Sul luminoso versante retico sopra Berbenno
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Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
Prato Isio-Alpe Caldenno-Bivacco Ai Fop |
1 h e 40 min |
580 |
E |
Prato Isio-Alpe Caldenno-Bivacco Ai Fop-Poggio del Cavallo |
2 h e 20 min |
880 |
E |
Prato Isio-Alpe Caldenno-Bivacco Ai Fop-Poggio del Cavallo-Passo di Poggio Cavallo-Alpe Baric-Alpe Vignone-Prato Maslino-Prato Isio |
7 h |
880 |
EE |
SINTESI. Da Berbenno di Valtellina saliamo a Polaggia e proseguiamo sulla carozzabile che passa per i Prati di Gaggio e termina a Prato isio (m. 1661), dove parcheggiamo alla piazzola terminale, incamminandoci sulla pista che procede verso nord e porta all'alpe Caldenno (m. 1817). Dopo un tornante destorso ed uno sinistrorso, attraversiamo il nucleo occidentale delle baite, a 1811 metri. Oltrepassata l’ultima baita, la Casera del Formaggio, la pista va a morire poco metri più avanti, nei pressi del lato occidentale del torrente Caldenno. Proseguiamo, ora, verso l’interno della valle, piegando leggermente a sinistra: vedremo subito un cartello, alla nostra sinistra, poco più in alto, che segnala la partenza del sentiero per l’alpe Ai Fop. Il sentiero parte alla sinistra del cartello e sale con molti tornanti verso ovest, nel bosco. Intorno ai 2140 metri usciamo definitivamente all’aperto. Un ultimo traverso a sinistra ci porta, infine, alla prima, più piccola e più bassa delle tre grandi conche di cui è costituita l’alpe ai Fop: sul suo limite inferiore ci accoglie il mesto rudere di una piccola baita (m. 2180), alle cui spalle è posta una grande fontana. Il sentiero prosegue sulla destra della baita, poi piega a sinistra e si affaccia alla seconda conca, sul cui limite inferiore, a 2250 metri, è posto il bivacco Ai Fop. Proseguiamo su una traccia di sentiero (all’inizio non si vede) sulla destra del bivacco (direzione nord-ovest), risalendo l’ampio dosso che ci separa dalla terza, più alta e più ampia conca dell’alpe. Prestando attenzione, scopriremo la traccia ed anche un paio di ometti, che segnalano un punto di svolta a destra. La traccia volge, quindi, a sinistra e descrive un’ampia diagonale che ci porta ad affacciarci all’ampio ed ondulato pianoro di quota 2300 metri circa. Qui la traccia ci lascia, ma non è difficile proseguire. La meta non è, come potremmo pensare, la più alta delle cime che fanno da corona all’alpe (senza nome, quotata 2605 sulla carta IGM), proprio davanti a noi, ma una cima decisamente meno pronunciata, alla nostra sinistra, riconoscibile per il grande ometto che la sormonta. Pieghiamo, dunque, leggermente a sinistra, lasciando alla nostra destra la cima di un modesto dosso, e puntando al versante che sale fino al crinale Val Finale-Val Vignone. Riconosceremo sul versante un facile canalone erboso, e ci verrà spontaneo pensare che quella è la via per guadagnare il crinale. Cominciamo, dunque, a salire, in diagonale, il versante, in direzione del canalone: prima di raggiungerlo, però, intercettiamo una marcata traccia che sale da sinistra, descrivendo un ampio arco sulla parte mediana del versante. La seguiamo, in salita, verso sinistra, allontanandoci dal canalone, ed in breve siamo al crinale. Procediamo su traccia di sentiero salendo verso nord-ovest, verso l’ometto sulla prima elevazione.
