CARTE DEi PERCORSi - ALTRE ESCURSIONI - GALLERIA DI IMMAGINI - ANELLI IN VALLE DEL BOCO: ANELLO LUNGO ED ANELLO BREVE


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La valle del Boco (o Bogo, o anche Bocco: il termine deriva da “sbocco” o, più probabilmente, da “bocc”, ariete) è il solco che scende, ripido, dall’alto versante retico ai piedi del Sasso Bianco e del monte Arcoglio (termine connesso con “arco”, in riferimento alla forma della valle) fino al fondovalle valtellinese, immediatamente ad ovest dell’abitato di Castione. Una valle densa di suggestione, fascino e mistero.
Fascino legato soprattutto ai boschi di questa valle: sono stupendi, ricchi di colori, atmosfere e profumi intensi. Anche il torrente che la percorre ha una doppia denominazione, Véndolo (termine che deriva da una voce preariana che significa “frana”o
dalle voci bresciane e bergamasche "vendòl" e "vendùl", che significano sempre "frana", "terreno di slavina", forse dal ligure "vendupulis") e Boco. Un torrente protagonista di momenti amarissimi della storia del paese, segnando, nel 1520, una vera e propria svolta: la sua esondazione segnò il declino di Andevenno, nucleo insediativi originario, ed il progressivo sviluppo di Castione, insediamento posto in luogo più sicuro.
Anche se dal fondovalle non si vedono, diversi sono i maggenghi e gli alpeggi nascosti dietro il fitto manto dei boschi di castagno e delle peccete. Gli amanti delle lunghe escursioni nei boschi troveranno di che soddisfare la loro profonda sete di silenzio e di incanti chiaroscurali. Proponiamo due anelli che toccano i suoi luoghi più belli, uno più lungo ed impegnativo, l'altro di media portata.


Apri qui una fotomappa del versante retico di Castione Andevenno

IL GIRO LUNGO DEGLI ALPEGGI DI CASTIONE

Punti di partenza ed arrivo (anello escursionistico)
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Bonetti-Mangialdo-Alpe Ortica-Dosso della Croce-Alpe Morscenzo-Alpe Gorlo-Alpe Calchera-Piazzorgo-Bonetti
7 h
1400
EE
SINTESI. Salendo da Castiona a Triangia dopo l'ultimo tornante dx prima di Triangia prendiamo a sinistra e saliamo a Bonetti, proseguendo su una pista fino all'incrocio con una seconda pista che sale da sinistra. Parcheggiamo qui, ad uno slargo (m. 700), e saliamo sulla seconda pista verso est-nord-est. La pista diventa mulattiera e porta a Gadoli. La mulattiera prosegue alle spalle delle case più occidentali (le prime che incontriamo), e sale fino a Mangialdo (m. 882). In corrispondenza del cartello "Mangialdo", sulla destra (a monte della strada), vediamo un nuovo sentiero che si stacca dalla strada e riprende a salire: imbocchiamolo. Tagliamo, ben presto, un sentiero che sale da sinistra, da Mangialdo, ma restiamo sul sentiero, che procede in direzione nord-ovest. Superato un roccione, a destra del sentiero, pieghiamo leggermente a destra, procedendo verso nord. Dopo una nuova svolta a destra, intercettiamo una pista sterrata, ma non appena questa descrive un tornante destrorso, la lasciamo, imboccando il sentiero che se ne stacca sulla sinistra e che sale verso ovest-nord-ovest, con andamento abbastanza ripido nel primo tratto, più moderato nel secondo, fino ai prati del Piazzo (m. 1240). Sul limite orientale dei prati, allo slargo con una fontanella in legno, la pista sterrata che sale fin qui da Ruvari lascia il posto ad un sentiero. Lo imbocchiamo proseguendo con fondo regolare ed andamento pianeggiante, verso nord, ignorando una deviazione che sale alla nostra destra. Dopo un tratto in discesa, riprende l’andamento pianeggiante; ci raggiunge, da sinistra, un sentiero, mentre noi raggiungiamo e superiamo un valloncello. Il sentiero, quindi, volge a destra e riprende a salire, superando una porta nella roccia ed un secondo e più marcato vallone, a quota 1300. Risaliamo, quindi, il dosso successivo, fino ad un bivio, al quale andiamo a destra, salendo con serrati tornantini, sul crinale del dosso. La traccia si fa meno larga, ma è sempre ben visibile. Intercettata una traccia che sale da destra, proseguiamo nella salita, fino ad uscire, per un tratto, dal bosco di faggi e pini, in corrispondenza di una fascia di roccette. Rientriamo nel bosco e teniamo, con rapidi tornantini, il filo del dosso, finché questo accentua la pendenza: il sentiero lo lascia, quindi, portandosi a destra, per poi recuperarlo, dopo una svolta a sinistra, più in alto. A quota 1450 circa ci portiamo leggermente a sinistra rispetto al filo del dosso; la traccia non è sempre chiara, ma resta nei pressi del filo del dosso, sul suo lato sinistro. A quota 1530 metri circa il sentiero piega, quindi, a sinistra, allontanandosi dal filo del dosso Nella salita verso sinistra, superiamo a monte un corpo franoso di massi piuttosto piccoli. Poi la traccia, tagliando un versante ripido, si fa piuttosto stretta, prima di impennarsi e proporre un tratto ripido che conduce ad una sorta di porta fra le roccette (m. 1570 circa). Oltre la porta, ignoriamo una deviazione a sinistra che procede pianeggiante e saliamo ancora, fino ad intercettare una traccia che proviene da destra. Proseguendo verso sinistra, attraversiamo una fascia di roccette, passando presso un curioso faggio dal tronco forato. Superati altri due faggi con un segno blu, saliamo ancora, su traccia sempre piuttosto stretta, attraversiamo un tratto un po’ esposto e, dopo un’ultima salitella, siamo al cuore di un vallone, che attraversiamo facilmente. Poco dopo, attraversiamo un valloncello secondario e cominciamo a risalire il fianco orientale del lungo dosso della Croce. Ai brevi strappi si succedono tratti pianeggianti: superiamo, così, un nuovo modesto valloncello, ed incontriamo anche, di tanto in tanto, segni blu sul tronco di alcuni abeti e, prestando molta attenzione alla traccia a tratti seminascosta fra gli abeti, raggiungiamo l'alpe Ortica, a quota 1700, sulla parte bassa dei prati e sul lato opposto rispetto a quello sul quale è posta la baita inferiore. Saliamo al baitone a quota 1740 metri e portiamoci sul suo lato opposto, cioè destro (per chi guarda a monte): cominciamo a salire diritti verso il limite del bosco, cercando una debole traccia di sentiero che sale, diritta, sul fianco di sinistra del Dosso della Croce. Dopo circa un quarto d’ora, ad una quota approssimativa di 1840 metri, pieghiamo a destra e, con qualche tornantino, ci portiamo sul filo del dosso, in corrispondenza di una pianetta quotata 1869 metri, che si affaccia su un pericoloso salto di rocce, dove un tempo c'era una croce in legno. Continuiamo a salire, seguendo un sentierino che corre sul filo del Dosso della Croce, fino ad intercettare la pista sterrata Poverzone-Morscenzo-Colina, la seguiamo verso sinistra, passiamo per la solitaria baita Vendulo (m. 1997) e, dopo un paio di semicurve, raggiungiamo il baitone dell’alpe Morscenzo (Marscenzo, sulle carte IGM), a 2042 metri. Percorriamo il breve tratto di pista che si stacca da quella principale e scende al baitone, prendendo subito a sinistra ed imboccando il sentiero che passa per la baita isolata poco sotto il baitone (ad est). Proseguiamo nella medesima direzione fino ad una rada selva di abeti, dove il sentiero perde quota con alcuni tornanti, fino a raggiungere il limite superiore di destra (per chi scende) dei prati dell’alpe Gorlo (m. 1828). Sotto le tre baite centrali dell’alpe, leggermente a sinistra, troviamo la partenza della mulattiera che, in leggera e comoda discesa, ci riporta al baitone dell’alpe Ortica. Scendiamo, quindi, alla baite inferiore dell’alpe, passando alla sua sinistra: sul limite inferiore dei prati troviamo facilmente la partenza della mulattiera che scende, decisa, con diversi tornanti nel cuore di una bella pineta. Al tornante destrorso quotato 1551 metri troviamo una pianetta ed un bivio, rimanendo sulla mulattiera che scende verso destra. Dopo alcuni tornanti, essa ci porta alla parte alta di sinistra dei prati dell’alpe Calchera (m. 1450), dove si interrompe bruscamente. Dobbiamo, per ritrovarla, scendere diritti, passando a sinistra di una baita isolata. Sul limite basso di sinistra dell’alpe la mulattiera riparte e costeggia la parte alta dei prati della Paiosa. Dopo un tornante sx, porta in prossimità delle baite dei prati, collocate nella loro parte bassa (m. 1308). La successiva discesa, dopo un tratto a destra, volge a sinistra ed assume la direzione sud-sud-est, passando a monte dei prati del maggengo Scui (m. 1007), e proseguendo verso sinistra. Attraversiamo, quindi, un corpo franoso, prima di svoltare a destra e di superare un breve tratto nel quale la mulattiera procede su una sede rialzata rispetto al terreno. Poi volgiamo di nuovo a sinistra e scendiamo per un tratto ripidi, svoltando ancora a sinistra e proseguendo la discesa fino a raggiungere il solco della val Prunulas, oltrepassata la quale, in breve, troviamo il punto nel quale si interrompe la pista sterrata che sale da Piazzorgo. Seguendo la pista in discesa torniamo allo slargo dove abbiamo lasciato l'automobile.


