< Piazzalunga - Ardenno

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Apri qui una fotomappa dei sentieri del versante retico da Ardenno a Berbenno

Piazzalunga è il più del terrazzo panoramico sulla media Valtellina che si trovi nel territorio del comune di Ardenno: dalla frazione, a 676 metri di altezza, si domina, infatti, l’intera piana fino alle porte di Sondrio, raggiungendo con lo sguardo anche il gruppo dell’Adamello. Esso si distende per un buon tratto da ovest ad est: di qui il nome della contrada.
Il borgo, la cui esistenza è già attestata nel 1301, ebbe sempre stretti rapporti con Ardenno ed in passato fu, per la sua felice posizione climatica, assai più abitato rispetto al presente.
Fin dal medio-evo fu possesso feudale della cattedrale di Como, e da questa concessa alle famiglie dei Capitanei e dei pesci, cui subentrarono i Parravicini. "Dopo il passaggio del feudo ai Parravicini abbiamo diversi documenti (datati tra il '400 ed il '500) che ci tramandano i nomi di alcuni degli abitanti originari della contrada, fra questi un Giovanni fu Martino De Cuziis, un Ser Giovanni Del Ghilla (Parravicini) di Caspano, Motta, Segafeni, un mastro Zanolo pittore, Zanardi e Tachini." (Ardenno - Strade e contrade - a cura della cooperativa l'Involt di Sondrio). Originarie di Piazzalunga sono anche la famiglia Cavallari che scese nella contrada cui poi diede il nome ed un ramo della famiglia Mescia, stabilitosi, poi, a S. Lucio.
Ai tempi della visita pastorale di Feliciano Ninguarda, nel 1589, contava 60 fuochi, cioè 60 nuclei familiari (300-360 anime). Ma cediamo a lui la parola: "Su un lato dello stesso monte c'è Piazza Longa, con 60 famiglie, distante dalla matrice due miglia, dove c'è la chiesa dedicata a S. Abbondio". Per meglio apprezzare questo dato, si tenga presente che il nucleo centrale di Ardenno contava allora 40 famiglie, cioè i due terzi di Piazzalunga.


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Nei secoli successivi, però, la frazione subì un processo di spopolamento legato a diversi fattori, primo fra tutti le conseguenze tragiche della peste del 1630 (che ridusse a meno della metà la popolazione). Il seicento fu fortemente segnato dal fenomeno dell'emigrazione, sopratutto verso Roma; da alcuni documenti apprendiamo che in questi secolo vi si trovavano, fra gli altri, Domenico del Motto della Voltulina della terra di Piazza Longa, facchino della Dogana, Martino Pellino del q. Rimedio da Piazza Longa della Voltolina, facchino, Giovanni Fioroni di Piazza Lunga in Valle Tellina e Giuanol Martinola di Piazza Longa di Voltolina, careter, ricoverato in ospedale il 20 giugno 1615 con gabano liso, giubboncella rosetta, calzette di tela e cappello liso. (Citati da "I Valtellinesi nella Roma del Seicento", di Tony Curti, edito da Provincia di Sondrio e Banca Popolare di Sondrio nel 2000).


Media Valtellina da Piazzalunga

Nella bella monografia “Biolo e la sua gente tra le sponde dell’Adda e le rive del Tevere in 500 anni di storia”, a cura di Giulio Perotti (con ricerche di Rino Cecchetto, Giovanni da Prada e Giulio Perotti, edita a cura della Pro Loco di Biolo, in Sondrio, nel 2002), leggiamo questo contributo di Don Giovanni da Prada, che offre elementi interessanti per comprendere i profondi legami fra la comunità di Piazzalunga e San Lucio:
"I buoni contadini di Piazzalunga seppero, per decenni, aiutare la propria chiesa con il reddito d'un torchio fabbricato in comune. Una delle poche entrate sicure, nei paesi della sponda retica, era certamente quella del torchio: ad ogni spremitura, infatti, il padrone del torchio aveva diritto ad un piccolo prelievo di vino dalle vinacce. Per questo motivo, i «consorti» di San Lucio a Piazzalunga, nel dicembre del 1713 in una casa di loro
proprietà costruirono un torchio a completo beneficio della loro chiesa di Sant'Abbondio: il ricavato doveva essere devoluto «in carità ed elemosina» per la loro chiesa. Ma leggiamo l'atto notarile, rogato nella casa d'abitazione del prevosto Paravicini di Ardenno, il 7 settembre 1725, che ci spiega ogni cosa..
