del tutto meritato, anche se non trova riscontro nell'uso locale, che li chiama "Laghét da Pròfa" (denominazione che la carta IGM riserva invece ai tre laghi che stanno sull'opposto versante dell'alta Valle delle Presure, quindi a sud della bocca di Profa). L’impegno dell’escursione è medio, la soddisfazione sicuramente massima. Vediamo, quindi, come procedere.
Raggiunta Bormio sulla ss. 38, all’ingresso della cittadina prendiamo a destra, seguendo le indicazioni per S. Caterina Valfurva. Raggiunta la celebre località turistica della Valfurva, lasciamo l’automobile al grande slargo sterrato che si trova sulla sinistra, all’ingresso del paese (gli altri parcheggi sono soggetti a limitazione oraria). Da qui, cioè da circa 1738 metri, inizia la traversata. Incamminiamoci sulla strada verso il centro del paese e, poco oltre l’albergo S. Matteo, sulla nostra destra, imbocchiamo la strada asfaltata che sale verso destra, lasciando la strada principale.
Il sentiero, superato un passaggio un po’ esposto, si immette in un più largo tratturo che sale da destra e prosegue, ripido e diritto, nella bella cornice di una pecceta. Se non abbiamo ancora carburato, dovremo farlo ora, al più presto, perché la pendenza è davvero severa: il tratturo non si perde in convenevoli e punta diretto alla meta. Muti testimoni della nostra sofferta lotta contro la legge di gravità, alcuni segnavia rosso-bianco-rossi con numerazione 20. Poco prima della meta, ci raggiunge, da destra, una pista sterrata, che si stacca dalla pista per il bosco di Cornogna più avanti, rispetto al punto nel quale ce ne siamo staccati noi.
Resta, invece, il bellissimo panorama. Dai prati dell’alpe, infatti,, si vedono, ad ovest-sud-ovest, i massicci contrafforti del monte Sobretta (m. 3296), che presidia l’angolo nord-orientale della valle omonima, che dovremo risalire fino alla bocca di Profa; alla sua destra, cioè sul lato opposto della valle, si intravede la Cima Bianca, che ospita la struttura di Bormio 3000, punto più alto degli impianti di risalita di Bormio. Proseguendo verso destra, distinguiamo l’imbocco della Valle di Fraele, sopra Bormio, seguita dalle impressionanti e corrugate cascate di roccia che si precipitano dalla Reit (m. 3049). Ed ancora, le cime della dorsale che separa la Val Zebrù dalla Valfurva, cioè, da sinistra, il monte Confinale (m. 3370), la Cima della Manzina (m. 3318), le Cime dei Forni (m.3240). Più a destra, sul fondo, le innevate cime del monte Cevedale (m. 3769), del Palon de la Mare (m. 3708) e del monte Vioz (m. 3645). Infine, l’inconfondibile e regolare piramide del pizzo Trèsero, la cima che domina S. Caterina Valfurva, alla cui destra occhieggia appena la Punta S. Matteo (m. 3678).
Ignorato un sentierino che si stacca sulla sinistra (segnalazione per Plaghera e S. Caterina), proseguiamo sulla pista che attraversa, in piano, i prati e rientra nel bosco. Su un albero troviamo un segnavia rosso-bianco-rosso con numerazione 20, che ci conforta sulla giustezza del tragitto, nonostante la pista, ora, cominci a scendere nella splendida cornice del bosco di Cornogna. Per un buon tratto perdiamo quota gradualmente, fino ad un bivio, al quale dobbiamo prestare attenzione: dalla pista si stacca, sulla sinistra, un sentiero, non segnalato: solo qualche metro oltre il bivio vediamo, su un tronco, un segnavia rosso-bianco-rosso con la numerazione 20. Ben presto il sentiero si allarga a pista, che però, poco dopo, si interrompe bruscamente, lasciando il posto ad uno stretto sentiero che corre nel bosco aperto e luminoso, salendo, gradualmente, diritto per un buon tratto, in direzione ovest-nord-ovest.