Apri qui una panoramica dell'alpe Ortica

L’anello del Boco, così lo possiamo a giusto titolo chiamare, parte dalla pista che congiunge i nuclei di Bonetti, ad est, e Piazzorgo, ad ovest. Saliamo in automobile, oltre Castione, sulla strada per Triangia, fino a trovare, all’ultimo tornante destrorso prima di Triangia, la deviazione, a sinistra, per la frazione di Bonetti. Percorriamo la stradina che scende fra le case di Bonetti, e termina alla chiesetta di S. Maria Maddalena, sul limite del bosco, lasciando il posto ad una pista sterrata, la quale prosegue, con un lungo traverso, fino a Piazzorgo, piccolo nucleo di baite a monte di Castione.
Percorriamo per un tratto la pista, fino ad un incrocio: da sinistra sale una pista secondaria (che parte dalla strada Castione-Triangia) che prosegue sulla destra. Lasciamo qui, in uno slargo, l’automobile (siamo ad una quota di circa 700 metri) ed incamminiamoci su questa pista che sale verso est-nord-est, in una bella pineta, restringendosi, dopo il primo tratto, a mulattiera, fiancheggiata a monte da un grande muro a secco. Usciti dalla selva, ci ritroviamo alle case di Gadoli, piccolo nucleo fra Bonetti e Mangialdo.
La mulattiera prosegue alle spalle delle case più occidentali (le prime che incontriamo), e sale fino a Mangialdo (m. 882). Se non dovessimo trovarla, possiamo attraversare le case e giungere in vista della stradina asfaltata che sale fin qui da Gatti; prima della stradina troviamo, sulla sinistra, una pista sterrata, che sale fino ad una casetta isolata, dove termina. Oltre la casetta, ed a monte della stessa, si trova una fascia di prati: saliamo a vista, tagliandola, ed intercettiamo, ben presto, un sentierino che, percorso verso sinistra, ci porta alla strada asfaltata che raggiunge Mangialdo. Fin qui potremmo giungere anche in automobile (la strada asfaltata, infatti, si stacca dalla strada che da Triangia sale a Ligari e Forcola, a primo tornante destrorso sopra Triangia), ma poi avremmo il problema di chiudere l’anello con un lungo tratto in salita. Il sentierino, dunque, intercetta la pista appena prima del cartello “Mangialdo”, posto all’ingresso del borgo.


