Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza
in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
Poggiridenti Piano-San Fedele-Poggiridenti Piano |
1 h e 45 min. |
250 |
T |
Nella stagione autunnale o primaverile, ma anche nel cuore dell’inverno, camminare a Poggiridenti è sempre un’occasione per trascorrere piacevoli giornate all’aria aperta, circondati da quel sorriso dei poggi che, come indica il nuovo nome che il paese ha assunto dal 1929, sono la nota caratteristica di questi luoghi. La prima proposta di passeggiata riguarda la salita dal piano al centro di Poggiridenti, con ritorno al piano per via diversa: potremmo chiamarlo anello di San Fedele.
Lasciamo, dunque, la ss. 38 dello Stelvio al primo svincolo a sinistra dopo la prima semicurva a destra che troviamo, procedendo verso Tirano, superata la tangenziale di Sondrio, raggiungendo la contrada Conforti (cunfòrt), a Poggiridenti piano. Ci immettiamo così sulla via Conforti, prendendo a sinistra, in direzione di Montagna piano. Non appena possibile, parcheggiamo l’automobile e procediamo a piedi, fino alla prima deviazione a destra, una stradina ripida che sale diritta in direzione del versante montuoso. Qui, a 310 metri circa, troviamo anche un cartello che dà la Madonna del Carmine ad un’ora di cammino, ed indica come mete di una possibile prosecuzione della camminata Poggiridenti e la Chiesa di Santa Maria Perlungo. La stradina in cemento supera alcune case (ca’ da runsc, in comune di Montagna) e volge a destra, assumendo l’andamento nord-est. Si tratta della via Ronscio (strada da runsc), che ci accompagnerà fino alla chiesa della Madonna del Carmine.
Superata una cascatella, proseguiamo in direzione della Madonna del Carmine, che vediamo già chiaramente davanti a noi. La pista, con fondo sterrato, termina piegando a destra e scendendo fra i vigneti del runsc (ma questo tratto è proprietà privata). Invece di scendere, imbocchiamo il sentierino che parte sulla sinistra (è un po’ sporco, ma con traccia chiara), proponendo una rapida sequenza di tornanti sx-dx, prima di riprendere l’andamento nord-est e terminare ad una piazzola per il parcheggio degli autoveicoli. Dalla piazzola parte una pista in cemento che, in breve, passando accanto ad una cappelletta, ci porta alla strada provinciale 21 denominata Panoramica dei Castelli, in corrispondenza del cimitero che precede la secentesca chiesa della Madonna del Carmine (gésa dal càrmen, m. 480). Siamo alla piana anticamente chiamata “somsassa”, e successivamente “càrmen”, dal nome della chiesa. A dispetto delle indicazioni del cartello, diciamo che mezzora o poco più di cammino è sufficiente per salire dal piano fino a qui.
Panorama da Poggiridenti
Proseguiamo, ora, sul marciapiede che fiancheggia la provinciale, passando davanti alla chiesa, costruita fra il 1648 ed il 1651 ed ampliata nel Settecento. Le sue forme regolari ed eleganti sono incorniciate dalla più alte cime della sezione centrale delle Orobie. Un po’ più avanti troviamo, sulla destra, la deviazione della strada provinciale 47, la via Inferno, che scende alla chiesa di Poggiridenti Piano (gésa dal ciàn), e che potremo sfruttare per il ritorno. Non ora, però, perché, ovviamente, giunti fin qui non possiamo non salire a visitare l’antica Pendolasco (pendulàsc).
