Chiese e castelli a monte di Sondrio
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Castel Grumello
È stato recentementesegnalato ed attrezzato con alcuni pannelli il “Circuito dei vini, delle chiese e dei castelli”, che si sviluppa, in buona parte nel territorio del comune di Montagna in Valtellina, per complessivi 11 km, percorribili, a piedi, in circa sei ore (è, però, anche possibile percorrerlo in mountain-bike, in circa 3 ore). Dal punto più basso, il Trippi (m. 291) a quello più alto, la chiesetta di Santa Maria Perlungo (m. 913) il dislivello complessivo è di 622 metri. Il periodo ideale per percorrere questo circuito, che offre molteplici motivi di interesse storico, culturale ma anche paesaggistico, è l’autunno o la tarda primavera.
Raggiungiamo la località Trippi (trìp, dal nome di una famiglia originaria di Brusio, che vi acquistò terreni e vigne per produrre vino che veniva smerciato in Svizzera) staccandoci dalla ss. 38, se proveniamo da Tirano, sulla destra (praticamente andando diritti ad una curva sx della strada) appena prima del passaggio a livello oltre il quale inizia la tangenziale di Sondrio; se proveniamo da Morbegno, invece, dobbiamo lasciare la tangenziale allo svincolo per via Vanoni ed attraversare la città, portandoci sul suo lato orientale. Qui (m. 291), in prossimità di un anfiteatro per rappresentazioni all’aperto, troviamo un parcheggio dove lasciare l’automobile, ed un pannello che illustra il tracciato complessivo del circuito (anche se la segnaletica disegna un percorso leggermente diverso, che passa per la chiesa di San Giorgio, mentre sul pannello questa rimane tagliata fuori). Iniziamo a camminare il leggera salita, verso destra (est), su strada asfaltata, fino a trovare, in breve, sulla sinistra, il punto di partenza della segnalata via Risc di Sassina (risc de sasìnna; nel punto di partenza c'è anche un cartello escursionistico - percorso 399 -, che dà il Castello Grumello a 30 minuti, il palazzo Paini-Credaro ad un'ora e 30 minuti ed il Castello Mancapane a 2 ore e 30 minuti). Si tratta di una bella mulattiera con fondo in risc che attraversa, con una sequenza di tornanti dx-sx-dx-sx, la fascia dei vigneti del celebre vino d.o.c.g. Grumello (grümèl), chiamata la “costa”, con un'ottima veduta su Sondrio, Montagna piano e la media Valtellina fino a Teglio).
Al termine della salita, ci troviamo al sagrato della chiesa di S. Antonio (sant'antòni, m. 414), che fu edificata, per volere della popolazione di Montagna, nella seconda metà del Seicento (1668; la più antica chiesa di S. Antonio, connessa con il castel Grumello, è, invece, l’attuale oratorio di S. Rocco, di cui diremo). Se prestiamo attenzione noteremo, nella piazzetta di fronte ala chiesa, che guarda a valle, un gelso (murunè) centenario. Procediamo, ora, verso ovest, percorrendo la strada (via S. Antonio) che porta al Castello Grumello (i castélàsc, o el castèl grümèl). I ruderi, restaurati a cura del F.A.I., ci riportano nel cuore della Montagna medievale, quando a contendersi la signoria sul contado erano le due famiglia più potenti, i guelfi De Capitanei (che avevano la loro roccaforte nel castello di Mancapane, eretto nel XII secolo) ed i ghibellini, di origine comasca, De Piro (che possedevano il castello gemino del Grumello).