Panorama dal Piazzo

In corrispondenza del cartello, sulla destra (a monte della strada), vediamo un nuovo sentiero che si stacca dalla strada e riprende a salire: imbocchiamolo. Tagliamo, ben presto, un sentiero che sale da sinistra, da Mangialdo, e prosegue alla nostra destra, verso Ligari: noi restiamo, però, sul sentiero, che procede in direzione nord-ovest. Superato un roccione, a destra del sentiero, pieghiamo leggermente a destra, procedendo verso nord.
Dopo una nuova svolta a destra, intercettiamo una pista sterrata, che però lasciamo subito: non appena, infatti, questa descrive un tornante destrorso, la lasciamo, imboccando il sentiero che se ne stacca sulla sinistra. Si tratta di una mulattiera che sale, verso ovest-nord-ovest, con andamento abbastanza ripido. Dopo il primo tratto, troviamo, a monte, un muretto a secco che la delimita. Poi la pendenza si fa meno severa, compaiono i primi pini ed attraversiamo un tratto suggestivo, nel quale la mulattiera è scavata nella viva roccia. Descriviamo, così, un lungo traverso, prima di incontrare una coppia di tornanti, destrorso e sinistrorso, che precedono di poco la conclusione della mulattiera che, dopo una svolta a destra, intercetta la pista che sale al maggengo di Piazzo ("Piazzòo", cioè piccola spianata), sul suo limite orientale.
Il maggengo, a 1240 metri, è raggiunto, infatti, da est da una pista sterrata che parte da Ruvari, nucleo che si trova a monte di Mangialdo. Ottimo il colpo d’occhio sulla parte occidentale della media Valtellina: si distinguono i cupoloni gemelli del Crap del Mezzodì, a sinistra, e del Culmine di
Dazio, a destra, sopra i quali si erge l’inconfondibile corno del monte Legnone, perentorio punto fermo della catena orobica nel suo limite occidentale. Poi, a destra di un breve scorcio delle cime della Mesolcina, il massiccio ed armonioso profilo della cima del Desenigo, sul limite sud-occidentale della Val Masino. Ancora più a destra, verso nord-ovest, si distinguono le cime erbose del monte Colina, a sinistra dell’alpe omonima, e del monte Caldenno.
Dalla parte alta dei prati parte un sentiero che, seguendo il crinale (direzione nord e nord-est) raggiunge il maggengo superiore dei prati della Piana (m. 1694) e prosegue fino all’alpe Prato Secondo (m. 1928), per la quale passa la pista sterrata che proviene dall’alpe Piastorba e prosegue, verso destra, fino all’alpe Morscenzo. Siccome quest’alpe, che è l’alpeggio principe di
Postalesio, è il punto più alto del lungo anello, potremmo scegliere anche questa via per raggiungerlo. Raccontiamo, però, il percorso che ci porta nel cuore della valle del Boco. Esso sfrutta il sentiero che parte dal limite orientale dei prati, allo slargo, con una fontanella in legno, con il quale si interrompe la pista sterrata.
Percorriamo, dunque, il sentiero, che prosegue, con fondo regolare ed andamento pianeggiante, verso nord, ignorando una deviazione che sale alla nostra destra. Dopo un tratto in discesa, riprende l’andamento pianeggiante; ci raggiunge, da sinistra, un sentiero, mentre noi raggiungiamo e superiamo un valloncello. Il sentiero, quindi, volge a destra e riprende a salire, superando una porta nella roccia ed un secondo e più marcato vallone, a quota 1300. Risaliamo, quindi, il dosso successivo, fino ad un bivio: la traccia di sinistra, che prosegue pianeggiante (bollo blu), conduce, dopo il superamento di due valloncelli, a Pra’ Sterli (m. 1480): potremmo seguirlo se desideriamo percorrere una variante decisamente abbreviata dell’anello (da Pra’ Sterli, infatti, passeremo anche al ritorno).
Raccontiamo, però, la variante più lunga. Questa sfrutta la traccia di destra, che comincia a salire, con serrati tornantini, sul crinale del dosso. La traccia si fa meno larga, ma è sempre ben visibile. Intercettata una traccia che sale da destra, proseguiamo nella salita, fino ad uscire, per un tratto, dal bosco di faggi e pini, in corrispondenza di una fascia di roccette. Rientriamo nel bosco e teniamo, con rapidi tornantini, il filo del dosso, finché questo accentua la pendenza: il sentiero lo lascia, quindi, portandosi a destra, per poi recuperarlo, dopo una svolta a sinistra, più in alto. A quota 1450 circa ci portiamo leggermente a sinistra rispetto al filo del dosso; la traccia non è sempre chiara, ma resta nei pressi del filo del dosso, sul suo lato sinistro.
A quota 1530 metri circa il sentiero piega, quindi, a sinistra, allontanandosi dal filo del dosso Nella salita verso sinistra, superiamo a monte un corpo franoso di massi piuttosto piccoli. Poi la traccia, tagliando un versante ripido, si fa piuttosto stretta, prima di impennarsi e proporre un tratto ripido che conduce ad una sorta di porta fra le roccette (m. 1570 circa). Oltre la porta, ignoriamo una deviazione a sinistra che procede pianeggiante e saliamo ancora, fino ad intercettare una traccia che proviene da destra. Proseguendo verso sinistra, attraversiamo una fascia di roccette, passando presso un curioso faggio dal tronco forato. Superati altri due faggi con un segno blu, saliamo ancora, su traccia sempre piuttosto stretta, attraversiamo un tratto un po’ esposto e, dopo un’ultima salitella, siamo al cuore di un vallone, che attraversiamo facilmente. Poco dopo, attraversiamo un valloncello secondario e cominciamo a risalire il fianco orientale del lungo dosso della Croce. Ai brevi strappi si succedono tratti pianeggianti: superiamo, così, un nuovo modesto valloncello, ed incontriamo anche, di tanto in tanto, segni blu sul tronco di alcuni abeti.