Proprio sotto la verticale della cima, la traccia si fa più marcata e piega a destra, in direzione di una roccettina: seguiamola per un buon tratto, e, appena possibile, lasciamola piegando a sinistra e risalendo le ultime ripide balze erbose che ci separano dalla cima del Poggio del Cavallo (m. 2557). Se non vogliamo tornare per la medesima via di salita, procediamo così. Ripercorriamo, per un tratto, la via di salita, fino al punto in cui la traccia che taglia il versante appena sotto la cima si riporta sul crinale e, divenuta meno marcata, comincia a scendere seguendolo. Invece di seguirla nella discesa, dobbiamo cercare, sulla destra, una traccia di bestiame abbastanza visibile che taglia, in direzione ovest, per breve tratto, il versante più alto della Val Finale e, dopo una svolta a destra, ci porta sul limite alto di un largo e ripido canalone. Siamo al passo del Poggio del Cavallo (m. 2500), e la discesa richiede molta attenzione (oltre che condizioni di terreno asciutto e, non è neppure necessario dirlo, calzature adeguate). Nel primo tratto ci muoviamo un po’ a zig-zag, seguendo un accenno di traccia, su terreno smosso dalle slavine (il terriccio, in particolare, può provocare qualche scivolone). In basso, sulla destra, distinguiamo bene il largo dosso al quale la discesa punta, affrontando un ripido versante erboso e tagliando leggermente a destra per raggiungerlo. Una volta sul dosso, non ci sono più problemi: si divalla, verso destra, alla conca alta dell’alpe Baric, trovando il sentiero che descrive un arco in senso antiorario e passa leggermente a monte delle baite dell’alpe (m. 2261), poste in una conca più bassa. Poco oltre le baite, un cartello segnala la direzione dell’ulteriore discesa: prendendo a sinistra, infatti, seguiamo il sentiero che prosegue verso la più bassa alpe Vignone, dapprima con direzione ovest-sud-ovest, poi piegando decisamente a sinistra (sud-est) e tagliando uno speroncino ed un valloncello, prima di inanellare, con direzione sud, diversi tornanti che fanno perdere rapidamente quota, fino alla baita più bassa dell’alpe Vignone (1991), alla cui sinistra parte la marcata mulattiera che porta a Prato Maslino (m. 1630).
Dal parcheggio posto sul limite inferiore del prato (appena sotto il rifugio Marinella) parte, verso est, una nuova pista tagliafuoco: seguendola, troviamo un primo modesto slargo sulla sinistra e, sul lato destro, un sentiero che se ne stacca scendendo nella pecceta; ignorato questo sentiero, procediamo fino a trovare un secondo più ampio slargo sulla sinistra e, di nuovo, sulla destra, un sentiero che se ne stacca scendendo nella pecceta: non ci sono indicazioni, ma si tratta del bel sentiero che taglia la media Val Finale con qualche saliscendi (si abbassa fino alla quota di 1540 metri circa e poi gradualmente risale a quella di 1670 metri) e ci porta, in una cinquantina di minuti, sul lato alto occidentale di Prato Isio, in corrispondenza di una grande fontana in cemento. Tagliando la parte alta del prato, in pochi minuti siamo al parcheggio dove abbiamo lasciato l’automobile. |
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L’alpe delle Foppe (“ai Fop”) si trova in alta Valle di Postalesio (o Valle del Caldenno), in territorio del comune di Berbenno di Valtellina, non, però, sul fondovalle, bensì in un’ampia conca che si apre, nascosta a chi guardi dal basso, sul lato occidentale della stessa (sulla sinistra per chi sale), a monte delle baite dell’alpe Caldenno ed ai piedi del crinale che la separa dall’alta val Finale e dall’alpe Baric (alta val Vignone). A rendere sconosciuto ai più quest’alpeggio ci si mette anche la cartografia: non è infatti nominato né sulle carte IGM, né su quelle Kompass e neppure sulla Carta Tecnica Regionale della Lombardia 1:10.000. Tutto ciò non deve far supporre che si tratta di un luogo di difficile accessibilità. La bellezza dei dolci e luminosi dossi (“fop”, in dialetto, significa, appunto, dosso) che, dalla quota di 2200 metri, ne scandiscono il ritmo è, infatti, pari alla facilità e relativa brevità del percorso che consente di raggiungerla: un’ora e quaranta minuti circa dal parcheggio di Pra Isio, su pista carrozzabile ed agevole sentiero. Passa, inoltre, da qui l’itinerario che consente di salire, senza difficoltà, al panoramicissimo Poggio del Cavallo (m. 2557), punto d’incontro fra la valle del Caldenno, la val Finale e l’alta val Vignone (conca dell’alpe Baric) e splendido osservatorio sull’intera catena orobica. Dal Poggio del Cavallo l’escursionista esperto può seguire, verso nord, il crinale Baric-Caldenno e salire al pizzo Bello (m. 2748), oppure scendere per il passo del Poggio del Cavallo (o per una bocchetta poco più a nord) all’alpe Baric (alta val Vignone, sopra Prato Maslino), tornando a Pra Isio lungo il percorso alpe Baric-alpe Vignone-Prato Maslino-Pra Isio e chiudendo, in circa sei/sette ore, un anello escursionistico tanto affascinante quanto poco noto.
