IV sezione, Lombardia Nord - Prima tappa: dal rifugio Cristina al rifugio Cederna-Maffina
Apri qui una panoramica dall'alpe Prabello
Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
Rifugio Cristina-Passo degli Ometti-Val Painale-Passo Forame-Rifugio Cederna-Maffina |
5 h |
940 |
EE |
SINTESI. Dal rifugio Cristina incamminandoci sul sentiero
della settima tappa dell’Alta Via della Valmalenco, in direzione
nord, cioè verso la depressione che si staglia, ben visibile,
in lontananza ed alla cui sommità è collocato il passo
di Campagneda. Poco oltre la bandiera italiana posta all’ingresso dell’alpe
Prabello, troviamo un cartello, che segnala la partenza della prima
tappa del Sentiero Italia Lombardia nord settore 4. Su
un masso, poi, è scritto, a grandi caratteri, “Passo Ometti” (bolli rossi contornati di bianco, cui prestare la massima attenzione). Il sentiero si stacca dal quello dell’Alta Via sulla destra e
corre per un buon tratto in direzione sud-est. Raggiungiamo, così,
il piede del versante montuosoche dovremo vincere: si tratta del versante
che scende dallo spigolo di sud-ovest del pizzo Scalino (m. 3323). Saliamo su
un terreno che alterna magri pascoli a terriccio franoso, frammisto
a qualche sasso. In diversi punti vediamo una traccia di sentiero, che però spesso
di perde. Di qui l’importanza di prestare attenzione ai segnavia ed ai numerosi ometti. Procediamo, dunque, su un tracciato
piuttosto ripido, seguendo una direttrice che tende con molta gradualità
a destra rispetto alla verticale che porta al crinale.
Guadagniamo, in questo modo, rapidamente quota, ma una prima fascia
di grandi massi rallenta di molto la salita. Oltretutto proprio qui
i segnavia sono meno facili da individuare. Raggiunto un
grande masso con un segnavia ben visibile disegnato sopra, dobbiamo cercare il successivo se ne sta nascosto dietro la piega del masso medesimo, ad indicare
che la salita deve procedere alla sua sinistra, in prossimità
del bordo di un nevaietto. Una diagonale ci fa, poi, allontanare dal
nevaio, ed un successivo traverso ci porta a sormontare un dosso poco
pronunciato che sta alla nostra destra, per poi affrontare una nuova
fascia di massi. Nel caso si dovesse perdere il riferimento dei segnavia,
si tenga presente, per non sbagliare, che l’ultima parte del tracciato
corre a pochi metri dal piede roccioso del crinale, verso destra, per
cui, nel dubbio, alziamoci un poco verso tale piede, piuttosto che procedere
troppo nella direzione alla nostra destra, dove potremmo ritrovarci
sul limite di canalini esposti. Ritrovata la traccia
di sentiero, con un ultimo traverso a destra, ci portiamo all'intaglio
del passo degli Ometti, posto, a 2766 metri. I
segnavia, ora, tornano ad essere le bandierine rosso-bianco-rosse, e
sono distribuiti sul cammino con molta parsimonia, Scendiamo,
di poco, ai bei pianori dell'alta Val Painale, dove i magri pascoli si alternano alle rocce,
ed incontriamo anche due piccoli e graziosi specchi d’acqua. Per un breve tratto restiamo
intorno a quota 2700, poi qualche piccola discesa ci fa abbassare un
poco. Passiamo a valle di una curiosa cascatella, che esce da una spaccatura
di due massicce formazioni rocciose. Scrutando davanti a noi, vediamo
i segnavia su massi che individuiamo ad una certa distanza, sotto di
noi: cominciamo così a descrivere un arco in discesa, che ci
avvicina ad un lungo dosso di rocce arrotondate.
Alla fine lo fiancheggiamo per un tratto, in discesa, finché,
a quota 2540, circa, finalmente la discesa termina.