«Essendosi hoggi ristretti li conti della fabbrica del torchio fatto, cioè principiato nel mese di dicembre 1713 e terminato nel maggio susseguente 1714 nel luogo di San Lucio ad utilità e proprietà della veneranda chiesa di Sant'Abbondio di Piazzalunga, e desiderando gli huomini di detta terra di Piazzalunga che per istrumento da rogarsi di publico notaro venga dichiarato e solennemente manifesto esser detto torchio in proprietà di detta chiesa di Sant'Abbondio, sì perché detta chiesa abbia somministrato la maggior parte del dinaro, sì anche perché vogliono che il soprapiù si cedi e doni alla medesima a titolo di carità ossia elemosina, onde per più facilitare l'esecutione di detto instrumento da farsi come sopra, li huomini sudetti, che sono la magior parte di quelli che si ritrovano in patria, hanno deputato et deputano olia delegano li signori Lorenzo Mescia e signor Francesco Seronasco di Piazzalunga di fare detto in strumento nel modo et forma come sopra, tanto per detto torchio, quanto per la casa dove sta fabbricato...». Segue una decina di firme. Le cose funzionarono bene per circa vent'anni. Nel 1731, però, Francesco Seronasco che aveva il torchio costruito nel pianoterra di casa sua, per il disturbo autunnale dei torchiatici, ottenne, col consenso del prevosto di Ardenno, che la spremitura della propria uva (un caspio di vinacce) fosse gratuita".

Il 18 giugno del 1797 si riunì il consiglio della comunità di Ardenno: "li Cittadini abitanti nella Comunità di Ardenno Giurisdizione di Traona nella Valtellina, ad istanza del Cittadino Giuseppe Folini fu Rocco, qual Console attuale della medesima", convocati con "il consueto segno dato colla campana Maggiore della Chiesa di Ardenno, e di fatti congregati nella Sala delle case Parrocchiali", chiesero di aderire alla Repubblica Cisalpina. La comunità risultava costituita da 1133 abitanti complessivi, distribuiti nelle squadre di Ardenno, Scheneno, Pioda, Piazzalunga, Gaggio, Cavallari, Camero e Ciampini di Biolo. Erano presenti, in rappresentanza della Squadra di Piazzalunga, Giovanni Marolo fu Giacomo, Sindico, Lorenzo Romegioli, Giuseppe Romegioli, Giovanni Salini. Lorenzo Salini, Pietro Pomoli, Battista  Tognardelli, Bernardo Tognardelli, Pietro Mescia, Giacomo Fopalli, Giovanni Fopalli, Lorenzo Fopalli, Pietro Maroli, Giovanni Gianoli, Lorenzo Gianoli, Pietro Tognardelli, Pasquale Mescia, Francesco Scarinzo, Giovanni Motta, Antonio Fioroni, Pietro Fioroni e per esso il Sindico.
Il secolo successivo vide l'inizio della discesa al piano, favorita dalla bonifica operata dal governo asburgico. All'inizio dell'Ottocento gli abitanti risultano, così, ridotti ad 80, cifra comunque niente affatto trascurabile.
Si può salire a Piazzalunga in automobile percorrendo per un tratto la statale della Val Màsino, staccandosene sulla destra seguendo le indicazioni per Biolo (termine che deriva da “betulleus”, quindi da betulla) e deviando nuovamente a destra quando si giunge in vista della chiesa del paese (7 km da Ardenno).
Se, però, camminare non ci spaventa, non perdiamo l’occasione per farne una meta di una bella escursione che, anche in periodo invernale, regala soddisfazioni ed ottimi scorci panoramici.
Gli itinerari possibili sono due, ed entrambi partino da San Lucio, piccolo nucleo di case arroccate su un bellissimo poggio cui si accede dalla località Pesc, che, a sua volta, si raggiunge staccandosi dalla strada per Gaggio, sulla sinistra, poco oltre la cappella Pomoli, in contrada Cavallari. La località Pesc, nella parte alta di Ardenno, mostrava ancora, fino a qualche anno fa, i segni evidenti delle alluvioni del 1998 e del 2002: una frana sul versante dei terrazzamenti del dosso di san Lucio, la gran massa di materiale alluvionale sceso dalle valli che qui confluiscono, le grandi briglie di sbarramento e le vasche di contenimento realizzate dopo il 1998. Oggi resta, a memoria dell'evento calamitoso, un'enorme briglia in cemento.