L'alpe Ortica

A quota 1670 circa il sentierino sembra quasi soffocato dagli abeti, ma è sempre ben visibile; dopo un breve scorcio panoramico sul monte Colina, riprendiamo a salire, fino ad una serie di saliscendi in una fitta pineta. Sembrano proprio, questi, i luoghi dove hanno posto la loro segreta dimora i mostri di cui la fantasia della gente ha popolato questa valle, lo sciatt basilìsk, mezzo rospo e mezzo basilisco, e l’uomo verde, un mostro terribile che si mangia le sventurate vittime sorprese nel cuore del bosco.
Ma finalmente, dopo un interminabile peregrinazione nel bosco, lasciamo le ombre ed i timori e ci affacciamo alla luce intensa dell’alpe Ortica, a quota 1700, sulla parte bassa dei prati e sul lato opposto rispetto a quello sul quale è posta la baita inferiore. Molto buono, anche se non molto ampio, è il panorama, soprattutto verso nord-ovest e nord: distinguiamo, sul crinale che separa l’alta valle del Boco, ad est, dalla valle di Postalesio, ad ovest, il monte Colina (m. 2453) ed il monte Caldenno (m. 2669); sul crinale che separa la media Valtellina dalla Valmalenco, invece, si distinguono il Sasso Bianco (m. 2490) e le due cime, occidentale ed orientale, del monte Arcoglio (m. 2451 e 2459), questa seconda appena accennata. Potremmo cominciare da qui la discesa, sfruttando la mulattiera che parte sul limite inferiore dei prati e che, seguita ignorando qualche deviazione secondaria, conduce, senza problemi, alla pista sterrata Piazzorgo-Bonetti, passando per l’alpe Calchera, i prati della Paciosa e la parte alta di Pra’ Margei.
Ma la parte migliore dell’escursione inizia ora, per cui, anche se la stanchezza si fa sentire, non possiamo arrenderci. Con una breve quanto ripida salita, ci portiamo, dunque, al lungo baitone aperto che serviva come ricovero per il bestiame, posto sul limite superiore dei prati (m. 1740), a testimonianza dell’importanza passata di questo alpeggio. Nel volume “la Patria – Geografia dell’Italia”, a cura di Gustavo Stafforello (UTET, 1896), si legge, a proposito di Castione: “Sonvi pure ottimi pascoli, che favoriscono l’allevamento del bestiame e la fabbricazione di burro e formaggio, in quantità rilevanti”. E qui ci troviamo nella fascia inferiore di questi ottimi pascoli, anche se la sensazione di solitudine e di abbandono ci invade. A sinistra del baitone parte la mulattiera che, con breve e tranquilla salita, conduce alla successiva alpe, l’alpe Gorlo: la utilizzeremo al ritorno.


Apri qui una panoramica sull'alpe Marscenzo

Ora portiamoci sul lato opposto, cioè destro, del baitone, e cominciamo a salire diritti verso il limite del bosco, cercando una debole traccia di sentiero che sale, diritta, sul fianco di sinistra del Dosso della Croce. Se non la troviamo, procediamo a vista, senza allontanarci dal filo del dosso, ma rimanendo sempre sulla sinistra. Dopo circa un quarto d’ora, ad una quota approssimativa di 1840 metri, pieghiamo a destra e, con qualche tornantino, ci portiamo sul filo del dosso, in corrispondenza di una pianetta quotata 1869 metri, che si affaccia su un pericoloso salto di rocce. Stando alle carte IGM e Kompass, ed anche alla Carta Tecnica Regionale, qui si dovrebbe trovare una croce. Sono diventato matto a cercarla, senza trovarne l’ombra. Poi ho chiesto a gente che conosce la zona, ricevendodue risposte contrastanti: la croce c’era, una volta, ma ora non c’è più; la croce non c’è mai stata. Sia come sia, ora resta solo questa gentile radura, circondata dall’ombra del bosco.


Apri qui una panoramica sull'alpe Morscenzo

Continuiamo a salire, seguendo un sentierino che corre sul filo del Dosso della Croce, fino ad intercettare la pista sterrata Poverzone-Morscenzo-Colina in corrispondenza dell’ultimo tornante destrorso (per chi procede verso Morscenzo) prima del canalone che scende dalla bocchetta del Valdone, ad una quota approssimativa di 2000 metri. Seguiamo, ora, la pista verso sinistra, fino alla curva sinistrorsa in corrispondenza del piede del vallone che scende dalla bocchetta del Valdone. Passiamo, qui, a monte dell’isolata baita Vendül (m. 1997), alla quale scende un sentiero che si stacca sulla sinistra della pista, proseguendo poi la discesa fino all’alpe Gorlo. Presso questa baita si può ancora osservare il resto del forno nel quale, sembra, sia stata cotta la calce che venne poi usata per costruire la chiesa parrocchiale di S. Martino.
Noi, però, restiamo sulla pista e, dopo un paio di semicurve, raggiungiamo il baitone dell’alpe Morscenzo (Marscenzo, sulle carte IGM), a 2042 metri. Lo raggiungiamo dopo 4 ore di cammino (il dislivello in salita è di circa 1400 metri): pensando a quanto abbiamo dovuto faticare, ci farà sicuramente un singolare effetto notare qualche fuoristrada parcheggiato magari nei pressi dell’alpe. La faticaccia, però, è ampiamente ripagata dalla luminosità e panoramicità del luogo. Questo è l’alpeggio più alto del sistema di alpeggi di Castione, e da qui il colpo d’occhio sulla catena orobica centro-orientale è ottimo.