Il castel Grumello fu fatto costruire, infatti, fra la fine del Duecento e l'inizio del Trecento, da Tebaldo De Piro, o forse nel 1326 da Corrado De Piro. Tra il 1327 ed il 1335 i De Capitanei riuscirono ad impossessarsene; nel medesimo periodo vi trovò rifugio il vescovo di Como Benedetto De Asinaghi (o De Asinago), costretto dai Ghibellini comaschi, capeggiati da Franchino Rusca, fra il 1328 e il 1335, ad abbandonare la sede episcopale. Nel 1335, quando il governo di Valtellina e Valchiavenna passò ai Visconti di Milano, Azzone Visconti restituì il castello ai De Piro. Così è attestato che nel 1361 i fratelli Trussolo, Giorgio e Tebaldo De Piro abitavano nella fortezza. Di lì a poco, però, le cose cambiarono nuovamente, perché Capitanei e De Piro, divisi da una fiera rivalità per l'egemonia, vennero in urto, e nel 1372 Taddeo De Piro, sconfitto, dovette cedere a Tebaldo (o Tibaldo) De Capitanei una torre del castello Grumello: l’investitura ufficiale venne dal vicario episcopale Domenico di San Severino. Offre un succinto resoconto di queste vicende Giovanni Guler von Weineck, governatore della Valtellina per le Tre Leghe Grigie dal 1587 al 1588, così scrive nella sua opera Rhaetia, pubblicata a Zurigo nel 1616: “A metà strada fra Montagna e questo villaggio, sorge il diroccato castello di Grumello, rinomato in antico e dimora già un tempo della famiglia De Piro. Primo fondatore di questo castello fu, a quel che si dice, Corrado Del Pero; ma, poiché egli nel 1372 ivi diede rifugio al partito ghibellino e lasciò un presidio di Ghibellini vi si rafforzasse, i Capitani di Masegra e gli Interortuli di Sondrio assediarono e alla fine espugnarono il castello”. L’inizio della fine per la poderosa fortezza, che dominava, anche visivamente, Sondrio e parte della media Valtellina (“Grumello” deriva, infatti, da “grumus”, cioè “rocca”, “altura”, con riferimento al promontorio roccioso, già sede di insediamenti preistorici – come testimoniano le coppelle risalenti all’Età del Ferro - e poi terrazzato a vigneti, sulla cui soglia il castello fu edificato) fu il 1512, anno nel quale, dopo una breve parentesi di odioso dominio francese (1500-1512), le Tre Leghe Grigie presero possesso di Valtellina e Valchiavenna. I nuovi signori, infatti, rasero al suolo, nel 1526, tutte le fortezze di Valtellina (compresi i castelli di Mancapane e Grumello), al fine di evitare che divenissero punti di appoggio per tentativi di riconquista della valle.
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Restano, oggi, i ruderi dei due corpi della fortificazione (si tratta, infatti, di un raro esempio di castello gemino), quello orientale, che aveva una funzione prettamente militare, come testimonia l’imponente torre, e quello occidentale, con funzione residenziale (possiamo ancora osservare quel che resta di una sala con camino). Ci portiamo, dunque, a ridosso del corpo orientale della fortificazione; alla sua sinistra si trova anche un ristoro, presso il quale è possibile aderire al F.A.I. Salita una breve scalinata e superato il cancello del recinto, possiamo visitarli entrambi (nei giorni e negli orari di apertura: sabato e domenica dalle 12.00 alle 17.00 da ottobre a dicembre, dalle 12.00 alle 18.00 da febbraio a settembre – chiusura nel mese di gennaio -; i da martedì a venerdì previa prenotazione al telefono/fax 0342 380994), passando proprio ai piedi della torre di avvistamento, sulla quale svetta la bandiera italiana e sulla cui cima si possono riconoscere i merli ghibellini, a coda di rondine. Il corpo orientale è costruito, per la sua funzione militare, da blocchi ben squadrati, ed era articolato in numerosi ambienti, distribuiti su più livelli. Il restauro del Fondo per l’Ambiente Italiano (cui l’area del castello è stata donata, nel 1987, dalla Società Enologica Valtellinese), se non l’ha riportato all’antico splendore, l’ha quantomeno sottratti ad uno stato di mesta decadenza, ripristinandone il senso di vigore e suggestione, accentuato dalla posizione aperta e panoramica.
