Salendo a Teglio fra profumi, colori e suggestioni antiche
Ai piedi del grande bastione di roccia che sostiene e nasconde Teglio, in una zona particolarmente fertile, un tempo per gran parte possesso della famiglia Besta di Teglio, circondata da pregiati vigneti che producono il vino Fracia e Ca’ Brioni, sta il paesino di Nìgola, sul confine occidentale del comune di Teglio, paesino che ha conservato interamente il suo profumo antico ed anche la sua fama di isola felice e gaudente, nell’arcipelago del buon gusto rappresentato dalle contrade e dai borghi tellini.
Proprio un figlio di questa terra, Giuseppe Napoleone Besta, ci aiuta ad entrare in questo spirito narrando, nei suoi “Bozzetti Valtellinesi” (pubblicati nel 1878 dalla Tipografia Bonazzi di Tirano), il clima della sagra paesana che si celebrava a principio di febbraio in onore di Santa Apollonia (che si commemora il 9 febbraio), quando i primi tepori, incerti e contraddittori, che si sperava seguissero ai giorni della merla, attiravano da tutto il territorio di Teglio gran messe di persone desiderose di scrollarsi di dosso anzitempo il torpore del gelido inverno:
Nigola
“A Nigola il dì della sua sagra, si tiene e si teneva allora, un mercato di stoppa, di stoffe, di aringhe, di sardelle, di anguille ed altre serpi di palude, di gerle, di crivelli, di zangole e maciulle e altre simili derrate di rurale uso e consumo; e la ristrettezza del sito pel concorso del popolo, è tale che la gente vi si pigia come i fichi secchi in un barile. E le pettate, le gomitate, i palamenti, le testate sono tali e tante che quel mercato si appella, la fiera delle Palpacoscie (veramente si chiama con una parola un po’ più scurrile; ma la lasciamo nella penna). Non è a dire se al giungere della brigata dei tellini, tutto quell’ammasso di teste coperte di cento colori, dalle pezzuole rosso-porpora delle fanciulle, verdi delle fidanzate, violette delle spose, nere delle vedove, bianche di quelle di Castione ai neri cappelli tondi dei tellini, piatti di quei della Motta e Biancone; conici di quei d’Aprica; si dovesser muovere e volgere le cento faccie verso S. Giacomo, da dove per un sentiero tra le vigne s’avvicinava quella insospettata processione. Le case dei nigolesi per quel giorno ridotte ad osteria, erano zeppe di scioperoni, che fino dalla mattina giocavano alla mora e alle carte, a dispetto dei preti che cantavano messa nella vicina chiesuola. Era quindi impossibile pei nuovi ospiti, di trovare un posto appena conveniente onde unirsi ad asciolvere. …”
Peraltro non pare che i tellini fossero molto riconoscenti agli abitanti di Nigola per l’ospitalità nel giorno della sagra: affibbiarono, infatti, loro la denominazione di “Màia sciatt de Nìgula”, cioè “mangiarospi”.
Perché, allora, se non proprio il 9 di febbraio, in una giornata, almeno, di quel mese, o del successivo marzo, non venire a Nigola per cercare di evocare, nell’immaginazione, il clima di quella sagra ed insieme per incamminarsi, con la calma di chi si vuol godere interamente il sole del primo meriggio, si per la grande rocca, fino a Teglio?
Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
Nigola-Teglio-Nigola |
4 h |
560 |
E |
SINTESI. Percorrendo la ss. 38 dello Stelvio, da Sondrio verso Tirano, dopo Chiuro e la rotonda di Chiuro, prestiamo, dunque, attenzione, sulla sinistra, allo svincolo segnalato per Nigola, che si trova prima della fine del tirone che porta a S. Giacomo di Teglio.
