Sei giorni fra alpeggi e rifugi della Valle del Bitto di Gerola- 4: Dal rifugio Trona Soliva al rifugio Salmurano
La Val Gerola, per l’ampiezza, gli insediamenti umani, gli alpeggi di pregio, la ricchezza di convalli e di elementi di interesse storico e naturalistico, è la regina delle valli orobiche. È divisa nel territorio di ben quattro comuni, con altrettanti insediamenti permanenti principali, Sacco, Rasura, Pedesina e Gerola Alta, ciascuno con le proprie peculiarità culturali ed economiche, come lascia intendere una vecchia filastrocca che li mette in fila: “Sach paìs da stach, Resüra prat da segà, Pedesina munt da cargà, Giaröla bosch da taià”. Vale a dire: Sacco godeva della sua ottima posizione, Rasura dell’abbondanza dei suoi prati da sfalcio, Pedesina dei suoi alpeggi e Gerola dei suoi boschi. Da qui l’idea di tracciare un’alta via che tocchi i luoghi più significativi della valle, percorrendola ad anello da Morbegno a Morbegno (o, in una versione più breve che salta la prima tappa, da Rasura a rasura). Niente di ufficiale, niente di istituzionalizzato, solo una proposta, un’idea per passare sei (o cinque) giorni nel regno del Bitto, il re dei formaggi grassi d’alpe ed il prodotto più significativo di una cultura che qui conserva la sua identità e le sue radici vitali. Condizioni: buon allenamento, condizioni meteorologiche buone, buon senso dell’orientamento per un percorso che una sola volta (discesa alla bocchetta Paradiso al lago Rodondo) propone un passaggio che richiede cautela e buona esperienza escursionistica.
ALTA VIA DELLA VAL GEROLA- 4- DAL RIFUGIO TRONA SOLIVA AL RIFUGIO SALMURANO
La quarta giornata dell'Alta Via della Val Gerola è la più interessante e varia: tocca gli splendidi laghi dell'alta valle, quelli artificiali d'Inferno e di Trona e quelli naturali Rotondo e Zancone, attraversa le valli d'Inferno, di Trona, di Tronella e di Salmurano, propone una suggestiva esperienza dantesca di salita dall'Inferno al Paradiso, ci porta alla cima del pizzo Paradiso, che, sfiorando i 2500 metri, rappresenta il culmine altimetrico ed emozionale di questo affascinante percorso... serve altro?
Per illustrare meglio le caratteristiche di questo lago e dell'ambiente che lo ospita riportiamo le informazioni che ci vengono offerte dal già citato volume "Laghi alpini di Valtellina e Valchiavenna", di Riccardo De Bernardi, Ivan Fassin, Rosario Mosello ed Enrico Pelucchi, edito dal CAI, sez. di Sondrio, nel 1993:
Possiamo giungere qui anche imboccando un sentiero segnalato che si stacca sulla destra dalla pista sterrata che scende dal rifugio Trona Soliva e che rappresenta il prolungamento della pista lung la quale siamo saliti al rifugio. Questo secondo sentiero intercetta il marcato sentiero che si porta sopra la diga dell'Inferno traversando dalla diga di Trona. Seguiamo le indicazioni per la bocchetta del Varrone, salendo verso destra, ma giunti alla bocchetta (m. 2126) lasciamo il sentiero principale che sale, sul medesimo versante, più alto, alla bocchetta di Piazzocco (sentiero per il Pizzo dei Tre Signori) ed imbocchiamo sulla sinistra il sentiero segnalato (143), meno marcato e più basso per la bocchetta dell'Inferno, data ad un'ora (teniamo presenta che, in caso di necessità, dalla bocchetta del Varrone si scende a destra in pochi minuti al vicino rifugio FALC).