Castel Grumello
Un pannello, in particolare, ci consente di riconoscere la teoria di cime e di valli che si apre davanti ai nostri occhi verso sud, sul versante orobico. A destra del gruppo dell’Adamello, che chiude l’orizzonte ad est, possiamo riconoscere il passo dell’Aprica (m. 1209), il dosso Pasò (m. 2575), la Val Caronella, il monte Lavazza (m. 2411), la Val d’Arigna, il passo del Bondone (m. 2720), la Valle del Serio (di Piateda, da non confondere dall’omonima e ben più ampia valle sul versante bergamasco), la punta di S. Stefano (m. 2693), il pizzo di Rodes (m. 2829), la punta della Pessa (m. 2470), la Val Venina, il monte Motta (m. 2410), la punta della Piada (m. 2122), il pizzo Meriggio (m. 2358), la Valle del Torchiane, la cima Pizzinversa (m. 2419), il monte Vespolo (m. 2385) ed il pizzo Pidocchio (m. 2329). Volgendo lo sguardo dal versante montuoso al piano, possiamo osservare molto bene il territorio di Piateda ed Albosaggia, con le numerose frazioni. Portiamoci, ora, al corpo occidentale, con funzione residenziale (pur essendo anch’esso dotato di una torre con feritoia con funzione di avvistamento). Noteremo l’ingresso arcuato e la già menzionata stanza con camino. Guardando, da qui, ad ovest possiamo godere di un ottimo colpo d’occhio su Sondrio e sul colle di Triangia. A nord, infine, si apre l’ampio versante montuoso sopra Montagna, di cui vediamo il centro e le frazioni di mezza montagna.
Scendiamo, ora, seguendo un sentierino, alla piana che si stende immediatamente a nord del dosso del castello (ciàn di cic’), per raggiungere l’oratorio (o chiesetta) di San Rocco (la “gésa véggia”): si tratta della chiesa castellana di S. Antonio dei De Piro (come tale figura in un documento del 1349), che fu poi, nel secolo XVII, donata alla parrocchia di Montagna da Michelangelo De Piro, ed adibita a chiesa cimiteriale per i morti di peste nel terribile Seicento (fu allora, infatti, che si diffuse in Valtellina la devozione per il santo protettore degli appestati). Proseguiamo, ora, percorrendo la via S. Antonio per un tratto verso est (destra) piegando poi a sinistra (nord), fino ad intercettare la via S. Francesco (la strada provinciale Panoramica dei Castelli - “panuràmica” -, costruita, agli inizi degli anni Sessanta del secolo scorso per congiungere Sondrio a Ponte in Valtellina, con un tracciato di mezza costa che taglia lo splendido versante di vigneti della zona Grumello-Inferno-Fracia).
Procediamo per breve tratto verso destra, lasciando poi la Panoramica, sulla sinistra, per imboccare Via Cicci, alla contrada omonima (ca cic’, chiamata così dal soprannome di un ramo della famiglia Benedetti). All’imbocco della via troviamo un cartello escursionistico che segnala l’itinerario 399 (il Circuito dei Vini, delle Chiese e dei Castelli, appunto), e dà il palazzo Paini-Credaro a 50 minuti ed il castello di Mancapane a 2 ore. La via volge, però, quasi subito a destra, mentre noi dobbiamo staccarcene sulla sinistra, per seguire una stradina asfaltata che lascia, ben presto, il posto ad un sentierino che, salendo e piegando verso destra, passa a valle di una fascia di vigneti ed in breve intercetta una pista campestre che prosegue nella salita verso destra, in corrispondenza della cappelletta chiamata “capitèl de rìva”, nella quale sono raffigurati una Madonna con Bambino e, ai suoi lati, Sant’Antonio Abate ed un secondo santo di incerta identificazione (i “riva” sono i prati coltivati a frutteto ed originati da un cono di deiezione che si trovano a valle della pista sterrata).
