Fra storia ed immaginario sul versante retico della Fracia
Campane di San Bartolomeo a Castionetto di Chiuro 1, 2, 3, 4 - Carta del territorio
Castionetto di Chiuro è uno dei tre grandi nuclei che costituirono in passato il comune di Chiuro, insieme ai nuclei di Chiuro e Castello dell’Acqua. Ma mentre quest’ultimo nel 1858 se ne staccò, divenendo comune autonomo, Castionetto rimase legato alla vicina Chiuro. Armida Bombardieri (nel volume “Chiuro”, edito a cura della Biblioteca Comunale “Luigi Faccinelli” nel 1989) ci aiuta a conoscere qualcosa di più di questo ridente paesino, disseminato sul medio versante retico, in una zona particolarmente favorevole alle colture: “Il nome Castione, detto dapprima Castione Superiore per distinguerlo dall'altro Castione presso Sondrio e poi più semplicemente Castionetto, testimonia che qui esistette un castellius, cioé un piccolo castello. Infatti anticamente nella località ancor oggi chiamata «Castelasc» esisteva una piccola rocca dei Quadrio posta in posizionefavorevole per controllare l'imbocco della Val Fontana, il territorio di Ponte e la zona piana sottostante attorno a Chiuro.
In «Torri e castelli della Valtellina e della Valtellina e della Valchiavenna» di G. Bascapé e C. Perogalli a pag. 117 si legge: «Il Pedrotti dà per ancora ben conservato il Castellaccio presso Chiuro di cui invece non si riesce a trovare traccia in luogo». Invece vanno attentamente l'altura su cui sorgeva il fortilizio, sul pendio che guarda a nord verso contrada Fancoli, sono ancora ben visibili i muraglioni che cingevano il castello e che non si possono confondere con i muri posti a sostegno dei vigneti. In alto, sul culmine, si notano dei ruderi coperti di edera. I sassi del diruto castellaccio servirono alla fine del XVI per la costruzione del campanile della parrocchiale dei SS. Giacomo e Andrea, opera dell'ing. Giovanni Antonio Vacchelli che arrivò in paese il 18 marzo 1596 accompagnato dal maestro Pietro, comasco... Come già ricordato, il paese di Castionetto si divide in contrade che distano fra loro parecchie centinaia di metri, poste in una zona fertile e ricca di vigneti e frutteti. Le costruzioni di questi agglomerati fino a pochi anni fa eran tutte modeste e di stile architettonico prettamente rurale. Ora molte sono state ristrutturate e sono sorte nuove villette un po' ovunque. Qua e là rimangono ancora i segni di qualche abitazione di maggior prestigio, per lo più case di campagna di famiglie patrizie di Ponte e di Chiuro, che ricordano nel nome gli antichi proprietari: ca' di Fopui, ca' Peranda, ca' Menat e il noto Casin già proprietà Guicciardi.”
Interessanti sono anche le notazioni che Renzo Sertoli Salis, nel volumetto “Valtellina fra mito e storia” (Sondrio, 1969), dedica al paese: “Da Chiuro la cosiddetta panoramica per Teglio sale a Castionetto, dove alla castellana medievalità e al gotico rinascimentale che appena abbiamo lasciato, diverse civiltà di valle si accostano, pur in un lungo arco di tempo. Presso una svolta compaiono — a un tiro di fionda — gli avanzi romanici, ridotti al campanile, dell'antica chiesa e dell'antico convento degli Umiliati, dedicati a San Bartolomeo; e poco più su, ad un altro risvolto della strada, la Torre, detta appunto di Castionetto, che pure appartenne ai Quadrio e che è una delle più massicce della valle, nonchè delle più importanti anche per gli elementi architettonici che vi si riscontrano.
Ma mentre nella prima e seconda stele di Caven l'immagine è piccola, posta ai margini della composizione e ridotta a pochi elementi essenziali (cerchi concentrici e tratti paralleli), ben più monumentale essa appare nella cosiddetta terza stele e, benchè più rozza nell'incisione, nella prima stele di Valgella: in entrambe le quali la schematica, se non addirittura simbolica, figura vagamente antropomorfica appare costituita — com'è ormai noto si vorrebbe dire lippis et tonsoribus — da una serie di cerchi concentrici o disco solare al posto del capo, da due dischi minori o cerchi laterali forse a segnare i seni della dea madre ai lati, oppure due divinità minori, e, nella parte inferiore della composizione, da una serie di segmenti paralleli, ora obliqui a indicare forse gli arti e ora orizzontali al centro, probabilmente a significare il tronco e più precisamente l'addome.”
Da Chiuro parte la strada panoramica dei Castelli, che sale verso Castionetto (m. 561), proseguendo poi per Teglio. A Castionetto stacchiamocene sulla sinistra, salendo verso Dalico. Poco oltre le ultime case del paese (contrada Maffina), sulla nostra sinistra (cioè a valle rispetto alla strada), raggiungiamo la bella torre medievale (m. 689). Si tratta di una torre edificata in un periodo compreso fra il XII ed il XIV secolo, che appartenne alla famiglia ghibellina dei Quadrio. La sua mole è di tutto rispetto: ha una pianta quadrata, di 11 metri per lato, uno spessore della cinta muraria che supera, alla base, i due metri, ed una porta d’accesso rialzata di oltre tre metri rispetto al livello del terreno (per raggiungerla ci si serviva di un ponte levatoio). Un recente restauro l’ha restituita all’antica bellezza, ma ha anche cancellato i segni di una vicenda misteriosa di cui è stata teatro.