Lasciata la statale, percorriamo per breve tratto la strada che porta a ridosso del paese e parcheggiamo l’automobile al primo slargo utile (m. 340 circa). Imbocchiamo, quindi, la stradina che sale fra la case del paese e, dopo una svolta a destra, termina ad un ripido tratturo con fondo in cemento, che sale tagliando con lunga diagonale il bel versante di vigneti, fino ad intercettare, a 710 metri circa, la strada Panoramica dei Castelli, fra Vangione di Sopra e S. Antonio. Scendiamo verso sinistra, passando per Vangione di Sopra, il ponte della Valle della Maga e Villanuova, fino alle case di San Giovanni. Qui saliamo a destra, alla chiesa di San Giovanni, dove, seguendo un cartello, saliamo ancora al sito delle incisioni rupestri e prendiamo a destra (cappelletta), seguendo una stradella (forse l'antica via di valle) che prosegue salendo in una selva. La pista ci porta, in breve, ad un ampio prato concavo, delimitato dalla parte alta della Valle della Maga, che corre alla nostra destra. Proseguendo diritti sul lato opposto del prato torniamo sulla Panoramica dei Castelli e la seguiamo in salita fino a Frigeri. Poco oltre la strada si biforca e noi saliamo a destra, raggiungendo la chiesetta di San Martino, sul limite occidentale di Teglio. procediamo sulla strada che entra in Teglio, via San Martino e poi Via Modesto Tudori, fino ad incontrare il celebre Palazzo Besta. Davanti alla chiesetta di San Lorenzo, che sta di fronte al palazzo, troviamo un cartello che ci indirizza a destra (per chi entra da via Tudori), dando Sant’Antonio a 20 minuti. Imbocchiamo, così, una strada senza uscita, che ci porta ad un cartello di “Proprietà privata”: qui prendiamo a destra (ovest) imboccando un sentierino, che ci porta ad intercettare una pista sterrata, sulla quale troviamo un secondo cartello che dà S. Antonio a 10 minuti. Scendiamo ancora, attraversiamo una roggia su un ponticello e, ad un bivio, prendiamo a sinistra, su pista meno larga, e non a destra, dove parte una pista più larga. Confluiamo, quindi, in una pista più larga, che scende con andamento molto regolare: alla fine della discesa, siamo alle case della frazione di S. Antonio. Oltrepassata l'omonima chiesetta torniamo, dunque, sulla Panoramica dei Castelli e scendiamo oltrepassando Vangione di Sopra (rifacendo un pezzo di percorso dell’andata). Alla prima deviazione a sinistra, però, la lasciamo e proseguiamo la discesa, su pista sterrata, verso sud-ovest (indicazione per Brioni). Scendiamo, così, attraversando una zona boscosa. Ignorate alcune deviazioni, rimaniamo sulla pista principale, che lascia la fascia dei boschi e scende ad una bellissima fascia di vigneti e, dopo un ultimo tornante sinistrorso, termina ad una piccola piazzola. All'ultimo tornante sx imbocchiamo una seconda pista, che si stacca da quella percorsa sulla destra, e riprende la discesa verso sud-ovest, tagliando la fascia dei vigneti e terminando alla cascata del torrente Rogna. Di qui ci portiamo facilmente alle porte orientali di Chiuro e, imboccata una stradina asfaltata che prende a sinistra (est), torniamo a Nigola. |
Percorrendo la ss. 38 dello Stelvio, da Sondrio verso Tirano, dopo Chiuro e la rotonda di Chiuro, prestiamo, dunque, attenzione, sulla sinistra, allo svincolo segnalato per Nigola, che si trova prima della fine del tirone che porta a S. Giacomo di Teglio.
Lasciata la statale, percorriamo per breve tratto la strada che porta a ridosso del paese e parcheggiamo l’automobile al primo slargo utile (m. 340 circa). Imbocchiamo, quindi, la stradina che sale fra la case del paese, dove, a dispetto dell’evanescente significato del nome (Nìgola è voce dialettale che significa “nuvola”), il sapore d’antico non è ancora svaporato. Immaginiamo che dalla nostra destra, da S. Giacomo, se ne venga la turba degli scioperati tanto simpatici al Besta; immaginiamo, non appena da un suggestivo sottopasso sbuchiamo in vista dell’oratorio di S. Apollonia (m. 378), la calca dei devoti straboccare dalla piccola chiesetta, dalla quale esce la possente voce salmodiante dei confratelli, che contrappunta le acute impennate delle donne. Immaginiamo l’alternarsi degli uni e delle altre nelle interminabili litanie dei santi, perché nessun santo resti escluso, perché nessun santo abbia motivo di far mancare la propria benedizione. Immaginiamo la vicina calca dei gaudenti, con altro e più sguaiato salmodiare, perché, come si suol dire, tutti i salmi finiscono in gloria e c’è sempre chi preferisce il finale e salta la lunga e devota premessa. E, se ci riesce, portiamoci ancora più indietro nei secoli, quando questa terra era solo un pugno di rustici di una curtis longobarda, ed ancora l’oratorio non aveva le eleganti e settecentesche forme che ancora vediamo, forse ligariane, ma era niente più che austera costruzione con muratura a secco. Immaginiamo…