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Ciliegina sulla torta, la nascosta alpe delle Foppe ospita il bivacco Ai Fop, costruito di recente, a quota 2250 metri, dal Consorzio d’Alpe di Prato Isio e Valle Caldenno, come punto di appoggio per queste escursioni o per altre di maggiore respiro (traversate al rifugio Granda, al rifugio Ponti o al rifugio Bosio). Vediamo come raggiungerlo.
Stacchiamoci dalla ss. 38 dello Stelvio sulla sinistra (per chi proviene da Milano) all’altezza di S. Pietro Berbenno, imboccando il rettilineo in salita in direzione dell’imponente chiesa di S. Maria di Berbenno. Dopo pochi tornanti, al primo bivio lasciamo la strada, che procede verso il centro del paese e prendiamo a destra, imboccando la via Conciliazione, che passa proprio sotto la chiesa e ci porta ad uno stop, al quale prendiamo a sinistra, salendo verso la frazione di Polaggia. Ignorata la deviazione, sulla destra, per Postalesio, passiamo sotto la chiesa di S. Abbondio e, dopo un tornante sinistrorso, giungiamo ad un bivio, al quale, seguendo le indicazioni del cartello marrone che segnala Gaggio a 8 km e Prato Isio a 13 km, prendiamo a destra. Dopo un secondo tornante sinistrorso, la strada ne affronta uno destrorso, ma la carreggiata è, qui, talmente stretta che bisogna far manovra per impegnarlo con successo.
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Poi non si può più sbagliare: proseguiamo sulla strada asfaltata, incontrando (ed ignorando) un tratturo in cemento che se ne stacca, sulla sinistra, per poi affrontare una serie serrata di quattro tornanti a destra e tre a sinistra. Segue un bel traverso a destra (ovest-nord-ovest), nel quale incontriamo ed ignoriamo una pista che si stacca, sulla destra, dalla strada. La salita al Gaggio di Polaggia prosegue con una lunga serie di tornanti, che portano, ad 8 km da Polaggia, al ridente maggengo, le cui baite si stendono su una fascia di prati compresa fra quota 1200 e 1260 metri. Oltre il maggengo, dopo un tornante destrorso, raggiungiamo le poche baite della località Piana del Prete (m. 1300), immersa in una splendida pineta, proseguendo la salita verso Prato Isio. Al fondo in asfalto si sostituisce quello in cemento (e, per un buon tratto, quello sterrato, in condizioni non buone).
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Dopo 13 km da Polaggia un ultimo tornante destrorso ci introduce all’ampia fascia di prati dell’alpeggio di Prato Isio (o Pra Isio), che si stende da 1520 e 1670 metri. Nella parte bassa dell’alpe, dopo il primo tornante destrorso, ci accoglie un grande e solitario faggio, segnalato anche da un cartello, che figura fra gli alberi monumentali della Provincia di Sondrio. Ci attendono altri due tornanti destrorsi, prima di raggiungere, dopo una semicurva a sinistra, l’ampio slargo che funge da parcheggio. Qui, a quota 1670, lasciamo l’automobile, per incamminarci alla volta dell’alpe Caldenno sulla pista carrozzabile (chiusa al traffico dei veicoli non autorizzati) che taglia il selvaggio fianco sinistro (occidentale) della Valle del Caldenno (così viene chiamata l’alta Valle di Postalesio, dal nome del torrente che la percorre).