Ecco cosa scrive Armida Bombardieri (cit.) su questa struttura: “Più in alto esiste ancora, ben solida, la poderosa torre che appartenne ai Quadrio. Secondo Bascapé e Perogalli la torre potrebbe essere sorta tra la fine del sec. XII e l'inizio del XIII. È noto però che fu ristrutturata da Stefano Quadrio. «L'origine feudale di molti castelli é dimostrata, oltre che dagli atti d'archivio, anche da qualche nome di gusto letterario». Quella di Castionetto era detta torre di Roncisvalle. La costruzione é veramente solida e poderosa. E' a base quadrata con il lato di 11 metri; lo spessore delle mura al piano terra supera i due metri e mezzo. Si accede dal primo piano a quello superiore attraverso una scala in pietra incorporata nel muro. Non si può conoscere l'altezza in quanto la torre manca di spalti di merlature, distrutte lungo il corso dei secoli. La struttura dei muri è costituita da pietre di varia misura. Negli angoli i massi sono decisamente lavorati, squadrati ed arricchiti da ben marcate bugnature. Alcune di queste pietre angolari hanno la considerevole lunghezza di quasi due metri. Il muraglione che guarda verso sud con un breve spiazzo erboso antistante, assume l’aspetto di vera e propria facciata e più elaborato degli altri e più ricco di elementi architettonici. A circa quattro mesi dal suolo osserviamo un’apertura che doveva essere una porta in quanto si notano a livello di soglia i segni di due sassi ora tranciati, che sporgevano a mo’ di mensole e su di essi certamente veniva appoggiata una scala retrattile o addirittura un rudimentale ponte levatoio.”
Prima del restauro, sul lato destro della facciata d’ingresso si poteva osservare, nella parte bassa dello spigolo, un evidente squarcio, che ha scatenato la fantasia popolare. Sì, perché quello spigolo così visibilmente scalfito doveva rimandare a qualche evento portentoso. Se a questa presunzione si aggiunge che gli antichi signori legati a questa torre furono i Quadrio, che erano ghibellini, quindi avversari del primato papale, allora la vicenda misteriosa prende corpo.
Dopo
che la torre fu abbandonata dagli uomini, vi si insediò, raccontano,
un diavolo, la cui mole ragguardevole incuteva timore a tutti.
La strada sale ancora, fino all’ultima baita della località Prepatèl (m. 1699). Proprio alle spalle della baita parte un sentierino, poco marcato, che sale, ripido, lungo il dosso, attraversando dapprima una selva, uscendo poi in terreno aperto, fino a guadagnarne la cima (m. 1777), dove si trova un’asta metallica, che costituisce un prezioso punto di riferimento per chi volesse percorrere in senso inverso questo itinerario. Inizia ora la lunga risalita della Costa di San Gaetano, brullo, ampio e luminoso crinale che separa la Val Fontana dalla minore val Rogna. Salendo senza percorso obbligato, raggiungiamo la cima della costa, al culmine del dosso quotato 2283 metri.
Siamo in cammino da circa due ore e mezza: se abbiamo ancora tempo ed
energie da spendere, possiamo compiere una traversata verso le piste
di sci di prato Valentino, scendendo ad un sentiero di mezza costa (Viale
della Formica), oppure alla bocchetta di quota 2269, dalla quale si
può attaccare il dosso successivo, quotato m. 2481 (facendo attenzione
ad alcuni tratti, un po’ ripidi). Prima
di effettuare la traversata, però, gettiamo uno sguardo sul lato
occidentale della Val Fontana: possiamo osservare, da sinistra, vetta
di Rhon (m. 3137), la cima Vicima (m. 3123), la bocchetta di Vicima
ed il pizzo Calino (m. 3024).
Esistono due varianti più brevi che permettono di effettuare
la traversata della valle della Rogna. Dalla baita di Prepatèl,
invece di imboccare il sentierino che sale alla parte alta dei prati,
dirigiamoci, senza guadagnare quota, verso destra, tagliando orizzontalmente
i prati ad est dell’edificio. Troveremo una debole traccia di
sentiero, che intercetta una più marcata traccia che sale da
destra.
Se, invece, al bivio proseguiamo verso sinistra, iniziamo una lunga
salita in diagonale, su terreno aperto, lungo il fianco occidentale
della val Rogna. La traccia si fa sempre più debole, fino a quasi
scomparire, ma quando ci sembra di averla persa, scopriamo, pochi metri
più a monte, una nuova e marcata traccia, che raggiunge il cuore
della valle, portandoci sul lato opposto. La traccia diventa quindi
una pista che raggiunge la sterrata che da Prato Valentino sale lungo
gli impianti di risalita. Percorrendo la sterrata in discesa, in breve
raggiungiamo Prato Valentino.
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