Casa. inquietante casa...
Case
infestate da fantasmi, da anime senza pace, case maledette, che rinserrano
fra mura antiche segreti terribili: è uno dei temi più
frequenti di leggende che abbondano anche in terra di Valtellina. Gli
esempi potrebbero essere davvero numerosi.
Soffermiamoci proprio nel cuore della valle, nel territorio di Chiuro
e dintorni, dove troviamo tre esempi che possono valere per tutti. Scegliamo
Chiuro, definita da Giovanni Guler von Weineck (che ci offre una testimonianza
diretta della Valtellina all’inizio del Seicento) “un antico
borgo dove primeggiano i nobili Quadrio (53), i Brandiani e i Visconti”:
lo scegliamo per l’antichità della sua storia e la suggestione
dei luoghi. Il nome stesso risale, probabilmente, ad una radice retica
o etrusca.
Nel secolo XII il comune di Chiuro, posto a monte dell’antica strada Valeriana
(che, è interessante ricordarlo, passava per la contrada di Gera,
successivamente spopolata da alluvioni e dalla terribile peste del 1630),
arteria principale della valle, appariva già fra i più
fiorenti di Valtellina, ma fu nella prima metà del Quattrocento
che toccò il vertice del suo prestigio, grazie alla presenza
del valente condottiero Stefano Quadrio, al servizio dei Visconti di
Milano. Anche nel secolo successivo la vitalità delle attività
economiche, vitivinicole, artigianali e commerciali, assicurò
al borgo una buona condizione economica.
Il
Seicento fu, invece, secolo di declino, per il borgo e per l’intera
valle, attraversata dalle truppe degli opposti fronti durante la guerra
dei Trent’anni. E, con le truppe, venne anche la peste rovinosa
del 1630, che ne portò gli abitanti da 850 a 250. Una graduale ripresa
si ebbe a partire dal Settecento, prima che la carestia del 1816
tornasse a segnare dolorosamente le cronache del paese. Questo
brevissimo profilo storico non si può concludere senza la menzione di
un'altra gloria locale, il patriota Maurizio Quadrio, discendente del
condottiero Stefano, che, fervente mazziniano, subì l'esilio per la sua
partecipazione alla lotta per l'indipendenza dal dominio austriaco
Un paese che mostra, dunque, la vivida luce di un passato illustre, ma
che nasconde anche qualche segreta ombra, legata a dimore inquietanti.
Proprio passeggiando in via Rusca, nel cuore della Chiuro antica, possiamo
imbatterci in un palazzo che reca, sul portone d’ingresso al cortile
interno, una targa: “Casa Cilichini olim Quadrio (Rinascimentale)”.
La casa, infatti, appartenne alla nobile casata dei Quadrio e,
successivamente, ai Cilichini, per poi esere acquistato dal Comune di
Chiuro e dalla famiglia Bombardieri. Dal nonno di Florindo Bombardieri
(classe 1896, testimone diretto) è stato raccolto un racconto che ha
come protagonista proprio questa dimora, nella quale, una sera, si
spalancò la porta che, rinchiusa, tornò misteriosamente ad aprirsi. Altrettanto
misteriosamente nella cucina, dove, in un paiolo, cuoceva, al fuoco del
camino, la polenta, apparve un gatto nero, mai visto, la cui presenza
sinistra fece addirittura spegnere il fuoco.
La casa, già dei Cilichini, venne
successivamente acquistata da una coppia di anziani, che proprio dei
Cilichini erano stati fattori e che vi investirono il frutto di una vita
di fatiche e parsimonia.
Un
passato che li metteva in soggezione: non si sentivano degni di una
tal dimora, pareva loro che non fosse consona alla condizione di contadini
da cui provenivano, e che abitarla fosse una sorta di affronto ai grandi
spiriti cui era in passato appartenuta.
Questo stato d’animo,
alimentato, forse, dagli inquietanti silenzi di quegli spazi troppo
ampi, divenne quasi ossessione, che parve, un giorno, prender corpo,
l’inquietante corpo di un gatto nero. Un gatto che prese ad aggirarsi
proprio nei pressi dell’ingresso della casa, una presenza sinistra,
insistente, quasi minacciosa. E, con il gatto, comparvero sulla soglia
della memoria antiche dicerie, come quella secondo cui fra i Cilichini
vi era stato, un tempo, uno stregone assai potente. E, si sa, la più
potente delle magie, detta anche, nel linguaggio popolare, la “fisica”,
è proprio quella di prendere la forma, in vita ed oltre la vita,
di animali. Che fosse proprio lo stregone l’anima del gatto che
non smetteva di presentarsi al portone della casa? Che fosse il desiderio
di punire l’arroganza dei villici il motivo della sua presenza?
Comunque stessero le cose, quel che è certo è che un giorno
il gatto, approfittando dell’attimo in cui il portone veniva aperto
da una folata di vento di inusitata violenza, balzò all’interno
della casa, e da quel giorno ai due anziani non riuscì più
di farlo uscire. Teneva un comportamento, a dir poco, singolare: sembrava
considerare la dimora come sua e, spesso, rizzava il pelo, mostrando
minacciosamente gli artigli; talvolta la sua semplice presenza sembrava
spegnere le fiamme del camino ed introdurre, nella sala da pranzo, un
gelo sinistro. I
due poveri coniugi finirono per pensare che quello era un antenato dei
Cilichini, tornato a riprendersi ciò che considerava suo, e che
non era proprio il caso di opporsi.