L'alpe Gorlo

Resta la seconda parte dell’anello, la discesa che ci porta a conoscere altri luoghi caratteristici della valle del Boco. Percorriamo il breve tratto di pista che si stacca da quella principale e scende al baitone, prendendo subito a sinistra ed imboccando il sentiero che passa per la baita isolata poco sotto il baitone (ad est). Proseguiamo nella medesima direzione fino ad una rada selva di abeti, dove il sentiero perde quota con alcuni tornanti, fino a raggiungere il limite superiore di destra (per chi scende) dei prati dell’alpe Gorlo (m. 1828).
Sotto le tre baite centrali dell’alpe, leggermente a sinistra, troviamo la partenza della mulattiera che, in leggera e comoda discesa, ci riporta al baitone dell’alpe Ortica. Scendiamo, quindi, alla baite inferiore dell’alpe, passando alla sua sinistra: sul limite inferiore dei prati troviamo facilmente la partenza della mulattiera che scende, decisa, con diversi tornanti nel cuore di una bella pineta.


Apri qui una panoramica sull'alpe Gorlo

Al tornante destrorso quotato 1551 metri troviamo una pianetta ed un bivio: appena oltre la pianetta, infatti, un sentiero si stacca, sulla sinistra, dalla mulattiera, che scende verso destra. Dobbiamo, ora, scegliere fra due alternative: passare per Pra’ Sterli (direzione di sinistra) oppure per l’alpe Calchera (direzione di destra). Raccontiamole entrambe.
Nel primo caso proseguiamo su un sentiero non molto largo, ma ben visibile, che nel primo tratto procede con andamento quasi pianeggiante. Poi troviamo una serie di saliscendi, in un bosco di abeti e faggi. Passiamo, quindi, a monte di un corpo franoso, prima di piegare a destra e di cominciare una discesa che ci porta al limite alto si sinistra (per chi scende) di Pra’ Sterli (m. 1480). Qui giunge anche, da sinistra, il già citato sentiero che parte dal Piazzo e che noi abbiamo lasciato al bivio successivo all’attraversamento del vallone di quota 1300 metri.


Apri qui una panoramica sull'alpe Gorlo

Tagliamo i prati in diagonale, scendendo verso destra e passando a sinistra di alcuni ruderi di baita: sul limite opposto (inferiore di destra) troviamo la ripartenza del sentiero, che prosegue a destra, fino ad un bivio, in prossimità di un rudere: una traccia prosegue a destra quasi pianeggiante, una seconda scende a sinistra. Imbocchiamo quest’ultima e, attraversata una franetta ed un valloncello, proseguiamo a scendere verso ovest, su sentiero non largo, ma ben visibile. Affrontiamo qualche saliscendi ed ignoriamo alcune deviazioni che scendono sulla sinistra, prima di intercettare, ad una quota di circa 1340 metri, la mulattiera che dall’alpe Calchera scende ai prati della Paiosa.
Torniamo, ora, al bivio della pianetta sotto l’alpe Ortica: vediamo ora cosa succede a proseguire sulla mulattiera che scende a destra. Dopo alcuni tornanti, essa ci porta alla parte alta di sinistra dei prati dell’alpe Calchera (m. 1450), dove si interrompe bruscamente. Dobbiamo, per ritrovarla, scendere diritti. Non possiamo, però, mancare di lasciare un attimo la discesa per puntare a destra, in direzione della grande baita solitaria fiancheggiata da alcuni larici imponenti. La bellezza e la grazia di questo luogo, impreziosite da un silenzio denso e meditabondo, sono difficilmente descrivibili.


L'alpe Calchera

Sul limite basso di sinistra dell’alpe la mulattiera riparte e, dopo diversi tornanti, viene intercettata dal già citato sentiero che scende da Pra’ Sterli; poco sotto, costeggia la parte alta dei prati della Paiosa e, dopo un tornante sinistrorso, porta in prossimità delle baite dei prati, collocate nella loro parte bassa (m. 1308). La successiva discesa, dopo un tratto a destra, volge a sinistra ed assume la direzione sud-sud-est, passando a monte dei prati del maggengo Scui (m. 1007), e proseguendo verso sinistra.
Attraversiamo, quindi, un corpo franoso, prima di svoltare a destra e di superare un breve tratto nel quale la mulattiera procede su una sede rialzata rispetto al terreno. Poi volgiamo di nuovo a sinistra e scendiamo per un tratto ripidi, svoltando ancora a sinistra e proseguendo la discesa fino a raggiungere il solco della val Prunulas, oltrepassata la quale, in breve, troviamo il punto nel quale si interrompe la pista sterrata che sale da Piazzorgo. Questa pista proseguirà, in futuro, scavalcando il solco principale della valle del Boco e ricongiungendosi al troncone che è già stato tracciato, sul versante opposto, da Pra’ Lone, sopra Postalesio, alla località Ginebrè.
Seguendo la pista, in leggera discesa, superiamo Piazzorgo e raggiungiamo, dopo circa 7 ore di cammino, l’automobile, chiudendo uno stupendo anello. Non abbiamo incontrato alcun segnavia (ad eccezione di qualche rado segno blu), ed è un peccato che questi sentieri così interessanti e suggestivi non siano corredati di quelle indicazioni che consentono un’escursione più tranquilla. Ma, se percorso nel senso antiorario descritto, questo anello non pone seri problemi di orientamento.


L'alpe Sterli

IL GIRO BREVE DEGLI ALPEGGI DI CASTIONE (PIAZZO-ORTICA-PAIOSA)