Con un breve arco in senso contrario a quello finora descritto, svoltiamo
a sinistra e cominciamo la salita verso il passo. Nella salita i segnavia
non sono molti, ma non si può sbagliare. Lasciamo alla nostra
destra una bella morena e risaliamo un canalone di sfasciumi, rimanendo
a sinistra di un piccolo corso d’acqua. Aggirata sulla sinistra una modesta formazione rocciosa,
raggiungiamo il corridoio terminale, che adduce al passo del Forame (m. 2833). Il versante opposto, della Val Forame (Val Fontana) ha una pendenza di
tutto rispetto. Il primo passaggino, su roccia e terreno franoso, esige
attenzione, ma anche più sotto, per le prime decine di metri,
bisogna procedere con cautela. Una traccia di sentiero scende leggermente
verso destra, per poi perdersi.Un
segnavia su un masso ben visibile, sotto, ci indica che dobbiamo utilizzare
un canalino ingombro di materiale franoso, oppure un piccolo dosso erboso.
Raggiunto il masso, scendiamo ancora, su un terreno sempre insidioso,
ma meno ripido. Questa discesa è sconsigliabile in presenza di
neve, che qui si può trovare anche ad inizio di stagione. In fondo, su un grande masso
in un pianoro dove anche a stagione avanzata si annida un nevaietto,
si scorge un segnavia. Senza percorso obbligato, lo raggiungiamo,
puntando poi al successivo segnavia, che ci fa piegare a sinistra. La
nostra meta è il rifugio Cederna-Maffina, il cui solitario edificio,
perso fra i pascoli della val Forame, possiamo già individuare
dal passo, guardando alla nostra sinistra. Proseguiamo seguendo i segnavia e, poco sopra
quota 2500, puntiamo direttamente in direzione del rifugio, superando una
fascia di massi, fra quota 2520 e quota 2550 circa, e proseguendo in
direzione di un vallone dal quale scende uno dei corsi d’acqua
che confluiscono nel torrente della valle. Superato il vallone, alla
fine siamo al rifugio Cederna Maffina, posto a quota 2587 m. |
Apri qui una fotomappa della salita dal rifugio Cristina al passo degli Ometti
Il
settore 3 del Sentiero Italia Lombardia nord disegna una lunga traversata
dalla Val Codera alla Valmalenco: fra Val Codera e Val Masino corre,
per buona parte, parallelamente al Sentiero Roma, rimanendo però
su quote più basse; in Valmalenco coincide con le tappe dell’Alta
Via della Valmalenco che vanno dalla seconda alla settima (cioè
dal rifugio Bosio al rifugio Cristina).
Il settore 4 è la sua prosecuzione, dalla Valmalenco a Tirano,
e si può articolare in tre o quattro tappe. La prima tappa parte dal rifugio Cristina (a
m. 2287) all'alpe Prabello.
L’alpeggio, modellato dall’antico ghiacciato Bernina-Scalino e separato da quello più ampio di Campagneda dallo sperone roccioso del “déent”, è chiamato, localmente, “prabèl” ed è costituito da un gruppo di baite, la cùurt, dal rifugio Cristina e da una chiesetta. Il rifugio, chiamato “la cristìna”, venne costruito nel 1922, a quota 2287 metri, nella splendida cornice del pizzo Scalino, da Ersilio Bricalli, di Caspoggio, e fu intitolato alla moglie. La chiesetta (gesa de prabèl) fu costruita prima, nel 1919, subito dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, dal parroco di Caspoggio, don Giovanni Gatti, e dedicata a Maria SS Regina della Pace, per celebrare, appunto, la pace riconquistata dopo il sanguinoso conflitto. Si trova in posizione leggermente elevata, ad ovest del gruppo di baite, con materiale trasportato interamente a spalla da Caspoggio (che dista da qui circa 15 km), con un dislivello di quasi 1200 metri!
percorrendo qualche passo a ritroso
rispetto alla trappa precedente (cioè ci incamminiamo sul sentiero
della settima tappa dell’Alta Via della Valmalenco, in direzione
nord, cioè verso la depressione che si staglia, ben visibile,
in lontananza ed alla cui sommità è collocato il passo
di Campagneda.