Seguendo la strada asfaltata che la percorre, superiamo le Case Maròli e raggiungiamo, dunque, il piccolo nucleo di san Lucio (m. 491), protetto dalla bella chiesetta.

Il borgo (cfr. la bella ricerca della classe terza elementare dell'Istituto comprensivo di Ardenno, www.icardenno.it), di origine medievale, si trova a 491 metri sul livello del mare, su un poggio morenico, terrazzato a vigneti, posto a cavallo delle valli Velasca, ad est, ed Olgelli, ad ovest. È costituito oggi da una dozzina di case (edificate fra i secoli XI e XVII, in pietra del luogo e con porte in larice o castagno) e dall’omonima chiesetta. Vi si trovava un frantoio ed un forno per cuocere il pane che serviva alla piccola comunità. La sua importanza storica è legata alla presenza di un antico castello, che fu costruito dalla potente famiglia dei Capitanei, intorno alla metà del Duecento, per sostituire un’altra fortezza edificata su un poggio morenico più ad est (località che ha conservato il nome di Castello). Il nuovo castello passò poi alla più influente famiglia ardennese, quella dei Parravicini, ma di esso oggi non resta traccia, perché fu distrutto, forse solo due secoli dopo la sua edificazione. Ne parla, fra gli altri, anche don Giovanni Tuana, nel “De rebus Vallistellinae”: “Del monte a mezzo vi sono li vestigij del castello di San Lucio con una chiesa dedicata all’isteso santo, qual loco è de li medemi vescovi di Como”. Resta, invece, qualche traccia della torre di avvistamento posta poco più in basso, parte integrante di quel sistema di segnalazione che, sin dal Medio-Evo, consentiva la trasmissione di segnali, soprattutto d’allarme, lungo l’intero asse della media Valtellina (il segnale giungeva qui dal versante occidentale della Val Gerola, per poi essere probabilmente trasmesso ad Albosaggia): si tratta probabilmente della “turris ecclesiae episcopalis” attestata già nel secolo XI, come luogo fortificato presso il quale il vescovo di Como riscuoteva i diritti feudali su diverse terre di Ardenno. Oggi, guardando dal paese al poggio, non si vede più svettare l'orgoglioso simbolo del potere feudale, ma un simbolo del nuovo potere, quello dlel'energia, vale a dire un grande tralitto dell'alta tensione. Sic transit gloria mundi.
Da quel che resta si può ipotizzare che essa avesse pianta quadrata con lati di 5 metri, e fosse alta all’incirca 8 metri. Ricordo del castello resta anche nell’antico nome della contrada poco a valle del poggio, oggi nota come Cavallari, in passato chiamata anche “Contrada del Castello”: quivi abitavano, probabilmente, famiglie legate in qualche modo al castello (artigiani, stallieri, servi, soldati).


San Lucio

L'antica  chiesetta  di  S. Lucio  fu eretta   intorno  ai primi  anni  del  Cinquecento e dedicata non al più noto (in ambiente contadino) San Lucio di Cavargna, protettore dei pastori, ma a San Lucio primo Vescovo di Coira e martire (si tratta di un re dei Britanni che si convertì dal paganesimo al cristianesimo, ebbe un ruolo fondamentale nella cristianizzazione dei Reti e subì il martirio per lapidazione), particolare che può forse essere messo in relazione con l’inizio della dominazione delle Tre Leghe Grigie sui tre terzieri della Valtellina, nell’anno 1512 (Coira era, infatti, la capitale di una delle tre Leghe, quella Caddea). La chiesetta originaria fu, poi, demolita per fare spazio all’attuale, che risale alla prima metà dei Settecento ed è stata restaurata nel 1976. Essa presenta una  facciata  a  capanna, semplice nel disegno, ed un  portale con  capitello in pietra  lavorata  a  mano.