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Una ventina di minuti sono sufficienti per uscire dal bosco e giungere in vista delle baite della parte mediana dell’alpe, incontrando un cartello che segnala la quota 1740 metri. Dopo un tornante destorso ed uno sinistrorso, attraversiamo il nucleo occidentale delle baite, a 1811 metri. Oltrepassata l’ultima baita, la Casera del Formaggio, la pista va a morire poco metri più avanti, nei pressi del lato occidentale del torrente Caldenno. Proseguiamo, ora, verso l’interno della valle, piegando leggermente a sinistra: vedremo subito un cartello, alla nostra sinistra, poco più in alto, che segnala la partenza del sentiero per l’alpe Ai Fop data a 30 minuti, il bivacco Ai Fop, dato a 40 minuti, il passo del Cavallo, dato ad un’ora e la Pizza Bella (o pizzo Bello), data a 2 ore.
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Il sentiero parte sulla sinistra del cartello. Nella prima parte non è molto visibile, poi la traccia si fa chiara e marcata. Non ci sono segnavia, ma non è il caso di inquietarsi: si tratta di uno di quei sentieri che vien voglia di paragonare a certi rari amici, sinceri, schietti, che ti accompagnano là dove devi arrivare, senza fare troppi complimenti, senza troppi ghirigori o divagazioni, e soprattutto senza mai piantarti in asso. La traccia, infatti, mantenendo la direzione ovest-sud-ovest, sale, con un gran numero di tornanti ed una pendenza costante e non eccessiva, sul fianco occidentale della valle, superando dapprima una fascia di macereti ed ontani, per poi immergersi in una macchia di macereti, ontani e larici. Anche il fondo è buono e riposante: non c’è davvero nulla di che lagnarsi.
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Poco al di sotto di quota 2000 il sentiero si porta a ridosso di uno sperone roccioso, e per un tratto serpeggia alla sua destra, per poi allontanarsene verso destra, uscendo per un buon tratto su terreno aperto. Approfittiamone per guardare in direzione del fondo della valle, a nord: occhieggia, infatti, con un effetto suggestivo e surreale, oltre il crinale sul quale è posto il passo di Caldenno, la cima del monte Disgrazia. Il sentiero svolta, quindi, a sinistra e, dopo un traverso, riprende ad inanellare tornanti, fra radi ontani e larici. Intorno ai 2140 metri usciamo di nuovo e definitivamente all’aperto. Un ultimo traverso a sinistra ci porta, infine, alla prima, più piccola e più bassa delle tre grandi conche di cui è costituita l’alpe ai Fop: sul suo limite inferiore ci accoglie il mesto rudere di una piccola baita (m. 2180), alle cui spalle è posta una grande fontana. In alto, fa già capolino il nuovo edificio del bivacco, che ha un’aria decisamente più giovanile ed allegra.
Il sentiero prosegue sulla destra della baita, poi piega a sinistra e si affaccia alla seconda conca, sul cui limite inferiore, a 2250 metri, è posto il bivacco, in una zona non particolarmente panoramica, ma decisamente affascinante per la solitudine e la luminosità di cui ogni cosa sembra essere pervasa. L’edificio, sempre aperto, è dotato di stufa a legna, fornelletto a gas, illuminazione a gas, stoviglie, letto a castello con due materassi e coperte, piccola mansarda con altri due materassi e coperte (lo spazio consente il pernottamento di una decina di persone). Dal bivacco si gode di uno spaccato non ampio ma suggestivo sulle Orobie centrali (si mostrano i 3 Tremila sul fondo della Val d’Arigna e della Valle di Scais); per il resto il panorama è circoscritto dalle poderose muraglie verdi della Valle del Caldenno. Verso nord-ovest una serie di cime erbose ed arrotondate chiude armonicamente lo scenario, che invita al raccoglimento ed alla meditazione. Il corpo, dopo circa un'ora e 40 minuti di cammino (il dislivello è di 580 metri) riposa, la mente vaga libera, come quelle aquile che probabilmente ci capiterà di veder solcare il cielo sopra di noi, lasciando un nido ignoto ad occhi profani.
Probabilmente sentiremo il bisogno di proseguire nell’esplorazione di luoghi tanto nascosti ed affascinanti. Ecco la più naturale e semplice via, che porta in cima al Poggio del Cavallo (m. 2557), l’elevazione sulla quale convergono tre crinali, che delimitano la Valle del Caldenno, ad est, la Val Finale, a sud, e l’alta Val Vignone (conca dell’alpe Baric), ad ovest.