Si tratta di una traccia piuttosto stretta, ma sempre ben visibile; alcuni segnavia rosso-bianco-rossi, sempre con numerazione 20, ci rassicurano sulla correttezza dell’itinerario (teniamo conto che sulla cartina Kompass n. 72 il sentiero è identificato come 20B). Poi, ad una quota approssimativa di 2100 metri, il sentiero passa curiosamente nella stretta porta costituita da due grandi tronchi e, piegando leggermente a sinistra, comincia a salire con più decisione, proponendo anche una serie di tornantini. Superata una amena pianetta a quota 2140, proseguiamo nella salita fra rododendri, pini e larici, in una cornice davvero suggestiva, uscendo, infine, dal bosco e puntando decisamente ad una modesta formazione rocciosa, nei pressi della quale pieghiamo a destra. Superato il corpo di una paleo-frana, iniziamo ad aggirare l’ampio dosso che ci introduce al fianco occidentale della Val Sobretta e raggiungiamo una sorta di ampio terrazzo di macereti e radi alberi, tagliandolo, con andamento quasi pianeggiante, in direzione dell’ingresso della media Val Sobretta. Superato un facile gradino nella roccia, incontriamo un primo grande ometto e, piegando leggermente a sinistra, attraversiamo un torrentello, piegando poi di nuovo a destra, fino ad un cartello, che segnala che stiamo percorrendo il sentiero 20, ma intercetteremo il sentiero 18 (che sale in Val Sobretta dal versante opposto, cioè orientale, rispetto al nostro) per la bocca di Profa, i laghetti di Profa e Profa bassa.
Sul versante orientale della Val Sobretta, che vediamo di fronte a noi (anche se non si vede ancora la bocca di Profa, facile porta di comunicazione fra Val Sobretta e Valle delle Presure, che guarda al versante Valtellinese sopra Le Prese), spicca la Cima Bianca, con l’edificio di Bormio 3000, facilmente riconoscibile anche per il suo color salmone. Qualche saliscendi ci fa superare un secondo ometto, portandoci, infine, ad un terzo, ad una quota approssimativa di 2320 metri, dove la salita termina e ci affacciamo ad un’ampia conca, alla quale dovremo scendere. Si tratta di un bel pianoro (salendo, ne incontreremo un secondo), abbastanza ampio da giustificare l’origine del nome della valle, dal momento che “Sobretta” sembra derivi, come anche “Zebrù”, dalle voci dialettali piemontese e lombarda “sèber” o “zìber”, che significa “mastello”, quindi “conca”. Sul lato opposto del pianoro, rispetto al nostro, si distingue anche il solitario edificio del Baitìn dei Pastori (m. 2274). Alla nostra sinistra, invece, si mostra la scura parete settentrionale che è posta alla base della cima di Sobretta (“cima dal subréta”), e che scarica slavine e sfasciumi sul versante che stiamo scendendo.
Dopo un quarto grande ometto ed un torrentello, infatti, attraversiamo un largo canalone che mostra i segni evidenti delle slavine che lo solcano. Superata una seconda fascia occupata da materiale franoso, ci attendono gli ultimi saliscendi prima dei corridoi erbosi che ci introducono alla piana del Baitìn dei Pastori (m. 2274). Un’avvertenza: se abbiamo in animo di tornare a S. Caterina per questa via, volgiamoci un attimo e memorizziamo il grande ometto sul bordo del dosso dal quale siamo scesi fin qui, e che non va confuso con un grande ometto posto più in alto: il riferimento ci sarà utile per non sbagliare nel ritorno. All’ingresso della piana troviamo i cartelli che segnalano un trivio: il nostro sentiero, n. 20, si immette, infatti, nel 18, che, preso verso destra consente di scendere a Sobretta, ai Sant ed alla statale 300 della Valfurva (peraltro su una comoda pista sterrata, che sale fin quasi al Baitìn, e che potremo sfruttare per il ritorno), mentre percorso verso sinistra porta all’alta Val Sobretta, fino alla bocca di Profa.
Seguiamo, ora, i paletti di legno con segnavia biancor-rosso (ci guideranno fino alla bocca di Profa), rimanendo sul bordo della piana che abbiamo raggiunto, quello di sinistra, per noi (senza, quindi, tagliare in direzione opposta, cioè verso il Baitìn; la salita avviene tenendo il lato sinistro della valle, anche se esiste un sentiero che sale anche dal lato destro), fino ad un primo gradino di soglia, che il sentiero, qui assai largo, supera con alcuni tornanti. Salendo, possiamo osservare, sulla nostra sinistra, la piccola gola scavata da un torrente secondario che scende dai versanti del Sobretta, con alcune marmitte originate dall’azione millenaria delle acque. Il sentiero, dopo essersi avvicinato alla gola del Sobretta, piega a sinistra e se ne allontana, prendendo, poi, più in alto di nuovo a destra. Al termine di un tratto in salita, abbiamo l’impressione di scorgere, finalmente, il punto terminale della valle. È solo un’impressione, perché si tratta di una soglia che dovremo scavalcare prima di salire alla bocca di Profa.