Intanto la strada volge a destra e ci lasciamo alle spalle le case più alte del paesino, per imboccare un ripido tratturo con fondo in cemento, che taglia con lunga diagonale il bel versante di vigneti. La salita è severa, ma affrontata con la calma d’altri tempi non pesa. Volgendo le spalle, gustiamo il bel panorama che spazia su una porzione via via più ampia della piana fra Chiuro e S. Giacomo, dominata dal lungo e regolare conoide della Fiorenza, accumulato da secoli e secoli di apporti alluvionali del torrente di Val Fontana. E poi, dietro, il colle di Triangia, sormontato dai monti Rolla e Canale, più dietro ancora il corrugato cupolone della cima del Desenigo, sul fondo un breve spicco delle Alpi Lepontine, sull’alto Lario. Raggiunto, quindi, una sorta di poggio, il tratturo volge leggermente a sinistra e questo panorama si chiude alle nostre spalle, per poi riaprirsi poco più avanti, quando superiamo una baita (m. 510), sulla nostra destra, con un dipinto che raffigura l’apparizione della Madonna al Beato Omodei, cui chiede l’edificazione di una chiesa a lei dedicata (il futuro Santuario della Madonna di Tirano). Tutt’intorno, muretti a secco che ancora reggono il peso del tempo ed il frutto della vite. Poco più avanti (m. 570), ecco una selva di castagni ed un bivio: noi stiamo sulla pista in cemento, che piega leggermente a sinistra. Dopo una svolta a sinistra ed una a destra, lasciamo alle nostre spalle anche la selva e ci immettiamo in una stradina asfaltata, che sale ad intercettare la strada S. Giacomo-Teglio, appena sopra Castelvetro e Posseggia.
Proseguiamo in salita, superando una sequenza di tornanti sx-dx-sx-dx, fino ad intercettare, a 710 metri circa, la strada Panoramica dei Castelli, fra Vangione di Sopra e S. Antonio: davanti a noi l’edificio dell’ex Latteria. Ora prendiamo a sinistra, scendendo per un buon tratto lungo la panoramica. Passiamo, così, davanti alle case di Vangione di Sopra, sulla facciata di una delle quali si vede un bel dipinto di Madonna con Bambino. Poco oltre si stacca, alla nostra sinistra, una pista che scende a Brione, in 10 minuti, nel cuore della fascia vinicola. Ignorata la deviazione, continuiamo a scendere, superando il ponte sulla Valle della Maga, chiamata così perché legata alla leggenda della terribile Magàda, strega piccola, orrenda a vedersi, con un solo occhio, i piedi a zampa di mulo ed un cappellaccio di paglia in testa. Più d’uno raccontava di averla vista con un sacco pieno di budella di bimbi rapiti, che cavava fuori, ancora sanguinolente, lavava all’acqua del torrentello, per poi divorarle tutte intere. Terminato l’orrido banchetto, risaliva la valle, fino alla strozzatura, dove, al tocco della verga che teneva in mano, le rocce si aprivano, lasciandola passare, per poi richiudersi alle sue spalle. Spariva così, lasciando i poveri contadini terrorizzati. Guardando sotto il ponte, possiamo ancora vedere quel che resta della cappelletta che, su una delle più battute mulattiere per Teglio, venne eretta per tenere lontana la minaccia di quell’essere malefico.
Pista Nigola-Vangione
Poco sotto il ponte, eccoci a Villanuova, oltrepassata la quale siamo a San Giovanni, frazione i cui abitanti, per la curiosa abitudine di stendere ad asciugare le lenzuola nei campi, venivano chiamati “Biancheria de San Giuàn”. Lasciamo, ora, la Panoramica dei Castelli e saliamo a destra, fino alla bella chiesa cinquecentesca dedicata al santo, con un ossario staccato. Qui troveremo il cartello che segnala la partenza della più importante delle mulattiere che dal fondovalle salivano a Teglio, di origine probabilmente romana. La mulattiera, che in alcuni punto mostra l’antico fondo romano, proviene, probabilmente, da Chiuro e sale, in breve, ad un sito nel quale, su una formazione rocciosa affiorante, sono stati di recente scoperte incisioni rupestri. Il sito è riconoscibile perché si trova appena prima di una cappelletta nella quale è dipinta una Madonna incoronata con Bambino. Si trovano iscrizioni sia nel roccione a valle della mulattiera, che in alcune rocce immediatamente a monte. Continuiamo in leggera salita, poi, dopo un tratto in leggera discesa, ci intercetta, salendo da destra, una pista sterrata, che prosegue passando a monte di un ampio prato. Questo scenario è caratteristico dell’ampia zona montana che si stende a sud e ad ovest di Teglio: nei prati, un tempo, dopo la mietitura della segale, a fine giugno, veniva seminato il grano saraceno, da cui si ricavava quella farina nera che veniva poi utilizzata nella preparazione dei pizzoccheri, uno dei vanti della cultura gastronomica tellina (del resto sulla ss. 38, all’imbocco di San Giacomo, un cartello saluta gli automobilisti con un “Benvenuti a Teglio la patria del pizzocchero”).