Punti di partenza ed arrivo (anello escursionistico)
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Bonetti-Mangialdo-Alpe Ortica-Alpe Calchera-Piazzorgo-Bonetti
5 h
740
EE
SINTESI. Salendo da Castiona a Triangia dopo l'ultimo tornante dx prima di Triangia prendiamo a sinistra e saliamo a Bonetti, proseguendo su una pista fino all'incrocio con una seconda pista che sale da sinistra. Parcheggiamo qui, ad uno slargo (m. 700), e saliamo sulla seconda pista verso est-nord-est. La pista diventa mulattiera e porta a Gadoli. La mulattiera prosegue alle spalle delle case più occidentali (le prime che incontriamo), e sale fino a Mangialdo (m. 882). In corrispondenza del cartello "Mangialdo", sulla destra (a monte della strada), vediamo un nuovo sentiero che si stacca dalla strada e riprende a salire: imbocchiamolo. Tagliamo, ben presto, un sentiero che sale da sinistra, da Mangialdo, ma restiamo sul sentiero, che procede in direzione nord-ovest. Superato un roccione, a destra del sentiero, pieghiamo leggermente a destra, procedendo verso nord. Dopo una nuova svolta a destra, intercettiamo una pista sterrata, ma non appena questa descrive un tornante destrorso, la lasciamo, imboccando il sentiero che se ne stacca sulla sinistra e che sale verso ovest-nord-ovest, con andamento abbastanza ripido nel primo tratto, più moderato nel secondo, fino ai prati del Piazzo (m. 1240). Sul limite orientale dei prati, allo slargo con una fontanella in legno, la pista sterrata che sale fin qui da Ruvari lascia il posto ad un sentiero. Lo imbocchiamo proseguendo con fondo regolare ed andamento pianeggiante, verso nord, ignorando una deviazione che sale alla nostra destra. Dopo un tratto in discesa, riprende l’andamento pianeggiante; ci raggiunge, da sinistra, un sentiero, mentre noi raggiungiamo e superiamo un valloncello. Il sentiero, quindi, volge a destra e riprende a salire, superando una porta nella roccia ed un secondo e più marcato vallone, a quota 1300. Risaliamo, quindi, il dosso successivo, fino ad un bivio, al quale andiamo a destra, salendo con serrati tornantini, sul crinale del dosso. La traccia si fa meno larga, ma è sempre ben visibile. Intercettata una traccia che sale da destra, proseguiamo nella salita, fino ad uscire, per un tratto, dal bosco di faggi e pini, in corrispondenza di una fascia di roccette. Rientriamo nel bosco e teniamo, con rapidi tornantini, il filo del dosso, finché questo accentua la pendenza: il sentiero lo lascia, quindi, portandosi a destra, per poi recuperarlo, dopo una svolta a sinistra, più in alto. A quota 1450 circa ci portiamo leggermente a sinistra rispetto al filo del dosso; la traccia non è sempre chiara, ma resta nei pressi del filo del dosso, sul suo lato sinistro. A quota 1530 metri circa il sentiero piega, quindi, a sinistra, allontanandosi dal filo del dosso Nella salita verso sinistra, superiamo a monte un corpo franoso di massi piuttosto piccoli. Poi la traccia, tagliando un versante ripido, si fa piuttosto stretta, prima di impennarsi e proporre un tratto ripido che conduce ad una sorta di porta fra le roccette (m. 1570 circa). Oltre la porta, ignoriamo una deviazione a sinistra che procede pianeggiante e saliamo ancora, fino ad intercettare una traccia che proviene da destra. Proseguendo verso sinistra, attraversiamo una fascia di roccette, passando presso un curioso faggio dal tronco forato. Superati altri due faggi con un segno blu, saliamo ancora, su traccia sempre piuttosto stretta, attraversiamo un tratto un po’ esposto e, dopo un’ultima salitella, siamo al cuore di un vallone, che attraversiamo facilmente. Poco dopo, attraversiamo un valloncello secondario e cominciamo a risalire il fianco orientale del lungo dosso della Croce. Ai brevi strappi si succedono tratti pianeggianti: superiamo, così, un nuovo modesto valloncello, ed incontriamo anche, di tanto in tanto, segni blu sul tronco di alcuni abeti e, prestando molta attenzione alla traccia a tratti seminascosta fra gli abeti, raggiungiamo l'alpe Ortica, a quota 1700, sulla parte bassa dei prati e sul lato opposto rispetto a quello sul quale è posta la baita inferiore. Scendiamo, quindi, alla baite inferiore dell’alpe, passando alla sua sinistra: sul limite inferiore dei prati troviamo facilmente la partenza della mulattiera che scende, decisa, con diversi tornanti nel cuore di una bella pineta. Al tornante destrorso quotato 1551 metri troviamo una pianetta ed un bivio, rimanendo sulla mulattiera che scende verso destra. Dopo alcuni tornanti, essa ci porta alla parte alta di sinistra dei prati dell’alpe Calchera (m. 1450), dove si interrompe bruscamente. Dobbiamo, per ritrovarla, scendere diritti, passando a sinistra di una baita isolata. Sul limite basso di sinistra dell’alpe la mulattiera riparte e costeggia la parte alta dei prati della Paiosa. Dopo un tornante sx, porta in prossimità delle baite dei prati, collocate nella loro parte bassa (m. 1308). La successiva discesa, dopo un tratto a destra, volge a sinistra ed assume la direzione sud-sud-est, passando a monte dei prati del maggengo Scui (m. 1007), e proseguendo verso sinistra. Attraversiamo, quindi, un corpo franoso, prima di svoltare a destra e di superare un breve tratto nel quale la mulattiera procede su una sede rialzata rispetto al terreno. Poi volgiamo di nuovo a sinistra e scendiamo per un tratto ripidi, svoltando ancora a sinistra e proseguendo la discesa fino a raggiungere il solco della val Prunulas, oltrepassata la quale, in breve, troviamo il punto nel quale si interrompe la pista sterrata che sale da Piazzorgo. Seguendo la pista in discesa torniamo allo slargo dove abbiamo lasciato l'automobile.