La salita delle balze, guidata dai numerosi paletti, termina ad una nuova piana: poco distante da noi, alla nostra destra, il torrente percorre gli ultimi tratti prima di cacciarsi nella gola sopra descritta. Attraversiamo la piana tenendone, più o meno, il centro, fino ad un ultimo paletto e ad un segnavia su un masso, che precedono la nuova soglia, occupata, in buona parte, da materiale morenico. Volgendo gli occhi in alto, alla nostra sinistra, possiamo ammirare una lingua del ghiacciaio del Sobretta, che probabilmente nei decenni precedenti scendeva fin quasi al fondovalle, mentre ora si limita mestamente ad affacciarsi dal versante più alto. Effettuato senza problemi il guado, pieghiamo, quindi, leggermente a destra, portandoci su un cordone morenico che sale al centro dei due rami del torrente. Qui ritroviamo una traccia chiara, che risale, zigzagando, l’ultimo significativo gradino dell’alta valle. Superata qualche balza erbosa, ci affacciamo all’ampia conca terminale, che mostra, sul fondo, l’evidente depressione della bocca di Profa, riconoscibile anche per i cartelli che si intravedono. Il singolare nome, che troveremo anche in un alpeggio che attraverseremo scendendo, ha la stessa radice di “Prese”, che rimanda, forse, al lombardo “prösa”, cioè luogo recintato, prato prosciugato con canali di drenaggio. Anche la valle alla quale ci affacceremo al termine della salita, denominata “delle Presure”, si riferisce alla voce valtellinese “presura”, che significa fondo soleggiato o, anche, casa circondata da fondi. Queste riflessioni linguistiche ci ricordano che nei nomi dei luoghi rimane ancora un barlume di quella civiltà contadina che, un tempo, li popolava di armenti e genti operose. Oggi resta, quasi ovunque, un silenzio suggestivo, ma anche molto malinconico.
L’accesso ai 2663 metri della bocca di Profa (chiamata anche passo di Sobretta e, nel dialetto locale, “palét”) si conclude, senza difficoltà, tagliando un facile ed ampio crinale erboso su traccia incerta (i paletti svolgono diligentemente il compito di guidarci) e passando a destra di un corpo franoso e di un microlaghetto che vediamo, più in basso, volgendoci verso sinistra nell’ultima parte della salita. Raggiungiamo la bocchetta dopo circa 3 ore e mezza di cammino, dopo aver superato un dislivello in salita approssimativo di 980 metri. Gettiamo, da qui, un’occhiata al panorama verso nord. Si mostrano, da sinistra, le superbe cime del versante settentrionale della Val Zebrù, con la possente triade dell’Ortles, dello Zebrù e del Gran Zebrù; più a destra, l’isolata e nevosa cima del Cevedale. Sul versante opposto, invece, vediamo uno scorcio dell’alta Valle delle Presure, con il lago Stelù, uno dei tre laghetti di Profa.
Manca oramai poco ai Bei Laghetti, un sistema di dieci fra laghetti e microlaghetti che sono nascosti fra le balze rocciose che si trovano a nord-ovest del passo. Per scovarli tutti, in verità, ci vuole un po’ di tempo: vediamo come trovare i tre più vicini. Seguendo le indicazioni del cartello che dà Bormio 3000 ad un’ora, Bormio 2000 a 3 ore e 15 minuti e Bormio a 4 ore e 15 minuti, incamminiamoci su un largo sentiero che sale verso destra, puntando al fianco orientale della dorsale dei monti Mala-Monteur-Vallecetta. La salita, poco impegnativa, si conclude, in breve, con la scoperta dei primi due microlaghetti, che precedono di poco il terzo laghetto (m. 2728), fra tutti, sicuramente, il più bello, per il singolare colore delle sue acque, di un azzurro chiaro, che richiama assai più le spiagge dei tropici degli scenari di alta montagna.
Il sentiero che ci ha portato al lago azzurro, diventa, più avanti (a nord del laghetto; lo vediamo ad occhio nudo) una pista tracciata sul versante di sfasciumi, che raggiunge, senza difficoltà, la Cima Bianca, cioè l’edificio di Bormio 3000, posto nel punto terminale degli impianti di risalita bormini. Si tratta di un sentiero tracciato nel contesto delle opere di fortificazione in alta montagna volute, durante la Prima Guerra Mondiale, dal generale Cadorna, che temeva uno sfondamento austro-ungarico sul fronte dell’Ortles-Adamello o un’invasione dalla valle di Poschiavo, con violazione della neutralità svizzera. Da Bormio 3000 è possibile scendere a Bormio semplicemente sfruttando una pista carrozzabile (sterrata fino a Bormio 2000). Potrebbe essere un’interessante idea, così come sarebbe davvero emozionante scendere dal versante valtellinese, cioè dalla valle delle Presure, passando per Boero e Profa e raggiungendo la strada asfaltata che da Frontale sale a Fumero. In questo caso percorreremmo il sentiero denominato “dell’abate Stoppani”, perché un’analoga, ma più avventurosa traversata venne effettuata nell’Ottocento dal noto sacerdote, patriota e geologo, che poi la descrisse nella VI serata della sua celebre opera “Il bel paese”. Teniamo presente, però, che, in questo caso, dobbiamo studiare prima bene l’itinerario di discesa, in quanto non è quasi affatto segnalato.
