Il
primo tratto di questa quarta giornata è un tornare sui propri passi rispetto
al cammino del giorno precedente: si scende, infatti, dal rifugio Volta
al Mot e da questo al vallone risalito il giorno prima, senza però percorrerlo
fino in fondo: seguendo le segnalazioni, infatti, si taglia, un po' sotto
i 2000 metri, verso est (sinistra), per risalire un canalone che si
fa sempre più stretto e conduce al passo di Primalpia (m. 2476). |
Una
nota relativa alle
immagini delle diverse
presentazioni: si
riferiscono a periodi
diversi, primaverili, estivi,
autunnali ed invernali. Ciò
non significa però,
ovviamente, che il sentiero
sia percorribile con uguale
facilità lungo tutto l'arco
dell'anno. Il periodo
ottimale è quello
compreso fra i mesi di
luglio ed ottobre (se non
nevica). La neve, ad inizio
stagione o nel primo
autunno, può
rappresentare un ostacolo
ed anche un'insidia da non sottovalutare. In primavera avanzata, poi, è
massimo il rischio legato alla caduta di massi. Ma torniamo al nostro cammino.
La salita verso il passo conduce dapprima ad un laghetto posto a 2296 metri. |
La
traccia passa a sinistra (per chi sale) del laghetto e, per sfasciumi, sale
ai 2476 metri del passo, che rappresenta una porta suggestiva sulla media
Valtellina, che si apre di fronte allo sguardo dell'escursionista.
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La
sorpresa è grande: dalla misteriosa e nascosta Val dei Ratti si ha l'impressione
di essere passati ad orizzonti più ampi e familiari. Eppure anche la valle
di Spluga, che ora bisogna percorrere interamente in discesa, rivela un
volto selvaggio, legato ai suoi scenari ed alla sua difficile accessibilità
(anche qui l'automobile non può oltrepassare i 700 metri di Cevo, il paesino
da cui parte la mulattiera che risale la valle). Se si ha un po' di tempo,
vale la pena di fare una puntata al passo gemello di Talamucca, posto più
a nord: basta seguire le indicazioni per la capanna Volta, tagliando, poco
sotto il passo, a sinistra ed aggirando uno sperone roccioso. La visuale
che da questo secondo passo si ha sulla valle di Spluga e l'alto Lario è
molto più ampia e suggestiva. Terminata
la diversione, si torna al passo di Primalpia e si inizia una
discesa che, nel primo
tratto, è assai
scarsamente segnalata ed
avviene su una traccia di
sentiero molto labile. Si
rimane sul versante destro
idrografico della valle, con
una diagonale che perde
quota solo molto
gradualmente, superando
qualche valloncello, fino ad
intercettare la traccia
segnalata che dal passo
posto fra valle di Spluga e
val Toate scende al più
grande dei laghi della valle
di Spluga. |
Sebbene
la discesa non sia particolarmente problematica, è opportuno seguire le
bandierine rosso-bianco-rosse per superare agevolmente l'ultimo zoccolo
con affioramenti rocciosi, che presenta qualche tratto esposto. Il più
grande dei laghetti dell'alta valle di Spluga è una piccola perla, incastonata
fra il pianoro (piuttosto accidentato) terminale della valle ed il monte
Spluga (o Cima del Calvo, m. 2967), che rappresenta la maggiore elevazione
nella testata della valle.

Raggiunta
la sua sponda sud-orientale, ci si deve concedere una sosta per ammirarne
la bellezza, prima di passare sul lato opposto della valle. Un ulteriore
motivo di interesse è rappresentato dal fatto che non vi sono altri laghi,
nell'intera Val Masino, oltre a questo ed a quello più piccolo di Scermendone.
Dal lago sono ben visibili i passi di Primalpia e Talamucca (peraltro
visibilissimi anche da buona parte del piano della media Valtellina, nel
tratto da Sondrio ad Ardenno: basta alzare gli occhi verso nord ovest
per individuare le forme regolari della cima del Desenigo e, alla sua
destra, le due evidenti selle dei passi; l'immagine sopra mostra però
solo quello di Talamucca). Si riprende a scendere, dunque, sul lato sinistro
della valle, oltrepassando le casere dell'alpe (che d'estate viene ancora
caricata, come, del resto, l'alpe Talamucca) e due laghetti minori. La
traccia non è sempre evidente e le segnalazioni non sovrabbondano, ma
con un po' di attenzione non ci si può perdere (diversa è però la situazione
in caso di foschia molto bassa, ma questa è un'insidia comune a quasi
tutti gli itinerari escursionistici oltre una certa quota).