Tornarono, quindi, a fare quel che
per tutta la vita avevano fatto, si rimisero al servizio di un Cilichini
o di quel che pensavano tale, il gatto, che da allora divenne signore
della casa, servito e riverito in tutto e per tutto. Anche alla mensa
il posto d’onore ed i cibi più prelibati erano per lui.
Finché a trovare i due anziani venne un nipote Paolo, un ragazzo
di tredici anni, sveglio e deciso. Notata la situazione perlomeno
strana, si fece raccontare tutto, e non tardò molto a trovare
la soluzione: approfittando della prima occasione, sferrò al
gatto un calcio violento e preciso, che fece letteralmente volare l’oscuro
signore della casa oltre il muro di cinta. Di lui si persero le tracce:
sic transiit gloria mundi, così è tramontata la gloria
di questo mondo, potremmo commentare con un adagio molto comune ai tempi
in cui Quadrio e Cilichini segnavano la storia di Chiuro. E, se
andiamo ancora più indietro nel tempo, cioè all'antica Grecia nella
quale Esopo raccontava le sue favole, potremmo ispirarci a lui e
chiudere con la formula fatidica "la storia insegna che".: è la paura
del debole che, spesso, fa la prepotenza del forte. Questa storia sembra raccontata apposta per muovere le labbra al sorriso.
Cambiamo
però, ora, registro, e raccontiamo altre due leggende, raccolte
dall'opera attenta ed appassionata dell'insegnante Armida Bombardieri. Spostandoci un po’ fuori del paese,
fra i vigneti che fiancheggiano, a monte, la via Bongiolina, già
in territorio del comune di Ponte in Valtellina. La via si stacca, sulla
destra, dal rettilineo di via Trento, che, dalla ss. 38 in località
S. Carlo, sale verso Ponte. Appena dopo l’imbocco della via, sulla
sinistra, si può notare, nel vigneto a destra della prima casa,
il rudere di un’antica dimora rurale, conosciuta come “la ca’ dei spirit”. Una leggenda spiega il motivo di tale denominazione.
La coltura dei vigneti era, un tempo ancor più di oggi, il nerbo
dell’economia di queste zone, per cui chi si fosse reso responsabile
di furti nelle vigne era giudicato assai severamente. Accadde, una volta,
che il proprietario del fondo in cui si trova la casa si accorse di
essere vittima di furti di uva, ripetuti e di considerevole entità:
nottetempo qualcuno si portava via interi gerli del prezioso frutto.
Si appostò, quindi, e riuscì a cogliere il ladro in flagrante.
Questi, spaventato, confessò di essere il responsabile di tutti
i furti avvenuti, al che, accecato dall’ira, il contadino lo uccise
con un colpo di falcetto.
Da allora cominciò a manifestarsi un fenomeno inspiegabile: chiunque
entrasse nella vigna, si vedeva piovere addosso una scarica di sassi
lanciati dalla casa che, per questo, si credette abitata dagli spiriti.
La cosa ancor più sorprendente era che, di tanti sassi, nessuno
arrivava però a colpire il bersaglio. Quale
spiegazione dare di questo arcano? Forse che il furto e tutte le consimili
malefatte umane non vanno mai a buon segno? O forse che chi si macchia
di omicidio per difendere ciò che è suo non merita, poi,
di godere del frutto dei suoi beni? Forse entrambe le spiegazioni hanno
la loro ragion d’essere.
Mentre siamo raccolti in questi pensieri, proseguiamo la visita ai dintorni
di Chiuro, raggiungendo il bel paese di Castionetto di Chiuro, sulla
provinciale Panoramica dei Castelli, che congiunge Montagna in Valtellina
a Teglio, e che è stata definita la più bella strada d’Europa,
per il fascino paesaggistico e la ricchezza di cultura dei luoghi e
dei paesi attraversati. Lasciamo la provinciale, che attraversa il paese,
staccandocene sulla sinistra e salendo verso la sua parte alta.
Prima
di raggiungere la contrada più alta, denominata contrada
Maffìna,
troviamo, sulla destra della strada, una casa isolata ed abbandonata,
riconoscibile dal dipinto che si trova su una parete e che raffigura
una Madonna il cui vestito è adornato da una spilla con una perla
vistosa. Si tratta della Ca’ Musìn, cui è legata
una terza leggenda, probabilmente ispirata dal singolare particolare
della perla che spicca nel dipinto.
La perla, oggetto prezioso per antonomasia, ha da sempre attratto la
fantasia popolare: accadde così un giorno che un uomo, affascinato
dalla perla, si avvicinò al dipinto, tanto da toccarla, forse
per verificare se fosse vera. Rimase,
però, folgorato all’istante. La sua lacrimevole fine impressionò
tanto gli abitanti di Castionetto che da allora nessuno più osò
avvicinarsi alla casa abbandonata.
Qual è la morale che dobbiamo trarre da quest’ultima leggenda?
Forse che l’avidità o, anche, la semplice e futile curiosità
conducono gli uomini alla rovina. E con quest’ultimo edificante
pensiero prendiamo congedo da questi luoghi, invitando, però,
chiunque capiti a passare di qui, a soffermarsi per gustarne la luce
e le ombre, e ringraziando per le notizie attinte la bella raccolta "Storie e leggende dei nostri paesi", ricerca ciclostilata della classe IVB della scuola elementare di Chiuro (1974). sotto la guida dell'insegnante Armida Bombardieri.
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