Percorriamo il sentiero (n. 143) che taglia verso sud il versante destro (per noi che saliamo, cioè quello occidentale) della valle, inizialmente fra magri pascoli, pietrame e roccette, procedendo in leggera discesa, alto rispetto al lago dell'Inferno. Attraversato un vallone, procediamo in piano tagliando un largo dosso e raggiungiamo una rampa di sfasciumi, risalita la quale pieghiamo a sinistra tagliando in leggera salita un costone di roccette e magri pascoli. Scendiamo poi leggermente passando accanto ad una pozza. Ignorata la deviazione a destra della direttissima al pizzo dei Tre Signori, il cui possente fianco orientale incombe alla nostra destra, traversiamo verso il centro della valle e ci ritroviamo sotto la verticale della selletta della bocchetta dell'Inferno, che la chiude. Puntiamo infine in quella direzione salendo un canalone di fastidioso pietrame, con un nevaietto che si trova spesso anche a stagione avanzata.
Giunti alla Bocchetta dell'Inferno (m. 2306), possiamo ben dire che l'inferno non è così brutto come lo si immagina: la denominazione della valle non si deve ad un aspetto particolarmente tetro, ma piuttosto alla dominante tonalità rossastra del verrucano lombardo, la roccia che signoreggia in questo comprensorio. Ma forse la causa affonda le sue radici nella storia, quando, fino al secolo XVIII, in questa valle ardevano le fornaci per la fusione del minerale ferroso, conferendole al calar delle tenebre una sinistra atmosfera sulfurea. Ad aumentare l'arcano fascino di questa valle contribuisce anche la singolare formazione rocciosa che la presidia sulla destra (ad ovest), e che, vista dal lato della Val Brembana, assume una forma che ne giustifica la denominazione, la Sfinge.
Non scendiamo però alla gemella Valle dell'Inferno di Val Brembana, ma pieghiamo a sinistra ed imbocchiamo un sentierino che risale il ripido versante che chiude ad est la valle, fra roccette e magri pascoli. Si tratta di una sorta di dantesco sentiero del purgatorio, non solo perché è piuttosto faticoso da risalire, ma anche perché ci sottrae alle sinistre e sulfuree atmosfere della Valle dell'Inferno e ci fa approdare alla luminosa bocchetta Paradiso. Nel primo tratto tagliamo il versante verso sinistra, poi, seguendo i segnavia bianco rossi, pieghiamo a destra. Troando infine a sinistra raggiungiamo una sella erbosa sulla costiera che separa la Valle dell'Inferno dalla Val Pianella (così viene denominata l'alta Valle di Trona), la bocchetta Paradiso (o degli Undici, m. 2450). Dalla bocchetta piegando a destra (sud) possiamo salire in una decina di minuti, su facile crinale di roccette ed erbe, alla cima del Pizzo Paradiso (m. 2493), il punto più alto dell'Alta Via della Val Gerola.
Una cima molto panoramica, soprattutto verso nord, dove, alle spalle del falso Trona e del pizzo di Trona, si vede l'imponente gruppo del Masino-Disgrazia. Dopo uno scorcio della testata della Val dei Ratti e la Costiera dei Cech, vediamo, partendo da sinistra, l’affilata cima del monte Spluga o Cima del Calvo (m. 2967), posto all’incontro di Valle di Spluga, Val Ligoncio e Valle dei Ratti. Mentre la testata della Valle dell’Oro resta nascosta, vediamo buona parte di quella della Val Porcellizzo, partendo proprio dal pizzo Porcellizzo (il pèz, m. 3075), seguito dal passo Porcellizzo (m. 2950), che congiunge la valle omonima all’alta Val Codera.