Strada per Montagna
Proseguiamo, dunque, verso destra; la pista piega leggermente a sinistra e lascia il posto ad una mulattiera in risc che prosegue nella salita affiancata, sul lato sinistro, da un muraglione a secco, fino ad intercettare la strada asfaltata che sale verso il centro di Montagna (via Bonini). La attraversiamo e proseguiamo imboccando, sul lato opposto, la via Caràsc, che attraversa la contrada omonima (la quale prende, forse, il nome da Lorenzo del fu Enrico de Prata, detto “Carazius”, che visse nel Trecento). All’imbocco della via si trova anche un secondo cartello escursionistico del percorso 399, che dà il complesso chiesastico di San Giorgio a 5 minuti. Proseguiamo, dunque, salendo lungo la via, che nell’ultimo tratto si restringe, con fondo in cemento, e portandoci alla località detta del “crucefìs”; qui, volgendo a sinistra, sbuchiamo sulla strada principale che sale al centro di Montagna.
Restando sulla destra e passando di fronte al ristorante S. Giorgio, saliamo un brevissimo viottolo che ci porta alla piazza antistante alla quattrocentesca casa arcipretale, chiamata Piazza del Monumento (“ciàzza del monümént”) per la presenza del monumento che commemora i caduti nelle due Guerre Mondiali. Pesante fu, infatti, il tributo del paese alla Prima Guerra Mondiale: il monumento riporta i nomi di Baldini Antonio, Bongiascia Carlo, Credaro Attilio, Credaro Pietro, Della Maddalena Cirillo, Farina Angelo, Gandossini Rodolfo, Gianatti Attilio, Gianatti Candido, Gianatti Vincenzo, Gurini Renzo, Miotti Omobono, Morelli Luca, Rodigari Lodovico, Sceresini Abbondio, Gianatti Agostino, Brunalli Luigi, Ceriani Luigi, Credaro Omobono, Fomiatti Giovanni, Gandossini Guglielmo, Gianatti Giovanni, Morelli Adolfo, Sceresini Cesare, Scherini Paolo, Testini Stefano, Bongiascia Angelo, Della Maddalena Gaetano, Della Maddalena Luigi, Leoni Latino Emilio, Mattaboni Antonio, Battifuoco Antonio, Dell'Orsina Omobono, Fomiatti Abbondio, Gianatti Lodovico, Muffatti Angelo, Parolo Innocente, Paini Casimiro, Brusa Giuseppe, Parolo Ippolito, Paini Luigi e Menegola Fermo. Caddero, invece, nella Seconda Guerra Mondiale Paini Francesco, Paini Mario, Pelizzatti Silvio Giovanni, Testini Guido, Gianola Giuseppe, Pelizzatti Cesare, Salvi Luigi, Credaro Giuseppe, Gorini Renzo Giuseppe, Credaro Ezio, Brusa Giuseppe, Menegola Rino, Credaro Giulio, Della Maddalena Elia, Della Maddalena Liberti Enrico, Gianatti Giulio, Pelizzatti Silvio, De Dosso Luigi, Della Maddalena Irmo, Della Maddalena Francesco, Credaro Arturo, Farina Basilio, Brenz Verca Angelo, Credaro Giulio e Noseda Vittorio.