Per arrivarci dobbiamo proseguire su una traccia di sentiero (all’inizio non si vede) sulla destra del bivacco (direzione nord-ovest), risalendo l’ampio dosso che ci separa dalla terza, più alta e più ampia conca dell’alpe. Prestando attenzione, scopriremo la traccia ed anche un paio di ometti, che segnalano un punto di svolta a destra. La traccia volge, quindi, a sinistra e descrive un’ampia diagonale che ci porta ad affacciarci all’ampio ed ondulato pianoro di quota 2300 metri circa.
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Luogo bellissimo, chiuso ad ovest dal crinale principale che separa la Valle di Caldenno dall’alta Val Finale, e ad est (alla nostra destra) da un crinalino secondario, di rocce dal colore bianco, che ci separa dal versante che precipita sulla media Valle del Caldenno. Il tutto sembra una grande luminosa culla, che ci riconcilia con il mondo ed i suoi elementi, con un passato di cui non sappiamo.
Qui la traccia ci lascia, ma non è difficile proseguire. La meta non è, come potremmo pensare, la più alta delle cime che fanno da corona all’alpe (senza nome, quotata 2605 sulla carta IGM), proprio davanti a noi, ma una cima decisamente meno pronunciata, alla nostra sinistra, riconoscibile per il grande ometto che la sormonta. Pieghiamo, dunque, leggermente a sinistra, lasciando alla nostra destra la cima di un modesto dosso, e puntando al versante che sale fino al crinale Val Finale-Val Vignone. Riconosceremo sul versante un facile canalone erboso, e ci verrà spontaneo pensare che quella è la via per guadagnare il crinale. Cominciamo, dunque, a salire, in diagonale, il versante, in direzione del canalone: prima di raggiungerlo, però, intercettiamo una marcata traccia che sale da sinistra, descrivendo un ampio arco sulla parte mediana del versante. La seguiamo, in salita, verso sinistra, allontanandoci dal canalone, ed in breve siamo al crinale.
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Gli attimi che precedono questi punti di svolta sono sempre densi di curiosità trepidante: cosa ci sarà sul lato opposto? Il precipitare vertiginoso di versanti strapiombanti? Un più dolce declivio? Niente di tutto questo. Il crinale si rivela non esile striscia, ma amplissimo corridoio erboso. La Val Finale non si vede ancora: il limite è qualche decina di metri più avanti. Volgendo lo sguardo all’alpe ai Fop ne possiamo apprezzare ancora di più la solitaria discrezione: solo un modesto rudere di baita parla dell’uomo e dei suoi affanni. Guardando, invece, in alto, verso nord-ovest, vediamo la meta, ormai vicina: è la prima elevazione a cui sale il crinale, ed è sempre l’ometto a renderla riconoscibile.
La salita è agevolata da una traccia di sentiero, che corre non lontana dal limite del crinale che precipita nella ripidissima alta Val Finale, passando diverse decine di metri a sinistra di una curiosissima conca del diametro di circa un paio di metri. Poi, proprio sotto la verticale della cima, la traccia si fa più marcata e piega a destra, in direzione di una roccettina: seguiamola per un buon tratto, e, appena possibile, lasciamola piegando a sinistra e risalendo le ultime ripide balze erbose che ci separano dalla cima del Poggio del Cavallo (m. 2557), che raggiungiamo dopo circa tre quarti d’ora di cammino dal bivacco.
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Splendido il panorama. A nord il crinale prosegue, salendo alla già citata cima quotata 2605 metri, passando per la cima 2699 metri e raggiungendo il punto più alto con la vetta del pizzo Bello (m. 2743), che, purtroppo, nasconde interamente la vista dei Corni Bruciati. Si intravede, alla sua sinistra, solo un modestissimo spicchio della cima del monte Disgrazia (m. 3678). Proseguiamo in senso orario: dietro il fianco orientale della Valle del Caldenno si affacciano la punta Painale (m. 3248), la cima Vicima (m. 3122) e la vetta di Ron (m. 3136). Poi, alle spalle del monte Canale (m. 2523) e del monte Rolla (m. 2277), lontano ma sempre imponente, il gruppo dell’Adamello, sul fondo, ad est. Segue l’intera catena orobica, a sud-est, sud e sud-ovest.