Ecco, poi, le più celebri cime della Val Porcellizzo: la punta Torelli (m. 3137) e la punta S. Anna (m. 3171) precedono il celeberrimo pizzo Badile (badì, m. 3308), cui fa da vassallo la punta Sertori (m. 3195). Segue il secondo signore della valle, il pizzo Cengalo (cìngol, m. 3367). Chiudono la testata i puntuti pizzi Gemelli (m. 3259 e 3221), il passo di Bondo (pas da bùnd, m. 3169), che dà sulla Val Bondasca, in territorio svizzero, ed il pizzo del Ferro occidentale o cima della Bondasca (m. 3267). Procedendo verso est, ecco il pizzo del Ferro centrale (m. 3287), il torrione del Ferro (m. 3070) ed il pizzo del Ferro orientale (m. 3200), che costituiscono la testata della Valle del Ferro (laterale della Val di Mello) e sono chiamati nel dialetto di Val Masino “sciöme do fèr”. Alla loro destra la poderosa cima di Zocca (m. 3175), sulla testata della valle omonima, seguita dalla punta Allievi (m. 3121), dalla cima di Castello (la più alta del gruppo del Masino, con i suoi 3392 metri), e dalla punta Rasica (rèsga, m. 3305).
I tre poderosi pizzi Torrone (turùn, occidentale, m. 3351, centrale, m. 3290, ed orientale, m. 3333) chiudono la valle omonima, che precede l’ampia Val Cameraccio, sulla cui testata si pongono il monte Sissone (sisùn, m. 3330), la punta Baroni, o cima di Chiareggio settentrionale (m. 3203), le cime di Chiareggio centrale (m. 3107 e 3093), il passo di Mello (m. 2992), fra Val Cameraccio e Val Sissone, in Valmalenco, ed il monte Pioda (m. 3431), posto immediatamente a sinistra dell’imponente ed inconfondibile monte Disgrazia (m. 3678), che chiude la Valle di Preda Rossa.
Le due cime, pur così vicine, sono geologicamente separate, in quanto appartengono a mondi diversi: dal grigio granito del monte Pioda si passa al rosseggiante serpentino del monte Disgrazia. A destra di questa cime si distinguono i due maggiori Corni Bruciati (punta settentrionale, m. 3097, e punta centrale, m. 3114). A destra del monte Disgrazia si cede la testata della Valmalenco, sulla quale si distinguono i pizzi Roseg, Scerscen Bernina, Argient, Zupò e Palù. Alla loro destra si vedono anche pizzo Scalino, punta Painale e vetta di Ron.
Ridiscesi alla bocchetta, prendiamo a destra (est) e scendiamo lungo un canalino di sfasciumi e terriccio, all'inizio assai ripido (prestare molta attenzione), in direzione del già ben visibile lago Rotondo, in Valle della Pietra. La traccia di sentiero (segnavia bianco-rossi) dopo il primo ripido tratto piega leggermente a sinistra (nord-est) e si porta alla riva meridionale del lago Rotondo (m. 2254), ai piedi del possente pizzo di Trona (m. 2510). Non è ancora chiara la dinamica che ne conserva l'equilibrio, dato che non ha immissari visibili. Il lago è dominato dalla poderosa mole del Pizzo di Trona, e vale la pena di perdere un po' di tempo per percorrerne le rive e gustare la severa bellezza di questo luogo remoto ed affascinante.
Ecco cosa ne scrive Ivan Fassin, nel volumetto "Il conglomerato del diavolo" (L'officina del libro, Sondrio, 1991): "Se la vetta è un vertex...il lago è sicuramente il complementare vortex, voragine e vertigine, spirale che trascina verso il basso. In pochi luoghi che io conosca questo è chiaro come qui, ai piedi del pur modesto pizzo di Trona ("piz di vèspui", cioè il pizzo del vespro, sul quale il sole indugia la sera, m. 2510), che si leva regolare riflettendo le sue rossastre bastionate di roccia in questo cupo laghetto, tondo e concluso, come un occhio della Terra o forse come imbocco di misteriose vie sotterranee..."
Percorriamo un tratto costeggiando il lago, fino alla sua riva orientale, dove parte il segnalato sentiero che, restando a destra del torrentello emissario, scende verso est lungo un ripido canalone, fra roccette e magri pascoli.