Poco oltre la bandiera italiana posta all’ingresso dell’alpe
Prabello, troviamo un cartello, che segnala la partenza della prima
tappa del Sentiero Italia Lombardia nord settore 4. Su
un masso, poi, è scritto, a grandi caratteri, “Passo Ometti”,
perché è proprio da questo passo che tale tappa deve passare.
Ultima indicazione: i segnavia che ci guidano al passo sono costituiti
da un bollo rosso circondato da uno bianco, a mo’ di bersaglio.
I segnavia meritano una considerazione particolare: se è vero
che ad essi va sempre prestata attenzione, lo è ancor più
in questo percorso, in quanto la traccia di sentiero che pure in molti
tratti troviamo non è continua, e non siamo nelle condizioni
di poter procedere a vista. Inoltre duecento metri circa del dislivello
superato in salita comportano l’attraversamento di una fascia
di sfasciumi, cioè di massi di diverse dimensioni, ed il percorso
disegnato dai segnavia ci può aiutare parecchio nel risparmio
di tempo e di energie.
Una seconda considerazione merita la fascia appena
menzionata. Quando ci si muove fra questi massi, soprattutto su un declivio
che ha una certa pendenza, bisogna moltiplicare attenzione e prudenza,
innanzitutto perché è sempre possibile scivolare (e, rispetto
a questo pericolo, calzature con una suola idonea ed in perfetto ordine
sono di importanza essenziale), in secondo luogo perché non tutti
i massi sono perfettamente assestati, per cui possono oscillare sotto
i nostri piedi, quando non mettersi in modo, e le conseguenze possono
andare da un semplice spavento ad una caduta dalle conseguenze anche
serie. Se poi, per somma disdetta, il masso che abbiamo messo in movimento
ci cade addosso, le conseguenze possono essere molto serie. Morale:
dobbiamo procedere senza fretta, concentrati (questo vale soprattutto
per chi scende ed è più facile preda della smania di raggiungere
la meta), vagliando prima con la vista, poi con una pressione prudente
la consistenza e la stabilità di ciascun masso.
Apri qui una panoramica dell'alpe Campagneda e dell'alpe Prabello
Bene: poste queste premesse, possiamo anche partire (ma qualcuno, spaventato dalle avvertenze, potrebbe decidere di scegliere mete più tranquille…). Il sentiero si stacca dal quello dell’Alta Via sulla destra e corre per un buon tratto in direzione sud-est, nei pressi del limite del lungo dosso che, dal crinale Valmalenco-Val di Togno (o meglio, Val Lanterna-Val Painale) scende fino alle soglie del rifugio, sul bordo di uno dei molti ed ameni prati dell’alpe. Raggiungiamo, così, il piede del versante montuosoche dovremo vincere: si tratta del versante che scende dallo spigolo di sud-ovest del pizzo Scalino (m. 3323), che domina la scena dell’alpe, con il suo inconfondibile profilo. Lo vediamo bene, alla nostra sinistra, mentre ci accingiamo a salire, su un terreno che alterna magri pascoli a terriccio franoso, frammisto a qualche sasso.
La Valmalenco vista dal passo degli Ometti
In diversi punti vediamo una traccia di sentiero, che però spesso
di perde. Di qui l’importanza di prestare attenzione ai segnavia,
attenendosi alla regola aurea di non procedere oltre un segnavia senza
prima aver individuato il successivo. Ci sono, per la verità,
anche numerosi ometti che accompagnano la nostra salita: il passo deve
il suo nome alla loro presenza. Procediamo, dunque, su un tracciato
piuttosto ripido, seguendo una direttrice che tende con molta gradualità
a destra rispetto alla verticale che porta al crinale.