Se invece intendiamo tornare per la medesima via di salita, possiamo prevedere una variante che allunga di mezzora circa il tempo di percorrenza e che ci permette di toccare il più basso dei laghi di questo sistema, che se ne sta appartato, più a nord, quasi sotto la verticale del monte Vallecetta. La carta IGM lo chiama "Lago della Lisa", con nome suggestivo che rimanda ad un'indeterminata figura femminile (viene in mente Lisa Garbellini, che tanto amò le montagne della Provincia di Sondrio). Più prosaicamente, la denominazione locale è "Lach grànt", perché questo laghetto è, seppur di poco, il più grande. Un laghetto che non abbiamo incontrato salendo perché nascosto in un ripiano alto sopra il versante occidentale della valle. Nella discesa possiamo passare per le sue rive, lambite dalle acque di un caratteristico color verde intenso. Per farlo dobbiamo procedere a vista, perché non esistono né sentiero né segnalazione. Preso come riferimento il laghetto dalle acque azzurre, invece di tornare al sentiero principale che risale la Valle delle Presure procediamo verso nord, cioè verso la bassa valle, passando alla sua destra, scendendo leggermente e restando a destra ed a ridosso di alcune gobbe erbose. Raggiunto il limite di queste gobbe, procediamo in piano, sempre verso nord, ed attraversiamo un modesto corso d'acqua. Saliamo poi per breve tratto e proseguiamo in piano, percorrendo diritti una sorta di largo corridoio, al termine del quale ci affacciamo alla conca che ospita il laghetto. Scendiamo per un facile declivio erboso, passando a destra di un versante franoso, ed in pochi minuti siamo al fascinoso lago della Lisa (m. 2615). Di qui dobbiamo per buon tratto tornare sui nostri passi, riportandoci al corso d'acqua, oltrepassato il quale, però, non procediamo diritti, ma pieghiamo a sinistra, seguendone poi, in discesa, il corso, su facili balze erbose, fino al fondovalle. Qui attraversiamo il torrente principale e sul lato opposto riafferriamo il sentiero che abbiamo utilizzato nella salita.
Il sentiero ci riporta alla piana del Baitin dei Pastori, ed al trivio che si trova sull’angolo nord-orientale della piana. Ora, invece di prendere a destra, nella direzione indicata dal cartello che segnala il sentiero n. 20 per Sclanera, possiamo scegliere una via di discesa più lunga (ma meno problematica per l'orientamento). In tal caso prendiamo a sinistra, nella direzione indicata dal cartello che indica il sentiero n. 18, per la località Sant e la ss. 300 del passo del Gavia. Un sentierino ci porta, in breve, al punto terminale di una pista sterrata. Alla nostra sinistra vediamo il ponte che serve per passare il torrente Sobretta e portarsi sul lato opposto della piana, dove si trova il Baitin dei Pastori. Noi, invece, procediamo verso destra, seguendo la pista che per un tratto fiancheggia il ciglio sopra il torrente, poi piega a destra e scende ad attraversare un torrentello che scende dalle pendici del monte Sobretta, per poi tornare verso il torrente Sobretta (“rin da subréta”) ed attraversarlo sul ponte in legno di quota 2060.
La fatica della salita è temperata dallo splendido scenario del bosco di Cornogna (“bosch da curnogna” o “pélé da curnogna”). Superata, prestando attenzione, una zona interessata da lavoro di movimentazione di tronchi, passiamo accanto ad alcuni slarghi con tavolini e panche in legno. È, questa, infatti, una zona assai frequentata da villeggianti che desiderano effettuare tranquille passeggiate alla fresca ombra dei boschi nei pressi di S. Caterina. Oltrepassata una pista secondaria che si stacca sulla destra (è quella che sale a Sclanera), eccoci di nuovo al Ponte dei Sospiri e, in breve, a S. Caterina, dove si conclude questo bell’anello escursionistico, dopo circa 6 ore di cammino. CARTE DEL PERCORSO SULLA BASE DI © GOOGLE MAP E GOOGLE EARTH (FAIR USE) |
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