Se dalla facciata della chiesetta saliamo diritti lungo la stradella che attraversa il borgo ci ritroviamo quasi subito di fronte alla facciata del più interessante dei suoi edifici, che ha conservato in buona parte il suo aspetto medievale, con finestre alte e strette, a mo’ di feritoie, con funzione difensiva. Anche il capitello in pietra sul portale d’ingresso ne testimonia l’antichità. All’interno si trova un torchio restaurato nel 1906; nei secoli passati era possesso della chiesa di Sant’Abbondio in Piazzalunga (le due comunità sono state sempre storicamente assai legate) e chi lo utilizzava doveva lasciare ad essa la decima, cioè un decimo del vino prodotto. In passato si poteva vedere, all’esterno, una grossa pietra di forma conica con un foro centrale, usata per schiacciare noci e nocciole, dalle quali si ricavava l'olio, usato non per scopi alimentari, ma per l’illuminazione. Proseguendo nella salita, ci si immette nel primo tratto della mulattiera per Piazzalunga, appena a monte della piazzola nella quale termina la strada asfaltata che sale dai Pesc. Su una casa che resta alla nostra sinistra si vede, in discreto stato di
conservazione, il dipinto di una Madonna con Bambino, con la scritta “Per   grazia ricevuta  f.f.”: in passato si attribuiva all’intervento divino la buona conclusione di una situazione pericolosa (guarigione da malattia, incolumità dopo cadute od incidenti, e così via), e, chi poteva, si sentiva in dovere di lasciare un segno tangibile di riconoscenza al cielo). Particolare davvero curioso: un dipinto pressoché identico si trova in una delle cappellette poste sul sentiero che dalla Pioda, sopra Biolo, scende al Ponte del Baffo.
Concludiamo la presentazione del piccolo borgo riportando le note stese nel 1920 da don Giacinto Turazza (trascritte negli anni cinquanta da don Ernesto Gusmeroli):
"Di una Chiesa dedicata a S. Lucio si è trovato cenno in un contratto del 12 gennaio 1504 rogato da Gio. Battista Paravicini e scritto “nel cortivo di S. Lucio che è vicino al torchio di S. Lucio”.
Quella antica chiesa non esiste più e sullo stesso luogo sorse la attuale che deve essere stata costruita in principio del settecento; non ha nulla di notevole, ma conserva un’iscrizione lapidaria tolta alla primitiva che avverte che il titolare non è come scrisse un vivente, S. Lucio Papa, ma S. Lucio primo Vescovo di Coira, figlio di Giusto Collo e Martire. Il padre Giusto era Re dei Britanni e pagano. Ammirato dalla integrità di vita dei Cristiani, studiata la Sacra Scrittura volle essere cristiano anch’egli ricevendo il battesimo al tempo di Marco Aurelio e del Papa S. Eleuterio. Rinunciato al trono e alle ricchezze peregrinò con animo di apostolo, venne nella Rezia, si fermò a Coira, dove edificò con l’esempio e la parola; fu Vescovo di quella regione per molto tempo, ma sorpreso e lapidato dai pagani morì martire di Cristo (dal properio della Diocesi di Coira)
".
Il Turazza ipotizza che nel borgo sorgesse in antico anche un'altra chiesetta, dedicata a San Leonardo: "Di questa chiesa parlano le tante volte citate e preziose note del Vescovo Ninguarda, il quale dice che entro i confini parrocchiali di Ardenno si trovano due chiese alpestri, l’una in onore di S. Leonardo, l’altra di S. Lucio vescovo. Notizia un po’ più precisa ne dà il Prevosto don Luigi Della Torre in una sua supplica del 2 gennaio 1611 per ottenere licenza dal Vescovo di muovere intero l’altare consacrato e di ridurlo conforme al decreto della Visita e corrobora la sua domanda con questi cenni: “Trovandosi sopra collina una chiesa dedicata a S. Leonardo di grande devozione del popolo perché è consacrata e perché anticamente [vi sono stati] sepolti molti morti, come anni avanti se ne sono ritrovati. Non si può in essa celebrare per aver l’altare consacrato piccolissimo et sotto la detta chiesa due stanze non abitate e quella sotto l’altare è stata da poco comperata per la detta chiesa. A l’altra appena si potrà”.
Con queste indicazioni sono salito due volte in collina e in monte e pazientemente cercai qualche indizio, qualche avanzo almeno per accertare la località, ma inutilmente, come senza frutto interrogai in proposito il vecchio Scarinzi ed altri anziani del paese. Tuttavia tenuto conto di tutti i particolari riferiti, e più ancora dall’aver trovato delle immagini sacre antiche frescate nel locale sovrastante al torchio detto di S. Lucio, vorrei persuadermi che quella fosse la consacrata chiesa di S. Leonardo eremita anche perché esistono ancora i dentelli della volta che sosteneva detta chiesa sopra le due stanze indicate dal Della Torre.