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Nessuna cima manca all’appello. In primo piano, a sud, la Valmadre, con il passo di Dordona; a anche la Val Cervia e la Valle del Livrio, alla sua sinistra, si mostrano quasi nella loro interezza. Ai piedi del versante occidentale della Val Gerola e del monte Legnone si vede anche una bella porzione della bassa Valtellina, delimitata, ad est, dal caratteristico panettone del Culmine di Dazio. Una piccola porzione delle Alpi Lepontine separa il Legnone dall’ampia cima del Desenigo (m. 2845), alla cui destra si aprono i passi gemelli di Primalpia (pàs de primalpia, m. 2477) e della bocchetta di Spluga o di Talamucca (bochèta de la möca, m. 2532), che congiungono l’alta Valle di Spluga alla Valle dei Ratti. Procedendo verso destra, notiamo l’affilata cima del monte Spluga o Cima del Calvo (m. 2967), posto all’incontro di Valle di Spluga, Val Ligoncio e Valle dei Ratti. I più modesti pizzi Ratti (m. 2919) e della Vedretta (m. 2909) preparano l’arrotondata cima del pizzo Ligoncio (Ligunc’, m. 3038), che si innalza sopra una larga base di granito, nel catino glaciale che si apre sopra i Bagni di Masino (Val Ligoncio e Valle dell’Oro).
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Alla sua destra, la punta della Sfinge (m. 2802) precede la larga depressione sul cui è posto il passo Ligoncio (m. 2575), fra la valle omonima e la Valle d’Arnasca (Val Codera). A nord del passo si distingue il pizzo dell’Oro meridionale, m. 2695, mentre quello centrale quello settentrionale, così come la punta Milano (m. 2610), la cima del Barbacan (m. 2738), le cime d’Averta ed il pizzo Porcellizzo (il pèz, m. 3075) sono nascosti dall’arrotondata cima di Vignone (m. 2608). Alla sua destra si apre una sella che la separa dalla cima quotata 2643 metri: una piccola finestra che ci regala la vista di alcune fra le più famose cime del gruppo del Masino: il celeberrimo pizzo Badile (badì, m. 3308), cui fa da vassallo la punta Sertori (m. 3195); segue il pizzo Cengalo (cìngol, m. 3367); si distinguono appena i puntuti pizzi Gemelli (m. 3259 e 3221), mentre è meglio visibile il pizzo del Ferro occidentale o cima della Bondasca (m. 3267); procedendo verso est, ecco il pizzo del Ferro centrale (m. 3287), il torrione del Ferro (m. 3070) ed il pizzo del Ferro orientale (m. 3200), che costituiscono la testata della Valle del Ferro (laterale della Val di Mello) e sono chiamati nel dialetto di Val Masino “sciöme do fèr”. La sella fra la quota 2643 ed il pizzo Bello, infine, ci regala uno scorcio sulla dorsale rossastra che dal Sasso Arso sale ai Corni bruciati, separando la Valle di Preda Rossa dalla Val Terzana (entrambe in Val Masino). Un ultimo sguardo, infine, va rivolto all’impressionante Val Finale, che, a sud della cima (la quale costituisce il vertice della sua testata) ed a monte di Berbenno, precipita con versanti ripidissimi fino al limite del fitto bosco di conifere.
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Ecco, infine, come completare l’escursione tornando a Prato Isio con un percorso ad anello, per due vie: la discesa diretta all’alpe Baric sfruttando il passo del Poggio del Cavallo, oppure la più lunga salita lungo il crinale fino al pizzo Bello, con successiva discesa all’alpe Baric. Da quest’alpe si scende, poi, facilmente all’alpe Vignone ed a Prato Maslino, dove parte un sentiero che, tagliando la media Val Finale, riporta a Prato Isio. Entrambe queste possibilità sono, però, riservate ad escursionisti con grande esperienza e piede sicuro.