Procediamo per un breve tratto verso nord, ed affacciamoci alla piazza di S. Giorgio (ciàzza de san giòrsc, m. 530), alla quale guarda la facciata, rivolta a nord, dell’omonima chiesa, la “gésa de san giòrsc”, sulla quale si impone alla vista, sopra il bel portale, un dipinto che ritrae san Giorgio nell’atto di trafiggere il drago simbolo del male (che abbia a che fare qualcosa con l’ipotesi di un antichissimo drago legato ai pascoli dell’alpe Mara ed alla Corna Mara, dal momento che “Mara” deriva dalla radice prelatina "mara", che ha generato nomi di diversi insetti con caratteristiche demoniache, e che si trova anche in voci europee che significano "incubo" "- nightmare", in inglese, "cauchmare", in francese, "mara" nell'alto tedesco - ?). La chiesa è parte di un più ampio complesso chiesastico, ed è attestata per la prima volta nel 1243, anche se è sicuramente di origine più antica. Divenne chiesa parrocchiale il 21 gennaio del 1429, con decreto del Vescovo di Como Francesco Bossi, staccandosi dalla matrice di Tresivio. Fu rifatta fra i secoli XV e XVI, mentre il campanile fu eretto nel 1510. A lato della facciata, verso est, vediamo quella della Madonna del Carmine (“gésa de la madùna del càrmen”), di origine probabilmente quattrocentesca. Ad essa dobbiamo aggiungere una terza chiesa, la chiesa della Beata Vergine Addolorata, nota popolarmente come “Chiesa dei Morti” (“gésa di mòrt”), in quanto edificata, nel 1789, sopra l’antico cimitero di Montagna. Siamo nel cuore della centrale contrada denominata “la ciàzza”, la più nobile per il lustro degli abitanti, ma non la più popolata (contava 61 abitanti nel 1861, meno di altre contrade). Se dalla piazza proseguiamo nella salita, passiamo davanti al Municipio.
Per proseguire nel percorso del circuito, che propone, ora, la tappa della Madonnina, dobbiamo, però, tornare per un tratto sui nostri passi, ridiscendere al ristorante San Giorgio e proseguire per breve tratto sulla strada principale, che sale verso destra, per poi lasciarla, sulla sinistra, alla prima traversa, la via Poncerini, che passa a monte di un campo sportivo. Proseguiamo, ora, diritti, oltrepassando uno “stop”: la strada si fa più stretta e lascia il posto ad una strada sterrata, la quale supera, con un ponticello, una valle e, dopo un breve tratto in discesa, lascia, a sua volta, il posto ad un sentiero. Questo prosegue, diritto, in direzione della chiesa della Madonnina. Superata una seconda e più modesta vallecola, ci immettiamo su una via in cemento che, passando fra alcune case, porta alla piazza della contrada della Madonnina (madunìnna, m. 556, in passato denominata “masaréscia”), che deve il suo nome alla chiesetta e che contava, nel 1861, 79 abitanti. Nella piccola piazza troviamo una fontana ed un lavatoio in pietra datati 1884: vi scorre un’acqua di un colore verde intenso. Domina lo scenario la chiesetta della Madonnina (gésa de la madunìnna), edificata nei primi decenni del Settecento e dedicata alla Madonna di Caravaggio.
Ora torniamo sui nostri passi, ripercorrendo il sentiero e ripassando la vallecola, fino a trovare un pannello del Circuito (per il quale siamo passati anche all’andata), nel punto in cui dobbiamo lasciare il sentiero per risalire una fascia di prati (il primo tratto, ripido, è agevolato da una salinatura di pioli in legno). Salendo, possiamo godere, sulla sinistra, di un bel colpo d’occhio sulla Madonnina e su Sondrio (un tavolo in legno con due panche può invitare ad una sosta amena). Raggiungiamo, così, un largo sentiero che porta alle case della contrada Ca’ Paini, dove è collocato un nuovo pannello del circuito. Percorsa per breve tratto una via verso destra, ci immettiamo sulla via Paini, nei pressi di una piccola fontana in pietra. Poco più in là, a destra, il bel palazzo Paini-Credaro, nel quale, come ricorda una targa posta dal comune di Montagna il 22 settembre 2007, “lasciati nella capitale i molteplici impegni accademici, politici e di governo, Luigi Credaro (1860-1939), sempre fedele alle radici valtellinesi, tornava ogni estate a ritrovare quiete, riposo e serenità, con la moglie Elisa Paini, sua preziosa collaboratrice, i questa storica casa di famiglia”. Si tratta del “palàz di paìn”, mentre Luigi Credano, per chi non lo sapesse, nato a Sondrio da modesta famiglia di agricoltori nel 1860, fu il fondatore, nel 1907, della Rivista Pedagogica, oltre che il promotore, nel periodo in cui fu Ministro dell’Istruzione del Regno d’Italia (1910-14) di un’importante riforma della scuola elementare; il suo legame con la Valtellina di espresse anche attraverso un costante interesse per i suoi problemi agricoli e forestali. La contrada Ca’ Paini (cà paìn, m. 650) deve il suo nome alla presenza di vari rami della famiglia Paini (il suo nome più antico è “contrada solera”). La sua importanza è testimoniata dal fatto che nel 1861 contava 100 abitanti.