Lo seguiamo verso sinistra, scendendo verso i laghi di Zancone e Trona. Il sentiero ben presto si biforca, e seguiamo quello di sinistra, che si districa fra i ciclopici massi scaricati dal versante del pizzo di Trona, raggiungendo la riva meridionale del lago Zancone (m. 1957).
I versanti che si staccano dai monti sopra accennati e che convergono fra loro a formare la valletta, che racchiude i laghi, sono assai scoscesi, ove balze e dirupi si succedono dai vertici più elevati fin presso le acque, le quali occupano le cavità più inferiori della stretta spaccatura, che diede origine alla Valle. I due laghi sono dunque formati per dilacerazione prodotta nel sollevamento della catena orobica. Valgono pertanto qui le stesse osservazioni che feci a proposito dell'origine del lago Venina, poiché il Curioni li crede, come quello, ed il vicino lago dell'Inferno, formali in depressioni prodotte da movimento del suolo.
Esso ha forma ellittica, disposto colla maggior lunghezza nel senso della Valle. Le sue sponde sono ripide assai, onde la regione litorale presenta nella porzione più esterna ben poca quantità di limo o di feltro organico visibile, il quale è piuttosto copioso alla profondità di 5 e 6 metri a poca distanza dalla sponda, dove ho calato l'apposito bidon Forel, per farne conveniente pesca. È posto all'altitudine di 1563 m. e presenta la superficie di 30000 m. q. Le sue acque hanno una bella colorazione verde azzurrognola,rappresentata dal num. V della scala Forel.
Feci le osservazioni termiche alle ore 2 pom. con cielo sempre piovoso ed osservai nelle acque una temperatura di 7 gradi e 30 C., mentre nell'aria erano 13 gradi C. In alcuni seni verso la punta N.O. rinvenni numerosi individui di Rana temporaria Lino, ed i girini si trovavano tuttavia nello stato di incipiente metamorfosi. Pare che in questo lago non viva la Trutta fario Linn., ma si potrebbe certo molto utilmente tentarvi una artificiale immissione di avannotti, trovandosi io condizioni non troppo differenti da quelle del lago di Trona. Il feltro organico infatti vi abbonda anche qui, ad una certa profondità, e dall'esame che ne feci risultò costituito di alghe non del tutto differenti da quello del lago di Trona; per la qual cosa ho creduto potere esporre insieme le Diatomee di questi due laghi.”
Passiamo dunque a destra del lago Zancone e risaliamo lungo un crinale di sfasciumi ad intercettare la traccia principale, che passa a monte di un caatteristico cupolome roccioso, traversando poi verso nord. Alla nostra sinistra, più in basso, il lago di Trona (m. 1805).
Siamo sul sentiero dell’anello dei laghi
della Val Gerola (il numero 8, segnalato anche da segnavia rosso-bianco-rossi),
che ora piega bruscamente a destra, effettuando un traverso sul lato
opposto del dosso, per poi iniziare a scendere, ripido, verso l’imbocco
della val Tronella.