La pista ci porta, in breve, ad un ampio prato concavo, delimitato dalla parte alta della Valle della Maga, che corre alla nostra destra. Guardando a sinistra, vediamo, invece, un’elevazione costituita da rocce levigate e boscaglia (eriche e ginepri sul brullo versante meridionale): si tratta del Dos de la Furca (Dosso della forca), chiamato così perché, a quanto si racconta, venivano lì eseguite le condanne a morte per impiccagione (forse, però, il toponimo rimanda ad un passaggio stretto, forca, appunto, nelle sue vicinanze). Una curiosità: il sistema penale tellino non prevedeva pene detentive, ma solo pene pecuniarie o corporali, a seconda della natura e gravità del crimine, fino alla pena capitale. La zona fu anch’essa interessata da insediamenti preistorici, e vi sono state rinvenute alcune rocce coppellate. Stretti fra il fosco mistero della Magada, a destra, ed il sinistro alone degli impiccati, a sinistra, riguadagnamo con sollievo la Panoramica dei Castelli e la seguiamo in leggera salita, passando per la bella frazione di Frigeri, i cui abitanti, per la loro grande laboriosità, erano un tempo soprannominati “Ranegàt de Cà Fregé”.
Proseguiamo sulla strada asfaltata, oltrepassando la frazione e giungendo ad un bivio: mentre prendendo a sinistra si sale a San Rocco, Ligone e Prato Valentino, voltando a destra si prosegue per Teglio. Prendiamo, dunque, a destra e, dopo una breve salita, ci troviamo faccia a faccia con la chiesetta di San Martino, nei cui pressi si trova il cimitero di Teglio. La chiesetta, assai antica, è di probabile origine altomedievale ed è collocata sulla già citata via romana, di cui qui, però, non è rimasta traccia. Molto forte è sempre stata, nei secoli, la devozione dei tellini per il loro San Martino: all’edificazione, nel Seicento, di una cappella dedicata alla Beata Vergine di Caravaggio, in particolare, tenne dietro la pratica devozionale delle pie processioni che avevano come scopo di ottenere dalla Madonna la cessazione dei flagelli del cielo. Il luogo ispira a pensieri improntati a sentimenti delicati ed intrisi di malinconia, quando non cupi. L’attuale chiesetta, infatti, mostra l’aspetto assunto dopo la ricostruzione del 1560, e propone, sulla facciata, alcuni affreschi che si pongono in singolare contrasto con l’amenità del luogo. Il tema dominante è quello della morte: a destra uno scheletro inquietante è sormontato dalla scritta “Hodie mihi, cras tibi”, cioè “oggi a me, domani a te”, mentre a sinistra la raffigurazione della morte è commentata dalla frase “Omnia mihi subdita”, cioè “tutto è sottomesso a me”. Quando si dice parlare chiaramente!
Malinconiche sono le corde toccate, invece, da due poesie dell’illustre tisiologo ed accademico Bruno Besta (da “poesie”, edito a cura degli amici del Rotary Club, a Sondrio, nel 1965). Eccole.
LA PERDUNANZA
E' qualche cosa come il chiedere ed ottenere perdono: si va a chiedere la perdunanza in chiesa quando ci si reca a pregare all'Ave Maria o al cimitero alle tombe dei propri defunti.
Quancc ann l'è mai che sò n'dacc via de cà
per andà gió 'n culecc: Sondri, Pavia
e pö, finida l'Università
Roma, Amburgo, Berlin, Siena e via via
tüta sta vita sempre n' muviment
per rivà a diventà quel che sö incö
prufesúr genoves: e finalment,
mama e papà, el turna a cà el vòs fiö.
L'è vegnüt a truvaf chi a S. Martin
cun en mazzett de fiù de biancuspin
senza grande pretesi d'eleganza.
E 'l coeur, stu coeur vécc, strach, ch'el fa un po’ ‘l matt
al piang cúntent, perchè l'è medegatt
cul balsum de la vósa perdunanza.
Prima della Prolusione ufficiale a Genova. 19 aprile 1958
PERCHÈ CASCIASSELA? (1)
Adess che a podi a poch so andree a muri
el me fa gola de vedè tütt quell
che, quand che stavi ben, ai mé bei dì,
gò propri avüt mai voeuia de vedell;
forse l'è perchè gó la sensaziun
ch'el temp el pasa inesurabilment
e che se só anc mu (2) pien d'ambiziun,
de mi, tra poch, el ghe sarà più nient.