Guadagniamo, in questo modo, rapidamente quota, ma una prima fascia
di grandi massi rallenta di molto la salita. Oltretutto proprio qui
i segnavia sono meno facili da individuare (per esempio, raggiunto un
grande masso con un segnavia ben visibile disegnato sopra, potremmo
spendere parecchio tempo nell’inutile ricerca del successivo,
che se ne sta nascosto dietro la piega del masso medesimo, ad indicare
che la salita deve procedere alla sua sinistra, in prossimità
del bordo di un nevaietto. Una diagonale ci fa, poi, allontanare dal
nevaio, ed un successivo traverso ci porta a sormontare un dosso poco
pronunciato che sta alla nostra destra, per poi affrontare una nuova
fascia di massi.
Discesa dal passo degli Ometti, sullo sfondo del monte Disgrazia
Nel caso si dovesse perdere il riferimento dei segnavia,
si tenga presente, per non sbagliare, che l’ultima parte del tracciato
corre a pochi metri dal piede roccioso del crinale, verso destra, per
cui, nel dubbio, alziamoci un poco verso tale piede, piuttosto che procedere
troppo nella direzione alla nostra destra, dove potremmo ritrovarci
sul limite di canalini esposti. Chi
legge capirà da sé che un tracciato siffatto va accuratamente
evitato in caso di condizioni di scarsa visibilità.
Bene: dopo gli ultimi sforzi ginnico-scimmieschi, ecco di nuovo la traccia
di sentiero, che ci porta, con un ultimo traverso a destra, all’intaglio
del passo degli Ometti, posto, a 2766 metri (non è esatta l’indicazione
di 2758 metri di alcune carte, e la specificazione può essere
preziosa per chi controlla l’altimetro, anche per osservare se
la pressione sta aumentando o diminuendo), proprio laddove la fascia
rocciosa del crinale lascia il posto ad un terreno erboso. In realtà,
non si tratta di un vero e proprio intaglio, tanto che il passo non
è individuabile dal rifugio Cristina, se non si sa che è
collocato laddove alla roccia subentra il crinale erboso.
Apri qui una panoramica della Val Painale
Che dire, in sede di bilancio, della salita? E’ certamente faticosa, e richiede, per superare poco più di 500 metri di dislivello, quasi un paio d’ore. Ma non è solo fatica. Nei momenti di sosta, infatti, volgendo lo sguardo alla Valmalenco possiamo godere di uno spettacolo incomparabile. Fra le mete escursionistiche in Valmalenco, questa è certamente la più pregevole dal punto di vista panoramico, in quanto, man mano che ci avviciniamo al passo, si apre progressivamente al nostro sguardo l’intera compagine delle cime di Valmalenco, dai Corni Bruciati al Monte Disgrazia, dalla testata della Val Sissone (val de sisùm) alla cima di Val Bona ed al monte del Forno (fùren, o fórn), dal sasso d’Entova ai pizzi Glüschaint e Gemelli, dalla triade Roseg (da “rösa” o “rosa”, massa di ghiaccio)-Scerscen-Bernina ai pizzi Argient, Zupò (che significa “nascosto”, da “zuper”, nascondere), Palù e Varuna. Le soste per riprendere fiato, quindi, non sono certamente inutili perdite di tempo.