Qui troviamo nuovi cartelli e, seguendo quello della GVO, lasciamo alla nostra destra il sentiero che prosegue a risalire la
valle, proseguendo diritti, verso est (indicazioni per Salmurano). Aggiriamo
il boscoso dosso che scende dalla Rocca di Pescegallo e ci portiamo sul versante
orientale dei Denti della Vecchia, affacciandoci all'alpia conca di Salmurano. |
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CARTE DEL PERCORSO SULLA BASE DI © GOOGLE-MAP (FAIR USE) PASSI E PENSIERI DI IVAN FASSIN Il 28 giugno del 2015 è scomparso Ivan Fassin, grande uomo di cultura che ha vissuto la passione per la montagna e quella per il pensiero e le scienze umane come dimensioni profondamente legate. Nel suo volumetto “Il conglomerato del diavolo – Fantasticherie alpine” (Sondrio, L'officina del Libro, 1991) così racconta una sua escursione in questi luoghi (salita da Pescegallo, per il passo di Salmurano, all'altipiano dei Piazzotti ed alla cime dei Piazzotti occidentale, discesa alla boccehtta di Val Pianella e traversata alla bocchetta d'Inferno per il sentiero 101, discesa alla bocchetta di Varrone e traversata alla bocchetta di Trona, discesa al lago di Trona ed all'imbocco della Val Pianella o Val di Trona):
“Sbuchiamo sul dosso delle Foppe di Pescegallo… Traversata in fondo la valle risaliremo per per il più diretto sentiero… sotto il costone della cima orientale di Piazzotti, all'aereo passo di Salmurano. Intanto già da un po' andavamo guardando i primi contrafforti del regno del conglomerato, vale a dire la costiera turrita dei Denti della Vecchia, illuminata dai primi raggi del sole, rosa.violacea come piccole dolomiti locali. Al passo, come accade, si presenta una situazione geografica del tutto diversa da quella immaginata: una fossa profonda, rotondeggiante, ancora in ombra, costituisce la testata della Val Salmurano… Ora il sentiero si sviluppa per un tratto pianeggiante o in leggera discesa, tagliando in costa i ripidi pendii erbosi sotto gli erti colonnati di conglomerato rossiccio che fanno da sostegno, su questo lato, alla Cima Piazzotti (est). La via poi si inerpica entro un singolare canale sassoso, in cui prosperano certi fiori gialli.. A quanto pare l'incertezza dei crinali e dei deflussi va fatta risalire almeno all'era glaciale, quando il ghiacciaietto sospeso sull'altopiano Piazzotti, intanto che scavava la piccola fossa in cui oggi si annida il lago, riversava le sue lingue sia verso la Val Tronella che su questo lato.
Ci avviamo sul pendio tutto solcato da vallette che, sviluppandosi per qualche centinaio di metri (e cento in altitudine) porta alla cima Piazzotti occidentale. Saliamo ancora verso la croce, preceduti da un silenzioso giovane che punta a quella meta come un pellegrino frettoloso; dall'altra parte della valle, tra nebbie dense e grigiastre, un gregge sta abbarbicato in posizione impossibile sul torrione di Giacomo: belano e invocano forse sale o acqua, che scarseggia. Da queste parti sembrano comunicare più gli animali che gli uomini… Dalla vetta gettiamo uno sguardo nel grigiore opaco della valle di Trona, e una occhiata nostalgica al torrione della Mezzaluna, che appare come un miraggio, ancora illuminato dal sole, in un solco della cresta; poi ci affrettiamo a scendere, nella convinzione che il tempo precipiti.
Non però per ritornare al rifugetto Benigni esposto a tutti i venti sul piccolo altopiano là in fondo, né divallando su Trona lungo una enorme ganda che riempie un vasto canale, bensì calando cauti sulla bocchetta di val Pianella, tra l'erba scivolosa, su una traccia sommaria, ma distinta… Proseguiamo… su un bel percorso che va verso il rifugio Grassi, correndo in quota sul versante meridionale del gruppo. Ma ovviamente vediamo poco più che il sentiero, intuiamo un “sopra” tetro e incombente, un “sotto” che fugge via: il cammino esige qualche attenzione, correndo alto su pendii erbosi ripidi, e più di rado traversando scogli e crestoni rocciosi… In questa tetraggine avanziamo molto rapidamente, apprezzando però l'intelligenza del tracciato, e la sua “esposizione” (ce ne aveva resi avvertiti la pallidezza di un ragazzo che col padre lo percorreva in senso opposto al nostro, e che avevamo incontrato all'inizio sul dosso di Giarolo), finché approdiamo a un piccolo circo invaso da enormi massi e, dopo lo scavalcamento di un ennesimo crestone, ci infiliamo nel rettilineo vallone d'Inferno (bergamasco). A sinistra la Sfinge è invisibile nella nebbia…