Restiamo, quindi, sulla strada provinciale, ignorando la prima deviazione, sulla sinistra, vale a dire la via Cancian, per imboccare la seconda, la via Nobili, che ci porta alla contrada omonima. La contrada (ca’ nòbel) ha assunto questa denominazione dalla fine del Cinquecento, per la presenza del casato dei Pendolasco, che vennero chiamati “Nobili”; qui possiamo ancora osservare ancora gli antichi edifici collegati internamente da portici (passaggi coperti) e cortili, in modo che si potesse passare dall’uno all’altro anche quando, in caso di pericolo, venivano sbarrati gli accessi all’esterno. Interessante è anche la fontana, denominata "büi da ca nòbel", ricavata da un unico blocco di pietra della Valmalenco. Prendendo, quindi, a destra, per uno stretto passaggio (la via Zocca) attraversiamo la parte bassa della contrada omonima (la zòca, dove si vede ancora la dimora dei Lavizzari), sbucando alla piazzetta del Buon Consiglio (ciàza del bun cunsìgliu), dove si trova la chiesetta dedicata alla Madonna del Buon Consiglio (gésa del bun cunsigliu), ampliamento di una cappelletta secentesca: l'edificio attuale è quel che resta di una più ampia chiesa settecentesca, in parte abbattuta nell'Ottocento.
Proseguiamo, ora, per un tratto verso est, in direzione della ben visibile chiesa di San Fedele, seguendo la via San Fedele, fino al punto in cui vi confluisce, scendendo da sinistra, la via Garzeda. Qui, invece di proseguire sulla via San Fedele, imbocchiamo la stradicciola con fondo in risc (cioè di ciottoli arrotondati) che porta allo slargo della strada ai piedi del poderoso muraglione che sostiene la chiesa parrocchiale di San Fedele (gésa de san fédé), di origine assai antica (già attestata nel Duecento), la quale veglia sul paese dal poggio omonimo (dòs de san fédé). Può terminare qui la visita al paese (anche se, ovviamente, avendo tempo a disposizione nulla vieta di girovagare fra le diverse frazioni, quelle ad ovest – Carteruola, Masoncello e Torchio -, quelle ad est – Contrada dei Re, Ca’ Pianini, Piazzo – e quelle a nord – Torricello, Dosso, Ranìn e Surana). Per i patiti dell’altimetria, segnaliamo che siamo saliti fino a 560 metri (il dislivello superato è, dunque, di 250 metri).
Torniamo, ora, indietro all’imbocco della via Inferno (denominata anche Strada dei Vini). Possiamo, ora, seguirla tranquillamente, oppure sfruttare una larga mulattiera con fondo in risc (denominata "risc dal cian") che la taglia in più punti, scendendo per via più diretta e ripida. Nel primo caso, dopo una prima svolta a destra, affrontiamo una serie di tornanti sx-dx-sx-dx, piuttosto distanziati, prima degli ultimi brevi tornantini che ci fanno attraversare la contrada Sottomonte (sotmùnt) e ci portano alla chiesa del piano. Se, invece, seguiamo il risc scendiamo per un primo tratto verso sud-ovest, poi, attraversata la via Inferno, volgiamo in direzione sud-est (sinistra), tagliando la medesima via, più in basso, una seconda volta ed una terza, prima di raggiungere la via al Risc, che porta al piazzale della chiesa.
Qualunque sia la via scelta, non manchiamo di fermarci, di tanto in tanto, per ammirare i terrazzamenti che hanno colonizzato i roccioni ai piedi della chiesa della Madonna del Carmine, che si eleva, in alto, come segno della tensione verticale della fede. Il salto roccioso a valle della chiesa è denominato "cràp del Càrmen". Alcuni grandi cartelli ci segnalano che si tratta della zona di produzione delle case vinicole Nera e Bettini; vi si produce la celebre varietà vinicola dell’Inferno. L'intera zona trae, infatti, da esso il nome: si tratta dell'Infèren, che propone un suggestivo mosaico di rocce affioranti, terrazzamenti e vigneti, macchie di robinia e rovere.