Apri qui una fotomappa dei sentieri della Val Painale
Ma torniamo al passo: per nostra fortuna il versante opposto, sull’alta Val Painale (la valle che chiude la Val di Togno), è ben più dolce e tranquillo. L’ampia conca della valle si dispiega di fronte al nostro sguardo, con un aspetto rassicurante. Là in fondo, al piano dell’alpe, il bucolico laghetto di Painale (m. 2098) attira subito il nostro sguardo, con l’intenso colore azzurro della sua superficie. Se guardiamo con più attenzione, scorgeremo, non lontano dal lago, poche baite, fra le quali vi è anche il rifugio De Dosso (m. 2119). L’alpe Painale è sovrastata da alcune cime dal profilo scuro e severo. Proprio davanti a noi si impone la massiccia parete settentrionale della punta Painale (m. 3248), mentre alla sua destra possiamo riconoscere le cime ravvicinate del pizzo Canino (m. 2916) e della cima Vicima (m. 3122). A sinistra della punta Painale è facilmente riconoscibile il passo Forame (m. 2830), che dovremo raggiungere dopo la traversata dell’alta val Painale. Procedendo verso sinistra, osserviamo il lungo crinale che termina con l’elevazione del pizzo Scalino: vi potremo distinguere la poco pronunciata cima di Val di Togno (m. 3054).
La punta Painale
Dal passo partono due possibili itinerari. Il primo scende all’alpe, e può essere sfruttato da chi voglia tornare a valle percorrendo interamente la Val di Togno (oppure fermarsi al rifugio De Dosso, o al più basso rifugio Val di Togno). Lo troviamo alla nostra destra, seguendo per un tratto il crinale, guidati dai segnavia ormai familiari. Una traccia di sentiero, peraltro molto labile, ci fa perdere gradualmente quota, sul fianco nord-occidentale della valle, all’ombra del monte Acquanera (m. 2806). Il percorso supera la strettoia costituita dal fianco roccioso della cima, a monte, e da una fascia di rocce, più a valle, e raggiunge un lungo e tranquillo crinale erboso, dal quale possiamo proseguire la discesa anche a vista. Se vogliamo lasciare la valle, dobbiamo rimanere sul suo lato di nord-ovest, lasciando il corso d’acqua alla nostra sinistra. In fondo al pianoro ci avviciniamo al torrente Antognasco e lo fiancheggiamo attraversando un corridoio nella roccia, che ci immette nell’alta Val di Togno. Scendendo ancora, lasciamo alle nostre spalle le alpi Guat, Carbonera e Rogneda, fino a Ca’ Brunai, nucleo di baite che precede di poco il rifugio Val di Togno (m. 1317).
Traversata passo Ometti-passo Forame in alta Val Painale
Il secondo percorso che comincia dal passo degli Ometti è la
prosecuzione del Sentiero Italia. I
segnavia, ora, tornano ad essere le bandierine rosso-bianco-rosse, e
sono distribuiti sul cammino con molta parsimonia, anche se la loro
posizione permette di scorgerli anche da lontano. Si tratta della traversata
al passo Forame, che, visto da qui, non sembra lontano. Siamo tentati
di cercare un bel percorso diretto, che eviti perdite di quota, ma la
fascia di rocce che precede il passo Forame non ci lascia troppe speranze.
Comunque nel primo tratto di quota ne perdiamo ben poca: scendiamo,
di poco, ai bei pianori dove i magri pascoli si alternano alle rocce,
ed incontriamo anche due piccoli e graziosi specchi d’acqua.
Rimettiamoci
in marcia: è tempo di puntare al passo che ci condurrà
in alta Val Fontana. Dopo un ultimo sguardo ai bellissimi scenari che
ci circondano, di cui pizzo Scalino, alla nostra sinistra, appare il
re, riprendiamo a camminare ed a scrutare i massi vicini e lontani,
alla ricerca dei segnavia.
La punta Painale
Per un breve tratto restiamo
intorno a quota 2700, poi qualche piccola discesa ci fa abbassare un
poco. Passiamo a valle di una curiosa cascatella, che esce da una spaccatura
di due massicce formazioni rocciose. Scrutando davanti a noi, vediamo
i segnavia su massi che individuiamo ad una certa distanza, sotto di
noi: cominciamo così a descrivere un arco in discesa, che ci
avvicina ad un lungo dosso di rocce arrotondate.