"
Ma torniamo al nostro cammino. Appena sotto il punto di partenza della larga mulattiera per Piazzalunga parte anche un sentiero, con andamento inizialmente pianeggiante (i lavori iniziati nel 2009 ne hanno però cancellata la prima parte, sostituita da una pista con fondo in terra battuta), che conduce ad un grazioso ponticello in legno, taglia il fianco della bassa montagna, fra selve e vigne, raggiunge il cincèt (cappelletta, nel dialetto locale) del Mùt o della Madonna del Rosario, eretto nel 1840 da Pomòli Pietro, e, a breve distanza, l’isolato rudere della Ca' Bianca (o Casa Bruciata). Oltrepassato il rudere, che rimane alla nostra destra, si trova un ponticello che permette di scavalcare le condutture che dal bacino idroelettrico di Lotto scendono alla sottostante centrale di Ardenno. Oltre il ponticello, il sentiero prosegue, fino ad un secondo cincèt, detto "de la Mort" (perchè vi è dipinta una deposizione di Cristo dalla croce) o "de Fund", dove svolta decisamente a destra, proseguendo per Piazzalunga.
Qui dobbiamo ignorare un sentierino che si stacca, sulla sinistra, e conduce a Biolo: continuiamo a seguire il sentiero principale, effettando una svolta a destra, poi una seconda a sinistra, e salendo decisamente verso i prati più bassi di Piazzalunga. Raggiunto un terzo cincèt, detto di gianöö (dei Gianoli, dalla famiglia che l'ha costruito) o della Crocifissione, il sentiero piega a destra e raggiunge le case più basse della frazione.
Vediamo, ora, il secondo itinerario per raggiungere Piazzalunga. Se, da San Lucio, invece di imboccare il sentierino, seguiamo la mulattiera, dopo un severo strappo iniziale, incontriamo la cappelletta del crocifisso. Anche questo cincet è legato ad una storia che ha un risvolto edificante. Ne è protagonista una tale, soprannominata "la Peveta", appassionata amante del ballo. Costei si trovò a passare per questo cincet mentre scendeva da Biolo per recarsi a Gaggio, per partecipare ad una serata danzante. Nell'immaginario religioso tradizionale, però, il ballo è parente prossimo della tentazione e del peccato. La giovane donna, infatti, non se ne scendeva da Piazzalunga sola, ma era
accompagnata da due avvenenti giovanotti. Ma, proprio transitando davanti alla figura del Cristo sofferente sulla croce, ebbe come un sussulto nella coscienza, comprese la leggerezza del suo comportamento e se ne pentì. Chiese, quindi, ai due di attendenderla un attimo e si inoltrò nella vicina selva, a monte del cincet, nascondendosi nell'incavo di un grande castagno. I due la attesero invano, ed alla fine, scrollando le spalle, proseguirono soli. La donna, invece, tornò sui suoi passi, ripromettendosi, per il futuro, di tenere un comportamento più prudente ed assennato.
Pensando agli scrupoli della Pevéta, proseguiamo sulla mulattiera, superando una piccola forra sulla val Olgello, sul cui ciglio la cappelletta è posta. Inizia un tratto assai ripido. La mulattiera, con fondo buono, presenta, in alcuni tratti, qualche resduo segno delle eccezionali precipitazioni del novembre 2002, che hanno interessato soprattutto le vallecole Scalini ed Olgello. Proseguendo sulla comoda ma ripida mulattiera (il già ditato don Turazza afferma che mette a dura prova anche i muli), attraversiamo una seconda vallecola, proseguendo sempre con andamento diretto e ripido. La mulattiera, che mantiene una pendenza sempre piuttosto severa, termina sul limite orientale dell’abitato di Piazzalunga (m. 672), dopo aver oltrepassato una seconda cappelletta, detta “de la pòsa”, ed aver attraversato, grazie ad un ponte in cemento, le tubature che convogliano l’acqua del bacino di Lotto nella sottostante centrale. Il cincet "de la Posa" era denominato così perché qui si fermavano a riposare, ed a chiedere con una preghiera l'intercessione della Madonna del Carmine, coloro che salivano a Piazzalunga gravati del peso del carico che portavano.
Da San Lucio a Piazzalunga il dislivello è di circa duecento metri, ed il tempo necessario è compreso fra i 30 ed i 45 minuti. Ovviamente i due percorsi possono essere combinati ad anello.
Se, invece di dirigerci verso ovest, in direzione del centro del paese, ci dirigiamo ad est, cioè a destra, troviamo quel che resta di un'antichissima chiesetta (la Gesa Vegia), vale a dire tre pareti coperte da una tettoia. Vi si può osservare un affresco quattrocentesco che raffigura la Crocifissione.