Sotto un cartello dell’azienda Nera, proprio sotto la chiesa del Carmine, si può distinguere una grande rientranza della roccia. Si tratta del "böc' de la lébra", chiamato anche "crap de la dària", dal nome della sventurata donna la cui memoria è consegnata a questo luogo. Vi fu relegata, per lungo tempo, una donna, tal Daria, appunto, che aveva contratto una malattia di cui la popolazione temeva fortemente il contagio, la lebbra. Le veniva fornito di che vivere utilizzando una cesta calata dall'alto con una corda. Così racconta un'antica leggenda, che però non ha mai trovato riscontro in documenti storici. Non si sa che fine abbia fatto la sventurata. Con questa nota di mestizia, eccoci alla chiesa del piano, dedicata alla Madonna del Lavoro ed inaugurata nel 1950, per servire la popolazione sempre più numerosa delle frazioni del piano. Chiudiamo, ora, l’anello prendendo a destra e percorrendo per un tratto la via Masoni, lasciandola, poi, per prendere a destra e percorrere via Lozzoni e via Conforti, tornando all’automobile. Calcoliamo, in tutto, circa un’ora e tre quarti di cammino.
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ANELLO DI SURANA
Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza
in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
San Fedele-Surana-San Fedele |
1 h |
140 |
T |
Vediamo, ora, una seconda interessante proposta ci camminata, dal centro di Poggiridenti alle contrade alte: potremmo chiamarlo anello di Surana. Ora dobbiamo portarci con l’automobile al parcheggio sotto il muraglione della chiesa di San Fedele. Il modo più semplice per farlo è di salire dalla frazione Colda di Sondrio seguendo la panoramica dei Castelli e passando per Montagna in Valtellina. Possiamo, però, anche sfruttare la già citata via Inferno, passando per la chiesa del piano. Seguiamo, per un tratto, la via San Fedele, che svolta a destra e raggiunge la contrada del Torresello (turesèl), passando a monte della chiesa di San Fedele. Il nome della contrada è legato alla quattrocentesca torre che vediamo a destra della strada, che appartenne ai da Pendolasco prima, ai Sermondi ed ai Venosta poi, per passare, dal 1646, alla parrocchia di San Fedele. All’inizio del Novecento fu, infine, acquistata dal comune ed utilizzata come sede della scuola elementare.
Sul lato opposto della strada si trova l’albergo S. Fedele; appena oltre parte, sulla sinistra, una viottola in risc che sale diritta fra le case della contrada: si tratta della via Torricello (risc dal turesèl), che si congiunge, più in alto, con la via Dosso, la strada asfaltata che sale verso la contrada più alta di Poggiridenti, Surana. Il risc prosegue sul lato opposto della strada, intercettandola di nuovo poco più in alto. Riprende, ancora, sul lato opposto, assumendo la direzione nord-ovest e lasciando alla propria destra la contrada Al Dosso (el dòs). Si tratta del risc da süràna, che effettua uno splendido traverso che passa alto sulla fascia dei preziosi vigneti ai quali hanno sudato generazioni di pazienti contadini. Il traverso ci porta ad intercettare per la terza volta la strada asfaltata (via Surana – strada da süràna), che percorriamo per un breve tratto, fino ad un tornante destrorso, al quale si stacca sulla sinistra la via Campelina. Poco oltre, il risc riprende, sempre con andamento nord-ovest, fino alla ca’ Ranìn, sulla cui facciata vediamo un dipinto che rappresenta la Madonna con Bambino che guarda alle anime del purgatorio, circondata da S. Giuseppe e S. Antonio da Padova.
Siamo ormai alle porte di Surana: ne raggiungiamo il nucleo centrale, posto a 680 metri, procedendo per breve tratto sulla strada asfaltata. Ci accoglie il bel lavatoio, denominato funtàna de la belùta. Le case del nucleo centrale si trovano a monte della strada. Si tratta di uno dei tre nuclei storici di Pendolasco, ed anticamente la via centrale era chiusa sui lati da portoni che permettevano di isolare le case difendendole da minacce esterne. Una visita alle antiche baite ci permette di respirarne la straordinaria atmosfera sospesa: qui gli umori dell’antica civiltà contadina non sono ancora interamente svaporati, ma aleggiano ancora fra le mute pietre.