Alla fine lo fiancheggiamo per un tratto, in discesa, finché,
a quota 2540, circa, finalmente la discesa termina, perché, raggiunto
il piede del dosso citato, possiamo ora aggirarlo: finalmente, perché
per ogni metro perso, ce ne sarà uno che dovremo riguadagnare
in salita.
Con un breve arco in senso contrario a quello finora descritto, svoltiamo
a sinistra e cominciamo la salita verso il passo. Il punto di svolta
è anche quello a cui giunge una traccia di sentiero che proviene
dal rifugio De Dosso. Difficilmente, però, riusciremo a scorgerla.
La Val Painale
Anche nella salita i segnavia
non sono molti, ma non si può sbagliare. Lasciamo alla nostra
destra una bella morena e risaliamo un canalone di sfasciumi, rimanendo
a sinistra di un piccolo corso d’acqua. Un mare di massi rossastri
è l’unico testimone delle nostre fatiche, perché
siamo in cammino da più di tre ore e la quota elevata aumenta
lo sforzo. Aggirata sulla sinistra una modesta formazione rocciosa,
eccoci finalmente al corridoio terminale, che adduce al passo. Esperienza
meravigliosa, quella dei passi: ti avvicini, ed hai davanti agli occhi
solo l’esile striscia della sella, stagliata contro l’infinito
del cielo, e poi, d’improvviso, un altro mondo, un altro orizzonte,
altri spazi, inattesi e mai visti, si dischiudono di fronte al tuo sguardo.
In questo caso la sorpresa è
veramente grande, anche per chi ha già familiarità con
l’alta Val Fontana: quel che appare, infatti, non è solo
l’ampio circo della val Forame, che chiude a nord-ovest la Val
Fontana, non è solo la successione delle laterali orientali della
valle, val Sareggio, valle dei Laghi e val Malgina, ma anche una fuga
di quinte costituita da cime lontane, di cui non sappiamo probabilmente
riconoscere il profilo, ma che ci restituiscono l’impressione
di una profondità senza fine.
La Val Painale dal sentiero per il passo di Forame
In effetti la quota cui è posto il passo Forame è considerevole:
se consideriamo il Sentiero Italia dalla Val Codera fino a Tirano nel
suo complesso, l’altezza di questo passo è inferiore solo
a quella della bocchetta di Caspoggio, sul cammino della sesta tappa
dell’Alta Via della Valmalenco.
Merita, però, uno sguardo
anche il crinale di nord-nord-est della punta Painale, che scende fino
alle ultime rocce alla nostra destra: si tratta, infatti, del crinale
sfruttato da chi scala la cima. La scalata è classificata come
facile, ma ai profani dell’alpinismo, almeno vista così,
ad occhio, non apparirà certo tale. Del resto, è cosa
nota che alpinisti e consumascarpe (così si potrebbero definire
gli appassionati dell’escursione) rappresentano due tipi antropologici
diversi fra coloro che amano la montagna, la frequentano e la rispettano.
Traversata passo Ometti-passo Forame in alta Val Painale
Bene, è tempo di por
fine alle chiacchiere e di accingerci a scendere. Le chiacchiere, però,
sono necessarie per prendere un po’ di tempo ed abituarsi all’idea
di scendere su un versante che, nel primo tratto, ha una pendenza di
tutto rispetto. Il primo passaggino, su roccia e terreno franoso, esige
attenzione, ma anche più sotto, per le prime decine di metri,
bisogna procedere con cautela. Una traccia di sentiero scende leggermente
verso destra, per poi perdersi. Un
segnavia su un masso ben visibile, sotto, ci indica che dobbiamo utilizzare
un canalino ingombro di materiale franoso, oppure un piccolo dosso erboso.
Raggiunto il masso, scendiamo ancora, su un terreno sempre insidioso,
ma meno ripido. Questa discesa è sconsigliabile in presenza di
neve, che qui si può trovare anche ad inizio di stagione.