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Lo
scenario dell'alta valle è
sempre molto suggestivo,
soprattutto nel suo lato
sinistro, chiuso dalla
costiera che la separa
dalla valle Merdarola.
Se si dovesse perdere la
traccia, molto labile in
questo tratto, si può
prendere come punto di
riferimento la più bassa
delle casere al di sopra
del limite boschivo, ben
visibile e posta a 1939
metri, a destra di un
grande masso.
Oltrepassata la casera, la
discesa diventa più ripida
e la traccia più marcata. |
Dopo
aver attraversato un tratto di bosco, si raggiunge un nuovo ampio prato,
passando molto a sinistra di un'altra casera, per poi rientrare nel bosco
e scendere alle baite diroccate della Corte di Cevo (m. 1769). La successiva
discesa a Ceresolo (m. 1041) avviene in gran parte nel bosco, il che, d'estate,
permette di difendersi dalla calura, che non fa sconti agli escursionisti
affaticati. La bassa valle di Spluga diventa sempre meno suggestiva
ed offre molti segni che testimoniano gli effetti dell'abbandono della montagna
da parte dell'uomo. |
Salvo poi trovare altri
segni che indicano un
ritorno di interesse
economico: si sta, infatti,
costruendo un bacino
artificiale per una piccola
centrale idroelettrica.
L'ultimo tratto della
discesa avviene su una
mulattiera ben costruita,
che taglia la forra
terminale della valle e
raggiunge un ponte posto
a circa 700 metri. Vale la
pena di oltrepassarlo, per
raggiungere il vicino
paesino di Cevo e
scambiare qualche
impressione con la gente del posto, scendendo poi, lungo la strada, alle
cascate del Ponte del Baffo. |
Il
sentiero Italia, però, non passa per il ponte, ma, poco prima che la mulattiera
lo raggiunga, se ne stacca sulla sinistra, compiendo una lunga traversata
dell'aspro e un po' desolato fianco montuoso occidentale della bassa Val
Masino. Qui la traccia è ben visibile e segnalata, ma in diversi punti molto
sporca: si tratta della sezione meno esaltante del sentiero, che, oltretutto,
impone anche l'attraversamento di un corpo franoso ed una salita di oltre
150 metri. Superato un vallone, si raggiungono infine le case di Cornolo,
Ca' di Mei (vedi foto sopra) e Ca' dei Sandri. |
Dopo aver attraversato un bel bosco ed un pianoro, il sentiero ci permette
di calare su Cataeggio
(m. 787, vedi foto) da sud ovest. Qui, o nella vicina Filorera (m. 841),
si può comodamente pernottare.
Questa
tappa comporta un dislivello complessivo, in salita, di circa 650 metri,
e tempi medi che si aggirano intorno alle 5-6 ore, sempre, ovviamente,
al netto delle soste.
Consiglio però vivamente di prolungarla di un paio d'ore, salendo, lungo
la strada, al pianoro fra Filorera e San Martino (m. 923), almeno fino
alle prede, cioè ai grandi massi caduti, in qualche mitico e remoto tempo
di lotte fra giganti, dalla laterale valle di Preda.
La più grande di queste prede è la celeberrima Preda di Remenno, detta
anche Sasso Remenno (m. 943), che è anche il più grande monolito d'Europa
ed una frequentatissima palestra di roccia.
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Se
invece si è troppo stanchi, si potranno comunque osservare da Filorera
l'affilata cima del Cavalcorto (vedi foto a sinistra), forse il simbolo
più rappresentativo della Val Masino, e, alla sua destra, gli eleganti
Pizzi del Ferro, testata della valle omonima (se qualche vostro amico
sta percorrendo il sentiero Roma, può darsi che stia passando proprio
di lì...). Per proseguire
nel cammino, apri la presentazione della prossima tappa, da Cataeggio
al rifugio alpe Granda. |