Tornati sulla strada asfaltata, procediamo verso ovest, fino al punto in cui la via Surana intercetta la strada che da Montagna in Valtellina sale a Santa Maria Perlungo. Siamo al tornante denominato giròn da bòlga, dal nome della selva posta al confine fra Poggiridenti e Montagna (la bòlga, appunto). Ora scendiamo, per un breve tratto, lungo la strada, fino ad incontrare, sulla sinistra, una pista sterrata che se ne stacca, procedendo verso sud-est. La pista sterrata termina, lasciando il posto ad un sentiero che, proseguendo nella discesa, attraversata una selva dalla quale esce alla contrada Masoncello (masunscèl). Dopo un ultimo tratto scalinato, scendiamo ad intercettare la via Corteruola che, percorsa verso sinistra, ci porta alla contrada omonima. Proseguendo verso est, attraversiamo la parte alta della contrada Zocca, percorrendo la via Garzeda, che ci immette nella via San Fedele. Nei pressi della confluenza troviamo, sulla sinistra, il risc che sale fino al parcheggio dove abbiamo lasciato l’automobile. Questo bell’anello richiede circa un’ora di cammino (il dislivello in salita approssimativo è di 140 metri).
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ANELLO DI SANTA MARIA PERLUNGO
Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza
in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
San Fedele-Surana-Ponte delle Guardie-Foppe-S.Maria Perlungo-Surana-San Fedele |
3 h |
500 |
T |
Consideriamo, infine, una terza proposta di camminata, che rappresenta una sorta di estensione della precedente e che potremmo chiamare anello di Santa Maria, perché ha come punto culminante i maggenghi che si stendono appena a monte della chiesa di Santa Maria Perlungo (santa maria), in comune di Montagna in Valtellina. La prima parte dell’anello coincide con quella dell’anello sopra descritto e prevede una salita dalla chiesa di San Fedele a Surana, sfruttando il risc dal turesèl ed il risc da süràna. Raggiunto il nucleo centrale di Surana, però, non proseguiamo sulla via Surana fino alla strada Montagna-Santa Maria Perlungo, la lasciamo la via Surana, poco oltre la fontana-lavatoio, prendendo a destra e percorrendo la strada che attraversa le case rurali. La strada porta ad uno slargo-parcheggio, in corrispondenza delle baite della contrada Pizzetti (ca pizàt, m. 694) e lascia il posto ad una pista sterrata, che prosegue in direzione est-nord-est, passando a monte dei bei prati di Scéns (el scéns), l’unico maggengo nel territorio di Poggiridenti, con una baita isolata che guarda al versante opposto della Valle della Rogna e, ad est e sud-est, al gruppo dell’Adamello ed al settore delle Orobie orientali.
Dopo un cartello con divieto di accesso per strada non collaudata, la pista termina e lascia il posto ad una larga mulattiera, con fondo in risc (strada dal val de rùgna), che si addentra nel bosco di mezza montagna del versante occidentale della Valle della Rogna. La mulattiera piega a sinistra, assumendo l’andamento nord ed attraversando una valletta laterale che confluisce, più in basso, nella Valle della Rogna. Si tratta della vallaccia (valàscia), che coincide probabilmente con la valle dell’Orco nominata in documenti quattrocenteschi (“ad valem del orcho”), denominazione che, peraltro, si riferiva sia alla valle che ai prati vicini. Se aggiungiamo a ciò che i boschi a valle della mulattiera sono chiamati böc del bàu, cioè buco del diavolo, il gentile quadretto è davvero completo. Non stupisce apprendere che una leggenda colloca proprio sul versante scosceso a valle della mulattiera un buco dell’orco.
Panorama da Scens
Nella grotta, si racconta, viveva, un tempo, un orco crudele, che, di quando in quando, lasciava l’ombrosa valle per scendere al paese e rapire, approfittando delle ombre della sera, qualche malcapitato viandante (i bambini disobbedienti che si attardavano nelle strade del paese erano le sue prede preferite). Il poveretto veniva portato nella grotta e gli toccava l’orribile sorte di fare da pasto al repellente essere.