In fondo, su un grande masso
in un pianoro dove anche a stagione avanzata si annida un nevaietto,
un segnavia ci attende, paziente. Senza percorso obbligato, lo raggiungiamo,
puntando poi al successivo segnavia, che ci fa piegare a sinistra. La
nostra meta è il rifugio Cederna-Maffina, il cui solitario edificio,
perso fra i pascoli della val Forame, possiamo già individuare
dal passo, guardando alla nostra sinistra.
Salendo al passo Forame
Se, dal pianoro, proseguiamo
la discesa, scendiamo fino all’alpe Forame, dove troviamo una
baita isolata, a 2168 metri, ed intercettiamo il sentiero che sale al
rifugio dall’alpe Campiascio (m. 1680). Questa soluzione deve
essere scelta da chi elegge come punto terminale della tappa non il
rifugio Cederna-Maffina, ma il rifugio ANA Massimino Erler, in località
Campello: in questo caso si deve proseguire su una carrozzabile che,
dall’alpe Campiascio, scende al Pian dei Cavalli, per poi proseguire
fino al rifugio.
Chi vuole, invece, raggiungere
la capanna Cederna-Maffina deve seguire il percorso disegnato dai segnavia,
che effettua una traversata più breve, in quanto, poco sopra
quota 2500, punta direttamente in direzione del rifugio, superando una
fascia di massi, fra quota 2520 e quota 2550 circa, e proseguendo in
direzione di un vallone dal quale scende uno dei corsi d’acqua
che confluiscono nel torrente della valle. Superato il vallone, alla
fine siamo al rifugio, posto a quota 2587. Va notato che esiste anche
una piccola variante, segnalata nell’ultimo tratto, sulla destra,
da segnavia bianco-rossi, variante che porta ad incrociare, più
in basso, al secondo tornante, il sentiero che dalla capanna scende
alla val Forame.
Apri qui una fotomappa della Val Forame
In ogni caso, vale un’avvertenza: l’abbandono dei pascoli della Val Forame ha contribuito non solo ad arricchirne la presenza di marmotte, il cui acuto fischio costituisce un elemento imprescindibile dello scenario sonoro alpino, ma anche, sembra, di vipere, che, invece, si fanno sentire assai meno. Una notazione, a proposito della solitudine: il passaggio dalla Valmalenco, sempre affollata, almeno nel periodo estivo, alle valli Painale e Forame suscita una forte impressione, in quanto sembra di essere approdati a mondi assai diversi. Qui domina, infatti, anche d’estate, un forte senso di enigmatica solitudine, tanto da far nascere in noi l’impressione di aver effettuato un cammino non nello spazio, ma, a ritroso, nel tempo, verso un tempo nel quale la montagna non era ancora terreno d’elezione per gli amanti di un incontro con la natura (relativamente) incontaminata, ma luogo di taciturne e quotidiane fatiche e ristrettezze. E’ come se in questi luoghi l’uomo si fosse arreso, abbandonandoli, e la montagna celebrasse il suo trionfo, un trionfo non disturbato dai rari animali peregrinanti e zainati. Per tutti questi elementi di suggestione, questa tappa del Sentiero Italia ha qualcosa di unico.
La Val Painale
A proposito di animali peregrinanti e zainati: ne esiste una sottospecie, ormai scomparsa da tempo, molto legata a questi luoghi e, forse, anche alle vicende del rifugio che abbiamo raggiunto. Si tratta dei contrabbandieri, che sfruttavano i luoghi toccati dal Sentiero Italia, dalla Val Fontana al versante retico sopra Teglio, Bianzone, Villa di Tirano e Tirano, per esercitare la loro attività, contrastati dalla Guardia di Finanza, che proprio nell’attuale rifugio ANA Massimino Erler aveva una sua caserma. La costruzione del rifugio data esattamente ad un secolo fa: nel 1903, infatti, grazie alla generosità di Antonio Cederna, che amava profondamente questi luoghi (tanto da scrivere, nel lontano 1866, un volume intitolato Monti e passi della Val Fontana), e per interessamento della sezione valtellinese del CAI, venne eretta la capanna, inaugurata il 31 luglio dell’anno successivo (per cui l’anno prossimo si festeggia il centenario), capanna che però ebbe una vita travagliata, in quanto già nel 1914 venne gravemente danneggiata. Venne avanzata anche l’ipotesi che ciò fosse accaduto ad opera della Guardia di Finanza, per togliere ai contrabbandieri un punto di appoggio fondamentale.