La bassa Valle del Boco

Saliamo in automobile, oltre Castione, sulla strada per Triangia, fino a trovare, all’ultimo tornante destrorso prima di Triangia, la deviazione, a sinistra, per la frazione di Bonetti. Percorriamo la stradina che scende fra le case di Bonetti, e termina alla chiesetta di S. Maria Maddalena, sul limite del bosco, lasciando il posto ad una pista sterrata, la quale prosegue, con un lungo traverso, fino a Piazzorgo, piccolo nucleo di baite a monte di Castione.
Percorriamo per un tratto la pista, fino ad un incrocio: da sinistra sale una pista secondaria (che parte dalla strada Castione-Triangia) che prosegue sulla destra. Lasciamo qui, in uno slargo, l’automobile (siamo ad una quota di circa 700 metri) ed incamminiamoci su questa pista che sale verso est-nord-est, in una bella pineta, restringendosi, dopo il primo tratto, a mulattiera, fiancheggiata a monte da un grande muro a secco. Usciti dalla selva, ci ritroviamo alle case di Gadoli, piccolo nucleo fra Bonetti e Mangialdo.
La mulattiera prosegue alle spalle delle case più occidentali (le prime che incontriamo), e sale fino a Mangialdo (m. 882). Se non dovessimo trovarla, possiamo attraversare le case e giungere in vista della stradina asfaltata che sale fin qui da Gatti; prima della stradina troviamo, sulla sinistra, una pista sterrata, che sale fino ad una casetta isolata, dove termina. Oltre la casetta, ed a monte della stessa, si trova una fascia di prati: saliamo a vista, tagliandola, ed intercettiamo, ben presto, un sentierino che, percorso verso sinistra, ci porta alla strada asfaltata che raggiunge Mangialdo. Fin qui potremmo giungere anche in automobile (la strada asfaltata, infatti, si stacca dalla strada che da Triangia sale a Ligari e Forcola, a primo tornante destrorso sopra Triangia), ma poi avremmo il problema di chiudere l’anello con un lungo tratto in salita. Il sentierino, dunque, intercetta la pista appena prima del cartello “Mangialdo”, posto all’ingresso del borgo.


Apri qui una panoramica dal Piazzo

In corrispondenza del cartello, sulla destra (a monte della strada), vediamo un nuovo sentiero che si stacca dalla strada e riprende a salire: imbocchiamolo. Tagliamo, ben presto, un sentiero che sale da sinistra, da Mangialdo, e prosegue alla nostra destra, verso Ligari: noi restiamo, però, sul sentiero, che procede in direzione nord-ovest. Superato un roccione, a destra del sentiero, pieghiamo leggermente a destra, procedendo verso nord.
Dopo una nuova svolta a destra, intercettiamo una pista sterrata, che però lasciamo subito: non appena, infatti, questa descrive un tornante destrorso, la lasciamo, imboccando il sentiero che se ne stacca sulla sinistra. Si tratta di una mulattiera che sale, verso ovest-nord-ovest, con andamento abbastanza ripido. Dopo il primo tratto, troviamo, a monte, un muretto a secco che la delimita. Poi la pendenza si fa meno severa, compaiono i primi pini ed attraversiamo un tratto suggestivo, nel quale la mulattiera è scavata nella viva roccia. Descriviamo, così, un lungo traverso, prima di incontrare una coppia di tornanti, destrorso e sinistrorso, che precedono di poco la conclusione della mulattiera che, dopo una svolta a destra, intercetta la pista che sale al maggengo di Piazzo ("Piazzòo", cioè piccola spianata), sul suo limite orientale.
Il maggengo, a 1240 metri, è raggiunto, infatti, da est da una pista sterrata che parte da Ruvari, nucleo che si trova a monte di Mangialdo. Ottimo il colpo d’occhio sulla parte occidentale della media Valtellina: si distinguono i cupoloni gemelli del Crap del Mezzodì, a sinistra, e del Culmine di
Dazio, a destra, sopra i quali si erge l’inconfondibile corno del monte Legnone, perentorio punto fermo della catena orobica nel suo limite occidentale. Poi, a destra di un breve scorcio delle cime della Mesolcina, il massiccio ed armonioso profilo della cima del Desenigo, sul limite sud-occidentale della Val Masino. Ancora più a destra, verso nord-ovest, si distinguono le cime erbose del monte Colina, a sinistra dell’alpe omonima, e del monte Caldenno.
Dalla parte alta dei prati parte un sentiero che, seguendo il crinale (direzione nord e nord-est) raggiunge il maggengo superiore dei prati della Piana (m. 1694) e prosegue fino all’alpe Prato Secondo (m. 1928), per la quale passa la pista sterrata che proviene dall’alpe Piastorba e prosegue, verso destra, fino all’alpe Morscenzo. Siccome quest’alpe, che è l’alpeggio principe di
Postalesio, è il punto più alto del lungo anello, potremmo scegliere anche questa via per raggiungerlo. Raccontiamo, però, il percorso che ci porta nel cuore della valle del Boco. Esso sfrutta il sentiero che parte dal limite orientale dei prati, allo slargo, con una fontanella in legno, con il quale si interrompe la pista sterrata.
Percorriamo, dunque, il sentiero, che prosegue, con fondo regolare ed andamento pianeggiante, verso nord, ignorando una deviazione che sale alla nostra destra. Dopo un tratto in discesa, riprende l’andamento pianeggiante; ci raggiunge, da sinistra, un sentiero, mentre noi raggiungiamo e superiamo un valloncello. Il sentiero, quindi, volge a destra e riprende a salire, superando una porta nella roccia ed un secondo e più marcato vallone, a quota 1300. Risaliamo, quindi, il dosso successivo, fino ad un bivio: la traccia di sinistra, che prosegue pianeggiante (bollo blu), conduce, dopo il superamento di due valloncelli, a Pra’ Sterli (m. 1480): potremmo seguirlo se desideriamo percorrere una variante decisamente abbreviata dell’anello (da Pra’ Sterli, infatti, passeremo anche al ritorno).
Raccontiamo, però, la variante più lunga. Questa sfrutta la traccia di destra, che comincia a salire, con serrati tornantini, sul crinale del dosso. La traccia si fa meno larga, ma è sempre ben visibile. Intercettata una traccia che sale da destra, proseguiamo nella salita, fino ad uscire, per un tratto, dal bosco di faggi e pini, in corrispondenza di una fascia di roccette. Rientriamo nel bosco e teniamo, con rapidi tornantini, il filo del dosso, finché questo accentua la pendenza: il sentiero lo lascia, quindi, portandosi a destra, per poi recuperarlo, dopo una svolta a sinistra, più in alto. A quota 1450 circa ci portiamo leggermente a sinistra rispetto al filo del dosso; la traccia non è sempre chiara, ma resta nei pressi del filo del dosso, sul suo lato sinistro.
A quota 1530 metri circa il sentiero piega, quindi, a sinistra, allontanandosi dal filo del dosso Nella salita verso sinistra, superiamo a monte un corpo franoso di massi piuttosto piccoli. Poi la traccia, tagliando un versante ripido, si fa piuttosto stretta, prima di impennarsi e proporre un tratto ripido che conduce ad una sorta di porta fra le roccette (m. 1570 circa). Oltre la porta, ignoriamo una deviazione a sinistra che procede pianeggiante e saliamo ancora, fino ad intercettare una traccia che proviene da destra. Proseguendo verso sinistra, attraversiamo una fascia di roccette, passando presso un curioso faggio dal tronco forato. Superati altri due faggi con un segno blu, saliamo ancora, su traccia sempre piuttosto stretta, attraversiamo un tratto un po’ esposto e, dopo un’ultima salitella, siamo al cuore di un vallone, che attraversiamo facilmente. Poco dopo, attraversiamo un valloncello secondario e cominciamo a risalire il fianco orientale del lungo dosso della Croce. Ai brevi strappi si succedono tratti pianeggianti: superiamo, così, un nuovo modesto valloncello, ed incontriamo anche, di tanto in tanto, segni blu sul tronco di alcuni abeti.