Proseguiamo sul sentiero che dalla parte alta della frazione sale verso nord-est. Dopo un tratto in selva, esce in vista di un gruppo di case ed intercetta la strada carrozzabile che sale verso San Giovanni. Saliamo lungo la strada e dopo una sequenza di tornanti sx-dx, al successivo tornante sx raggiungiamo il nucleo di Ca' Bongiascia (Ca’ Bungiascia, m. 850), frazione che nel 1861 contava 61 abitanti. Qui lasciamo la strada asfaltata e prendiamo a destra, imboccando il sentiero segnalato per il Castello di Mancapane. Passiamo a destra delle baite e dopo un tratto nella selva superiamo su un ponticello il torrentello della Val de Sum, poi saliamo verso nord-est raggiungendo subito la parte bassa dei prati del dosso morenico sul quale è posto il Castello di Mancapane (Castel del Mancapan, m. 909).
Castello di Mancapane
La struttura è posta nella parte alta di una radura e, dopo le ultime ristrutturazioni, appare ben conservata. Il nome “Mancapane” non poteva mancare di accendere la fantasia popolare, che ha costruito lo scenario di un assedio nel quale il presidio del castello fu preso per fame. Probabilmente, però, si tratta della storpiatura da “Catapani”, a sua volta contrazione di “De Capitani”. Se così fosse, il castello sarebbe stato costruito, secondo una fonte, nel 1327, dai Guelfi Capitanei di Sondrio, per poter controllare il maggior Castel Grumello, in mano ai Ghibellini de Piro. Le caratteristiche murarie fanno però ipotizzare una edificazione di poco precedente, cioè della seconda metà del secolo XIII.
Castello di Mancapane
Particolare la struttura. Si tratta di un unico complesso che sopravvisse discretamente all’opera di demolizione voluta dai Grigioni nel 1526. È costituito da una torre e da muro di cinta. Il piano all'interno del recinto è di due metri più alto rispetto al livello esterno. L’accesso era quindi assicurato da una scala di legno. La stessa cosa si riproduce per l’accesso alla torre, di due metri più alto rispetto al piano interno, ed anche qui serviva una scala retraibile. Vi alloggiava una piccola guarnigione che aveva una funzione essenzialmente di osservazione. Per assicurare la difesa in caso di assalti la struttura disponeva però anche di una serie di feritoie, anche a scivolo, per poter più facilmente gettare massi o olio bollente contro eventuali assedianti. La posizione piuttosto defilata della struttura pose però interrogativi che alimentarono una leggenda curiosa: un lungo cunicolo avrebbe messo direttamente in comunicazione il castello Mancapane con il ben maggiore castel Grumello fra Montagna e Sondrio. L’idea popolare era che il primo fosse una specie di ultimo presidio in caso di minaccia gravissima alla più forte struttura del castel Grumello. Ovviamente di questi misteriosi cunicoli, così come di quelli di cui si favoleggiò per molti altri più celebri castelli, non si è mai trovato nulla.