La gente era terrorizzata, ed alla fine ci si decise a perlustrare l’aspro fianco del monte per trovare la tana dell’orco e farla finita con quella minaccia. L’unione fa non solo la forza, ma anche il coraggio, e la ricerca fu condotta con la massima accuratezza. La grotta, infine, venne trovata, mentre l’orco no, di lui non si seppe più nulla. Cosa ancor più strana, nell’antro vennero trovate anche monete false, per cui si diffuse la voce che in realtà essa fosse il covo di una banda di falsari, che coniava le monete utilizzando il rame di alcune “culdere” rubate nottetempo in paese. Nel cuore di uno di questi boschi è ambientata anche una seconda leggenda. Una ragazza, si racconta, vide, una volta, qualcosa che si muoveva nel cuore del bosco. Pensò si trattasse di un animale, e guardò meglio, senza però riuscire ad identificarlo.
I prati di Scens
Guardando con attenzione ancora maggiore, si accorse che non si trattava di un animale, ma di un’ombra, che correva veloce fra alcuni grandi massi. Poi, all’improvviso, si fermò e svanì. La ragazza si avvicinò al luogo dove l’ombra si era dissolta, e vi trovò un gomitolo di lana. Lo raccolse, perché la lana era di un bellissimo colore, sembrava davvero oro.
Non le parve vero di poter approfittare di quell’insperato ritrovamento: era prossima al matrimonio e non aveva ancora fatto confezionare l’abito nuziale, per cui pensò bene di portare il gomitolo alla futura suocera, abile sarta, perché ne ricavasse l’abito di cui aveva bisogno. E così avvenne: l’abito era bellissimo, splendente, sembrava confezionato con tessuto d’oro, e la sposa attendeva, trepidante, il giorno delle nozze per poterlo sfoggiare e suscitare la malcelata invidia delle amiche (e se no che amiche sarebbero?) e lo stupore degli invitati.
Il giorno tanto atteso venne, e tutti gli occhi erano per la sposa, luminosa nel vestito sfarzoso. La sorpresa di tutti fu grande quando entrò in chiesa, accompagnata dai commenti increduli delle amiche, dal suono festoso dell’organo, dall’incedere orgoglioso del padre e dalle lacrime dei parenti. Lo sposo, che l’attendeva all’altare senza averla vista prima (tutti sanno che porta malissimo vedere la sposa il giorno delle nozze prima che entri in chiesa), rimase rapito da quella visione, ed anche il sacerdote sottrasse per qualche istante lo sguardo a paramenti e messale per ammirarla. Ma l’abito, che dall’ombra era nato, all’ombra era destinato a tornare.
Sul più bello, infatti, cioè al momento dello scambio della promessa reciproca di eterno amore, le cuciture, una dopo l’altra, cominciarono impietosamente a saltare, e l’abito cadde miseramente ai piedi dell’esterefatta sposa. Ciascuno può immaginare il resto. Le amiche se ne andarono contente del pensiero malevolo “ci doveva pur essere il trucco!” Lo sposo si sentì mancare (la sposa, invece, mancò proprio, svenne). Parenti e convitati lasciarono alla spicciolata la chiesa, increduli ed imbarazzati, mentre il sacerdote se ne uscì con un “Jesus, misericordia!” che diceva tutto. Ci aveva messo lo zampino il diavolo, perché quell’ombra era proprio il diavolo. Ed aveva messo lo zampino anche su uno dei massi del bosco, che ancora ne conserva l’impronta.