Panorama dall'alpe Ortica

A quota 1670 circa il sentierino sembra quasi soffocato dagli abeti, ma è sempre ben visibile; dopo un breve scorcio panoramico sul monte Colina, riprendiamo a salire, fino ad una serie di saliscendi in una fitta pineta. Sembrano proprio, questi, i luoghi dove hanno posto la loro segreta dimora i mostri di cui la fantasia della gente ha popolato questa valle, lo sciatt basilìsk, mezzo rospo e mezzo basilisco, e l’uomo verde, un mostro terribile che si mangia le sventurate vittime sorprese nel cuore del bosco.
Ma finalmente, dopo un interminabile peregrinazione nel bosco, lasciamo le ombre ed i timori e ci affacciamo alla luce intensa dell’alpe Ortica, a quota 1700, sulla parte bassa dei prati e sul lato opposto rispetto a quello sul quale è posta la baita inferiore. Molto buono, anche se non molto ampio, è il panorama, soprattutto verso nord-ovest e nord: distinguiamo, sul crinale che separa l’alta valle del Boco, ad est, dalla valle di Postalesio, ad ovest, il monte Colina (m. 2453) ed il monte Caldenno (m. 2669); sul crinale che separa la media Valtellina dalla Valmalenco, invece, si distinguono il Sasso Bianco (m. 2490) e le due cime, occidentale ed orientale, del monte Arcoglio (m. 2451 e 2459), questa seconda appena accennata.
Scendiamo, quindi, alla baite inferiore dell’alpe, passando alla sua sinistra: sul limite inferiore dei prati troviamo facilmente la partenza della mulattiera che scende, decisa, con diversi tornanti nel cuore di una bella pineta.


Alpe Marscenzo dall'alpe Ortica

Al tornante destrorso quotato 1551 metri troviamo una pianetta ed un bivio: appena oltre la pianetta, infatti, un sentiero si stacca, sulla sinistra, dalla mulattiera, che scende verso destra. Scendiamo verso sinistra e, attraversata una franetta ed un valloncello, proseguiamo a scendere verso ovest, su sentiero non largo, ma ben visibile. Affrontiamo qualche saliscendi ed ignoriamo alcune deviazioni che scendono sulla sinistra, prima di intercettare, ad una quota di circa 1340 metri, la mulattiera che dall’alpe Calchera scende ai prati della Paiosa.
Torniamo, ora, al bivio della pianetta sotto l’alpe Ortica: vediamo ora cosa succede a proseguire sulla mulattiera che scende a destra. Dopo alcuni tornanti, essa ci porta alla parte alta di sinistra dei prati dell’alpe Calchera (m. 1450), dove si interrompe bruscamente. Dobbiamo, per ritrovarla, scendere diritti. Non possiamo, però, mancare di lasciare un attimo la discesa per puntare a destra, in direzione della grande baita solitaria fiancheggiata da alcuni larici imponenti. La bellezza e la grazia di questo luogo, impreziosite da un silenzio denso e meditabondo, sono difficilmente descrivibili.


L'alpe Calchera

Sul limite basso di sinistra dell’alpe la mulattiera riparte e, dopo diversi tornanti, viene intercettata dal già citato sentiero che scende da Pra’ Sterli; poco sotto, costeggia la parte alta dei prati della Paiosa e, dopo un tornante sinistrorso, porta in prossimità delle baite dei prati, collocate nella loro parte bassa (m. 1308). La successiva discesa, dopo un tratto a destra, volge a sinistra ed assume la direzione sud-sud-est, passando a monte dei prati del maggengo Scui (m. 1007), e proseguendo verso sinistra.
Attraversiamo, quindi, un corpo franoso, prima di svoltare a destra e di superare un breve tratto nel quale la mulattiera procede su una sede rialzata rispetto al terreno. Poi volgiamo di nuovo a sinistra e scendiamo per un tratto ripidi, svoltando ancora a sinistra e proseguendo la discesa fino a raggiungere il solco della val Prunulas, oltrepassata la quale, in breve, troviamo il punto nel quale si interrompe la pista sterrata che sale da Piazzorgo. Questa pista proseguirà, in futuro, scavalcando il solco principale della valle del Boco e ricongiungendosi al troncone che è già stato tracciato, sul versante opposto, da Pra’ Lone, sopra Postalesio, alla località Ginebrè.
Seguendo la pista, in leggera discesa, superiamo Piazzorgo e raggiungiamo, dopo circa 5 ore di cammino, l’automobile, chiudendo uno stupendo anello. Non abbiamo incontrato alcun segnavia (ad eccezione di qualche rado segno blu), ed è un peccato che questi sentieri così interessanti e suggestivi non siano corredati di quelle indicazioni che consentono un’escursione più tranquilla. Ma, se percorso nel senso antiorario descritto, questo anello non pone seri problemi di orientamento.


Pista della Valle del Boco

CARTE DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

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