Se gira tùtt el mund, crüzià de bun (3),
cun la pena nel coeur, cun el magun (4);
se cred, magari, illüs, d'ess arivà
fina a vedé la gran felicità!
Ma perchè casciass tant, se poeu alla fin,
m' finirà foeu 'n di crap de San Martin? (5).
27 settembre 1958
1) Perché prendersela?
2) Ancora.
3) Angosciati.
4) Malinconia.
5) Luogo dove è il cimitero di Teglio.
Frigeri
Dopo questo doveroso omaggio allo spirito di San Martino, procediamo sulla strada che entra in Teglio, via San Martino e poi Via Modesto Tudori, fino ad incontrare il celebre Palazzo Besta, splendida espressione del rinascimento tellino e monumento nazionale. Giunti, dunque, a Teglio non possiamo non fare un bel giro per visitarla, con il proposito, però, di ritrovarci qui, a Palazzo Besta, per iniziare il ritorno.
Infatti davanti alla chiesetta di San Lorenzo, che sta di fronte al palazzo, troviamo un cartello che ci indirizza a destra (per chi entra da via Tudori), dando Sant’Antonio a 20 minuti. Imbocchiamo, così, una strada senza uscita, che ci porta ad un cartello di “Proprietà privata”: qui prendiamo a destra (ovest) imboccando un sentierino, che ci porta ad intercettare una pista sterrata, sulla quale troviamo un secondo cartello che dà S. Antonio a 10 minuti. Scendiamo ancora, attraversiamo una roggia su un ponticello e, ad un bivio, prendiamo a sinistra, su pista meno larga, e non a destra, dove parte una pista più larga. Confluiamo, quindi, in una pista più larga, che scende con andamento molto regolare: alla fine della discesa, siamo alle case della frazione di S. Antonio, i cui abitanti venivano un tempo soprannominati “Bósc de Sant’Antòne”, cioè uomini rudi, selvatici. Oltrepassata la frazione, eccoci al sagrato della chiesa di S. Antonio (m. 700), che serve le frazioni di Vangione e S. Antonio. Straordinariamente suggestiva nel suo isolamento, soprattutto quando se ne ammirano le linee sullo sfondo delle Orobie, anche questa chiesa ha radici antiche: venne edificata probabilmente a partire dal 1646, quando le comunità rurali si stavano riavendo dalla duplice batosta delle pestilenze del 1630 e 1635. L’ossario vicino alla chiesa è memoria anche di questo. La zona, peraltro, ha radici che affondano ben oltre la storia, perché, come attestano ritrovamenti in località vicine, era abitata in età protostorica.
Torniamo, dunque, sulla Panoramica dei Castelli e scendiamo oltrepassando Vangione di Sopra (rifacendo un pezzo di percorso dell’andata). Alla prima deviazione a sinistra, però, la lasciamo e proseguiamo la discesa, su pista sterrata, verso sud-ovest (indicazione per Brioni). Scendiamo, così, attraversando una zona boscosa di grande suggestione, dove la luce, fra i grandi castagni, disegna ricami preziosi e talvolta inquietanti. Ignorate alcune deviazioni, rimaniamo sulla pista principale, che lascia la fascia dei boschi e scende alla bellissima fascia di vigneti compresa fra il Dosso Bello (l’inquietante dosso del sabba delle streghe, secondo antiche leggende) ed il lungo dosso che da Teglio scende al fondovalle. Non dobbiamo, però, percorrere interamente la pista: questa, infatti, dopo un ultimo tornante sinistrorso, termina ad una piccola piazzola, presso il rudere di una baita (c’è una traccia di pista poco sotto, ma ben presto termina anch’essa), mentre a sinistra un sentiero porta di nuovo alla valle della Maga, ad est della quale si trova una nuova fascia di vigneti. Torniamo, dunque, all’ultimo tornante sinistrorso: qui troviamo una seconda pista, che si stacca da quella percorsa sulla destra, e riprende la discesa verso sud-ovest. E’ la pista intercettata dalla stradina che scende da Ca’ Fracia. Si tratta di una pista con fondo in cemento, che taglia la fascia dei vigneti e termina alla cascata del torrente Rogna. Di qui ci portiamo facilmente alle porte orientali di Chiuro e, imboccata una stradina asfaltata che prende a sinistra (est), torniamo a Nigola, dopo circa 4 ore di cammino (il dislivello approssimativo in altezza è di 560 metri).
CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line
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