Il rifugio Cederna-Maffina
Un intervento di ricostruzione, nel 1926, portò alla temporanea
riapertura del rifugio, che, tuttavia, venne di nuovo chiuso nel 1938,
dopo una seconda azione di danneggiamento. Dobbiamo,
quindi, giungere ad anni più vicini a noi, e precisamente al
1980, per vedere la riapertura della struttura, grazie all’iniziativa
della sezione valtellinese del CAI. La denominazione fu ampliata, per
commemorare, oltre al Cederna, anche i fratelli Fedele ed Antonio Maffina,
morti due anni prima scalando il pizzo di Coca, nelle Alpi Orobie.
La presenza di un rifugio in
questi luoghi si giustifica non solo dal punto di vista alpinistico,
ma anche e soprattutto da quello escursionistico. Fra le ascensioni
è da menzionare, oltre a quelle alla punta Painale ed al pizzo
Canciano, quella al pizzo Scalino. Se guardiamo, infatti, dal rifugio
in direzione nord, individuiamo facilmente una depressione denominata
Colle o Passo di Val Fontana (m. 3008), collocata, più o meno,
a metà strada fra i pizzi Scalino (m. 3323), a sinistra, e Canciano
(m. 3103), a destra. Dal passo si accede direttamente al limite meridionale
della Vedretta del pizzo Scalino, che viene poi percorsa in direzione
oves-sud-ovest, fino all’attacco finale che permette di raggiungere
la vetta. C’è poi da ricordare che tale vetta è
raggiungibile dalla Cederna-Maffina anche per diversa via, cioè
percorrendo il crinale meridionale.
La Val Forame
Il rifugio è anche un importante crocevia escursionistico: di qui non passa, infatti, solo il Sentiero Italia, ma anche l’Alta Via della Val Fontana, che descrive un ardito arco in prossimità del crinale della valle, percorrendone il circo terminale, verso est, e le laterali val Sareggio, dei Laghi e Malgina, per poi affrontare il crinale che passa per il pizzo Combolo (m. 2900) ed il monte Calighè (m. 2698) e scendere, passando dal facile monte Brione (da “braida”, “prato”, ma anche “luogo selvaggio”; m. 2542), alla parte alta di Prato Valentino, sopra Teglio. Ci si potrebbe domandare per qual motivo il Sentiero Italia, dopo aver seguito per un buon tratto l’Alta Via della Valmalenco, non faccia lo stesso con quella della Val Fontana. La risposta è probabilmente questa: la seconda traversata è, in molti punti, più ostica e faticosa della prima, il che la pone fuori della portata di molti escursionisti.
Il rifugio Cederna-Maffina e la punta Painale
Qualche nota tecnica, per concludere. La tappa, nella sua interezza,
richiede circa 4 ore e mezza di marcia (6 se decidiamo di scendere fino
al rifugio Erler), ed il superamento di un dislivello in salita di circa
930 metri.
Le due semitappe, invece, sono
così riassumibili: dal rifugio Cristina al passo degli Ometti
è necessaria un’ora e tre quarti circa di cammino, per
superare 530 metri circa di dislivello; dal passo degli Ometti al rifugio
Cederna-Maffina sono necessarie circa due ore e tre quarti di cammino,
per superare 400 metri circa di dislivello in salita. Per proseguire
nel cammino, apri la terza
presentazione.
L'alpe Forame
CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line
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