Così, dopo la bocchetta d'Inferno… andiamo di corsa su un sentierino che fa lievi saliscendi su canali e pascoli ripidi che scivolano verso il lago, alla bocchetta di Varrone, più un largo spiazzo che un passo, quasi uno svaso da cui l'antico ghiacciaio prendeva la via della Val Varrone. Anche noi ci affacciamo a guardare la testata di quella valle, il rifugetto FALK che sembra oggi deserto… Dall'altra parte di questa dorsale che fa da testata alla Val Varrone, sopra l'altro passo (Bocchetta di Trona) un piccolo bunker d'alta quota, resto forse di trinceramenti militari, poi chiesetta e poggi ridotto a rudere, porta ancora il nome, un po' incredibile, di Casa Pio XI. Nello squallore dell'interno (umido antro gelido), ancora una lapide ricorda la tragica vicenda di un giovane caduto sul Pizzo di Trona…
Dopo un altro tratto di costa, scendiamo cautamente alla diga e la traversiamo, un po' sorpresi di non trovare perentori divieti né arcigni custodi. Scivoliamo rapidamente giù per le pendici franose sotto i dentini di Trona, lungo una traccia non certo migliorata dalle discariche dei lavori, fino a una baita isolata su un dosso. Da lì, piegando verso la val Trona, aggiriamo verso monte il lago e andiamo a sostare… presso le casupole dell'alpe sotto il lago Zancone… Sul pianoro irregolare alcuni enormi massi erratici collocati in equilibrio precario sembrano minacciare la valle sottostante e il lago, verdeggiante in un raggio di sole. In fondo alla valle, grandi massi ora spaccati si devono essere scontrate scendendo da differenti postazioni, come fossero state fatte rovinare da un popolo di giganti in una contesa intestina…
Mentre sosto trasognato e un po' incerto, un violento scampanio di rochi “zampugn” e urla scomposte di umani sull'altro versante della valle mi richiamano a una scena d'altri tempi. Una lunga fila di capre, seguire da un pastore vociante, si snoda controluce lungo un sentiero di mezzacosta, un sentiero apposito, una via di penetrazione in questo regno della pietra, diretta a chissà quale meta che non si indovina prossima. Questa immagine fa da contrappeso alla turba di turisti sparpagliati in cima al lago che, appostati da ore di attesa del sole che scarseggia, non la smettono di lanciare urla sguaiate.
Nello scarto fra i due suoni si insinua una riflessione su quale doveva essere la vita quassù un tempo, nella pur breve stagione del pascolo. Luoghi, temo, non troppo amati, per la loro asprezza, la solitudine, la distanza dal fondovalle. Impossibile attribuire ai coloni una disinteressata contemplazione della selvaggia natura, presi com'erano dalla cruda necessità. Alla base di storie e leggende, che vi saranno state di certo, come sembrano attestare anche i sinistri toponimi, non la gioia del fantasticare, ma solo forse i terrori infantili e la noia dell'adulto nelle ore della sorveglianza al pascolo, e poi il tenace ricordare delle donne e l'ironica verbosità degli anziani.
Non credo vi fosse né più felicità (che talora si associa all'incoscienza) né più costanza, memoria continuità. Forse si partiva per l'alpe come poi per il lavoro nella Bassa o diretti in Merica: per tornare cioè muti, più allucinati dalla fatica e dall'isolamento…. Mi semra che che non sappiamo quasi nulla di ciò che veramente fu, di ciò che passò per le teste dei nostri antenati. E così è come se ci mancasse una chiave per intendere il vero spirito dei luoghi.”