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La prima, più breve ed agevole (ma sempre da affrontare con cautela) sfrutta il passo che si apre appena a sud del poggio e che da questo prende il nome (Passo del Poggio del Cavallo, m. 2500, non segnalato, però, sulla carta IGM). Per trovarlo dobbiamo tornare indietro, per un tratto, seguendo la via di salita, fino al punto in cui la traccia che taglia il versante appena sotto la cima si riporta sul crinale e, divenuta meno marcata, comincia a scendere seguendolo. Invece di seguirla nella discesa, dobbiamo cercare, sulla destra, una traccia di bestiame abbastanza visibile che taglia, in direzione ovest, per breve tratto, il versante più alto della Val Finale e, dopo una svolta a destra, ci porta sul limite alto di un largo e ripido canalone. Il passo è questo, e la discesa richiede molta attenzione (oltre che condizioni di terreno asciutto e, non è neppure necessario dirlo, calzature adeguate). Nel primo tratto ci muoviamo un po’ a zig-zag, seguendo un accenno di traccia, su terreno smosso dalle slavine (il terriccio, in particolare, può provocare qualche scivolone). In basso, sulla destra, distinguiamo bene il largo dosso al quale la discesa punta, affrontando un ripido versante erboso e tagliando leggermente a destra per raggiungerlo.
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Una volta sul dosso, non ci sono più problemi: si divalla, verso destra, alla conca alta dell’alpe Baric, trovando il sentiero che descrive un arco in senso antiorario e passa leggermente a monte delle baite dell’alpe (m. 2261), poste in una conca più bassa. Poco oltre le baite, un cartello segnala la direzione dell’ulteriore discesa: prendendo a sinistra, infatti, seguiamo il sentiero che prosegue verso la più bassa alpe Vignone, dapprima con direzione ovest-sud-ovest, poi piegando decisamente a sinistra (sud-est) e tagliando uno speroncino ed un valloncello, prima di inanellare, con direzione sud, diversi tornanti che fanno perdere rapidamente quota, fino alla baita più bassa dell’alpe Vignone (1991), alla cui sinistra parte la marcata mulattiera che porta a Prato Maslino (m. 1630).
Dal parcheggio posto sul limite inferiore del prato (appena sotto il rifugio Marinella) parte, verso est, una nuova pista tagliafuoco: seguendola, troviamo un primo modesto slargo sulla sinistra e, sul lato destro, un sentiero che se ne stacca scendendo nella pecceta; ignorato questo sentiero, procediamo fino a trovare un secondo più ampio slargo sulla sinistra e, di nuovo, sulla destra, un sentiero che se ne stacca scendendo nella pecceta: non ci sono indicazioni, ma si tratta del bel sentiero che taglia la media Val Finale con qualche saliscendi (si abbassa fino alla quota di 1540 metri circa e poi gradualmente risale a quella di 1670 metri) e ci porta, in una cinquantina di minuti, sul lato alto occidentale di Prato Isio, in corrispondenza di una grande fontana in cemento. Tagliando la parte alta del prato, in pochi minuti siamo al parcheggio dove abbiamo lasciato l’automobile. Questo anello, che si potrebbe chiamare anello del Poggio del Cavallo, richiede circa 6 ore e mezzo/7 ore di cammino (il dislivello approssimativo in salita è di 880 metri).
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Ancora più lunga ed impegnativa è la seconda possibilità, che passa per la cima del pizzo Bello. Per raggiungerla dobbiamo, dal Poggio del Cavallo, seguire la traccia che si snoda sul crinale, con diversi saliscendi e qualche passaggio su roccette o su terreno esposto (da evitare, quindi, con condizioni di terreno non asciutto). Raggiunta una prima elevazione, scendiamo alla sella che precede la risalita alla quota 2605; una successiva discesa prelude alla salita ed al tratto che taglia il versante occidentale della quota 2699, fino ad una selletta che precede l’ultimo tratto di salita, verso nord-ovest, alla cima del pizzo Bello (m. 2743), dalla quale si gode di un panorama spettacolare. Qui termina il tratto impegnativo (e sconsigliabilissimo ad escursionisti impressionabili) della traversata: la successiva discesa, per il crinale occidentale del pizzo, alla bocchetta di quota 2550 è relativamente semplice e segnalata da segnavia bianco-rossi. Alla bocchetta un cartello ci indica la traccia di sentiero che scende, verso sinistra, alla parte alta della conca dell’alpe Baric: seguendola, ci si congiunge al precedente itinerario. Questo itinerario, che potrebbe essere chiamato anello del pizzo Bello, richiede circa 8/9 ore di cammino, e comporta un dislivello approssimativo in salita di 1150 metri.
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