Procediamo, comunque, armati di coraggio: oltrepassata la vallaccia, passiamo dal territorio di Poggiridenti a quello di Montagna. Salendo ancora, raggiungiamo, a quota 929, un edificio isolato, nel cuore di un’ombrosa pecceta: si tratta della Casa delle Guardie (ca di guàrdia), cistruita per i guardaboschi che sorvegliavano il bosco comunale della Valle della Rogna, proprietà del comune di Poggiridenti. Essa prosegue, con tratti pianeggianti o in leggera discesa, verso il cuore della valle: possiamo seguirla fino a trovare i resti di un antico mulino (m. 925), in fase di ristrutturazione. È, invece, poco consigliabile, se non si possiede adeguata esperienza, guadare il torrente e percorrere l’orrido sentierino sul versante opposto.
Torniamo, dunque, indietro, alla Casa delle Guardie: alle sue spalle, a monte, su un abete, vediamo un cartello che indica la direzione del sentiero per le Foppe, maggengo che si trova a monte della casa, ad ovest. Appena oltre la casa c’è un casello dell’acqua e nei suoi pressi parte il sentierino, poco marcato ma sufficientemente visibile, che, dopo un tratto brevissimo verso sinistra, raggiunge un bivio, al quale dobbiamo prendere a destra. Saliamo ancora con rapidi tornantini, poi, attraversato un valloncello, pieghiamo a sinistra. Il sentiero esce dal bosco per attraversare una fascia di boscaglia (la traccia diventa assai sporca: è necessario avere braccia e gambe coperte, per evitare di vedersele segnate da sterpi e rovi), piegando a destra. Dopo un traverso a destra, piega a sinistra e conduce al limite occidentale dei prati del maggengo delle Foppe (m. 1040), dove arriva una stradina asfaltata che sale da Santa Maria Perlungo.
I prati sono bellissimi, un angolo stupendo che induce ai più miti e gentili pensieri. Sono anche il punto più alto del nostro anello, che raggiungiamo dopo circa un’ora e mezza di cammino, o poco più. Prendiamo, ora, la strada verso sinistra, scendendo alla parte bassa del maggengo, fino ad intercettare la strada che sale da Montagna, al tornante sinistrorso appena sopra la chiesa di Santa Maria Perlungo. Scendiamo, quindi, al sagrato della chiesa (m. 913), dal quale si apre un ottimo panorama sulla catena orobica e sulla media Valtellina. Nei suoi pressi è stata rinvenuta una lapide di origine nord-etrusca, o retica, ora conservata al Museo Civico di Sondrio. Non si fatica ad immaginare come lo splendido versante di mezza costa che si apre di fronte ai nostri occhi abbia potuto attrarre fin da epoche remote colonizzatori.
Dobbiamo, ora, proseguire nella discesa: per evitare di percorrere la strada asfaltata (a meno che vogliamo visitare alcuni nuclei interessantissimi nel comune di Montagna, come Ca’ Mazza, il mulino di Ca’ Mazza ed il castello di Mancatane), sfruttiamo la mulattiera che taglia la fascia di prati, intercettando in tre punti questa strada: ne troviamo la partenza proprio a valle del sagrato della chiesa. Raggiunto il tornante destrorso (per chi scende) di quota 796 (cioè intercettata per la seconda volta la strada), troviamo una cappelletta, alla quale abbiamo due possibilità per proseguire la discesa.
La prima è di cercare la ripartenza della mulattiera, con andamento sud-ovest, un po’ più avanti, intercettare per la terza volta la strada più in basso, raggiungere il tornante dx nel punto in cui si stacca da essa la via Surana e proseguire per breve tratto fino alla pista che si stacca sulla sinistra, già citata sopra: seguendola e seguendo il successivo sentiero raggiungiamo la contrada Masoncello e ci riportiamo sotto il sagrato di San Fedele.
La seconda possibilità, dalla cappelletta, è di sfruttando una mulattiera che prosegue nel bosco, prendendo, ad un bivio, a sinistra, affrontando un tratto un po’ ripido. La mulattiera termina alle spalle del nucleo centrale di case della contrada Surana, dalla quale, per via di salita, torniamo al parcheggio sotto San Fedele. In entrambi i casi l’anello si conclude dopo circa 3 ore di cammino (il dislivello approssimativo in salita è di 500 metri).