Così Ivan Fassin racconta, nel medesimo volume, la salita da Pescegallo al lago Rotondo, in Val Pianella (o Valle di Trona):
Da qui innanzi c'è un tratto pianeggiante che si addentra nella valle di Trona, e dopo un passaggio in un bosco di larici soprattutto gradito nei ritorni assolati, sale in costa un po' irregolarmente, lasciando in basso i due laghi di Trona (artificializzato con diga) e Zancone (senz'altro più suggestivo, benchè ormai in un ambiente spoglio e rupestre). Si passa per i resti delle baracche e impianti già ricordati…
Mentre udiamo una ingiustificata caduta di sassi dalle pendici del Pizzo Tronella che rotolano fin sul tratto di sentiero che abbiamo appena percorso, mi vien fatto di pensare che qui, in questa soglia malcerta tra “domestico” (si fa per dire) e selvatico, doveva essere situato il regno dell'uomo selvatico, tra pascoli magri abitati da qualche capra, grandi massi e ricoveri di fortuna… Forse anche poco fa era lui che, invisibile, difendeva il suo territorio, imitando la natura (poiché lui non sa, come noi, forzarla, ma solo ne sfrutta le tendenze e le potenzialità, tanto che si dice abbia insegnato agli umani con cui in passato venne in contatto alcune arti casearie e perfino minerarie, da bonaccione quale in fondo doveva essere).
Raggiungiamo il fondo della vallata, la via riprende a salire forte, poi piega a destra verso il pianoro sospeso in cui s'annida il lago Rotondo, lasciando il più noto tracciato che porta alla Bocchetta di Val Pianella… In un deserto sassoso (altrove a questa quota su falcia l'erba) pascolano poche muccherelle, del tutto abbandonate, presso uno dei numerosi affioramenti d'acqua (che per il resto sembra scorrere in gran parte in profondità). Prima di affrontare due erte balze, solcate da un sentiero ripido e sassoso ci fermiamo ad esaminare una piccola stazione d'alpeggio (non so come altrimenti chiamare questa che non è un'alpe, ma un insieme di due ricoveri – provvisori, più che temporanei – in grotta, sotto questi giganteschi massi addossati, con pochi interventi umani, tracce di muretto a secco, in un angolo un asse per servire da panca – strano che nessuno l'abbia ancora bruciato -), ovviamente innominata sulle carte, anzi neanche rappresentata. Nè c'è (più) alcun pastore cui chiedere informazioni… La roccia conglomeratica si erode in forme singolari, come fosse cariata o come un torrone che perda le nocciole. Cascano fuori i ciottoli già cementati nella sedimentazione di ere lontane, e si avviano forse ad altre cementazioni. In pochi altri siti si toccano con mano, come qui, l'indefesso lavoro che affatica anche la natura inanimata…
Quando giungiamo al lago, capisco di essere arrivato alla meta… Giù il lago è un “luogo naturale” per così dire “completo”, un po' come una vetta. Se la vetta è un vertex, un axis mundi,… il lago è sicuramente il complementare vortex, voragine e vertigine, spirale che trascina verso il basso. In pochi luoghi che io conosca questo è chiaro come qui, ai piedi del pur modesto pizzo di Trona, che si leva regolare ritlettendo le sue rossastre bastionate di roccia in questo cupo laghetto, tondo e concluso, come un occhio della Terra o forse come un imbocco di misteriose vie sotterranee (ha la regolarità dei laghi d'origine vulcanica, e la stessa opacità profonda dell'acqua). Mi pare di cogliere il senso di tante “fantasie di gorgo” (la mano che si sporge dall'acqua e trascina giù l'incauto pescatore o il fanciullo ignaro, le fate dell'acqua, le sirene di tutti i tempi, il popolo verdastro dei subacquei, col suo mondo completo simile al nostro; il cunicolo – il cammino – che collega le acque ad altre acque) e insieme mi meraviglio, di una più naturale ammirazione, per un lago rotondo che sta al centro (pressapoco) di un comprensorio rotondo, una gigantesca iterazione, il ribaltamento di un simbolismo che mi affascina anche se non riesco bene a comprenderlo… “
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