Castello di Mancapane
Proseguiamo nell'anello, sul sentiero segnalato, portandoci sul lato orientale del dosso. Il sentiero attraversa subito su un ponticello il torrente Davaglione (Davagliùn) e traversa, in una selva di castagni, verso est, passando per il segnalato Mulino di Ca' Mazza. di particolare interesse anche per la sua configurazione “a schiaffo", per cui la ruota è orientata orizzontalmente (in piano), anziché, come d’ordinario, verticalmente. È quindi collegata direttamente alle macine e sfrutta l’energia legata alla velocità dell'acqua che la “schiaffeggia”, anziché il suo peso, come invece di solito accade con le più diffuse ruote verticali a gradini. La buona conservazione del mulino è legata ad un restauro curato dalla Comunità Montana Valtellina di Sondrio.
Ca' Zoia
Il sentiero sale poi verso est-nord-est ed esce dalla selva alle baite del nucleo di Ca' Zoia (Ca Zöija, m. 900), anch’essa in passato ben popolata (74 abitanti nel 1861). La contrada prende il nome dalla famiglia omonima, attestata già nel secolo XV (Lorenzo del Zoia, 1440). Passiamo a destra di una fontana e seguendo una stradella asfaltata ci portiamo sul lato opposto della frazione. Superata la valletta della Valle dell’Orco (val de l’Orch: se vi sono ancora o mai vi furono orchi, dimorano nel cuore del bosco più a monte o più a valle) raggiungiamo la strada asfaltata che dal centro di Montagna sale verso l'alpe Mara. Procedendo diritti dopo una breve salita siamo alla chiesetta di Santa Maria Perlungo (Santa Maria Perlunch, m. 913), con un ampio spiazzo antistante. Il luogo è panoramico e molto suggestivo. Vi è stata scoperta una stele con iscrizione tardo-etrusca, a riprova del fatto che il luogo, forse anche per motivi di culto, era abitato ben prima dell’avvento dell’Era cristiana. La chiesa era al centro della contrada omonima, che nel 1861 contava 65 abitanti. È attestata da documenti quattrocenteschi. In un documento del 1685 si fa divieto a chiunque possieda prati nella contrada di segare il primo fieno prima della ricorrenza di S. Pietro (fine giugno) ed il secondo prima di S. Bartolomeo (fine di agosto).
Santa Maria Perlungo
E' questo il punto più alto del circuito. Dobbiamo ora ridiscendere alla chiesa di San Giorgio a Montagna. Possiamo farlo seguendo la strada asfaltata oppure, per via più breve, il sentiero che parte proprio sotto la chiesetta e, dopo breve tratto nel prato, si immerge nella selva, intercettando la strada asfaltata più in basso, in corrispondenza del bivio al quale se ne stacca sulla sinistra una strada che scende a Surana (Poggiridenti).
Qui giunti, proseguiamo sulla strada asfaltata verso destra (ovest), in direzione di Montagna in Valtellina. Superato il torrente Davaglione, passiamo a destra del cimitero e scendiamo in direzione della chiesa di San Giorgio. Giunti sulla verticale della chiesa, lasciamo la strada scendendo su un sentierino che si porta diretto al sagrato della chiesa. Qui prendiamo a sinistra e scendiamo su una larga mulattiera che scavalca di nuovo il Davaglione ed intercetta più in basso la Strada Provinciale Panoramica dei Castelli. La seguiamo ora in discesa verso destra, per breve tratto, fino al semaforo in corrispondenza dello svincolo per il centro di Montagna.
La chiesa di San Giorgio a Montagna in Valtellina
Nei pressi del semaforo ci stacchiamo dalla Panoramica dei Castelli scendendo su una stradina verso sinistra. la stradina scende diritta e ripida verso sud, e ci riporta alla chiesetta di S. Antonio. Qui ripercorriamo in discesa la via già percorsa all'andata, cioè ridiscendiamo per la Via Sassina al parcheggio della località Trippi, dove recuperiamo l'automobile.
Termina qui il circuito dei castelli e delle chiese, che richiede 5-6 ore di cammino e comporta un dislivello in altezza di circa 620 metri.
CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line
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