Raggiunto il centro del paese, possiamo riposarci sul sagrato della bella chiesetta secentesca di sant’Abbondio: pochi metri oltre, ecco la strada che sale da Biolo e prosegue verso Lotto (per questa strada asfaltata si può salire da Ardenno a Piazzalunga in automobile o mountain-bike, percorrendo 7 km). Se guardiamo più in basso, non mancheremo di notare il bel lavatoio coperto. La conca che ospita Piazzalunga si stempera, a monte, in un dolce declivio, che ospita prati e piccole selve, in una cornice caratterizzata da una forte aura bucolica.
Sostiamo, ora, nei pressi del sagrato di Sant'Abbondio ed ascoltiamo quanto ci riferisce il già citato don Giacinto Turazza:
"Facciamo pochi passi verso ovest e in mezzo ad un buon gruppo di case (nel Cinquecento contava già 60 fuochi) troviamo la chiesa che conserva il titolo di S. Abbondio conservato dall’antica Chiesa. Quando sia stata costruita non si sa; è ampia, ad una navata sola, ha il presbiterio rettangolare e la volta a botte, mentre il corpo della chiesa ha due volte a crociera cui è interposto un arco a tutto sesto acuto.
La balaustra barocca di marmo nero con fregi a riporto e l’altare maggiore è arricchito da una grandiosa tela rappresentate la Crocifissione opera di grande pregio artistico; ed anche i due altari laterali hanno valore per la rispettiva Icona. Questa chiesa di Piazzalunga è coadiutorale alla Prevostura di Ardenno ed abitualmente ha il cappellano che risiede in luogo e
gode di una certa rendita assegnatagli dagli Uomini di Piazzalunga; ma come fosse assicurata questa rendita non risulta poiché non vi sono documenti. Tuttavia per la storia non si può non ricordare un istrumento rogato a Roma dal notaio Giov. Battista Palombo i 14 gennaio 1770, dal quale risulta che gli uomini di Piazzalunga dimoranti in Roma si oppongono alla vendita di alcuni beni che dichiarano essere propri della Chiesa e destinati alla officiatura della Chiesa di Piazzalunga. Inoltre, questi uomini, cioè Antonio Fopalli, Antonio Fioroni, Tomaso Fioroni, Pietro Tinelli, Pietro Foppalli, Pietro Gianoli, Mescia Lorenzo, Pietro Fioroni, Lorenzo Salini, Pasquale Fioroni e Romegioli Lorenzo, ai quali si aggiunse alla stessa protesta il sig. Mescia Antonio allora infermo nell’arciospedale di S. Spirito, dichiararono che se fossero ceduti ai privati quei beni non avrebbero più mandato la solita cassetta né denaro alcuno per la medesima chiesa.
Questa è una novella prova dell’amore dei Valtellinesi emigrati alle loro particolari chiese; ma di quei beni sopraccennati e di altri provvedimenti del caso non resta ora memoria o quanto meno non è conosciuta
."
Vediamo, ora, come ridiscendere al piano. Se vogliamo tornare effettuando un piccolo anello, scendiamo lungo la strada a Biolo e, invece di dirigerci verso la chiesa, proseguiamo la discesa sulla sinistra, fino a trovare, ad un tornante, il sentierino che effettua la traversata fino al cincèt sopra la casa bianca. Qui ci immettiamo nel sentiero che, percorso con le avvertenze sopra ricordate, ci riporta a san Lucio.
Piazzalunga è punto di partenza per una bella camminata che conduce versante montuoso che sovrasta Gaggio. Per effettuarla, torniamo al limite orientale del paese e, invece di scendere verso il ponte in cemento, proseguiamo in piano verso un secondo ponte, posto poco più in alto rispetto al primo, in un bel pianoro erboso. Ignorata una deviazione a sinistra, attraversiamolo, imboccando subito dopo una pista tagliafuoco, tracciata dopo gli eventi alluvionali del 1998. La pista entra nel bosco e si dirige verso nord est, superando le vallecole Scalini e Olgello e regalando alcuni scorci suggestivi sulla piana di Ardenno e della Selvetta, in uno scenario, che, però, reca i segni desolanti dell’incendio del 1998.
Da questa pista (che prima era sentiero) ci si poteva, prima dell’incendio, staccare e salire, sfruttando alcuni bei sentierini, al margine orientale dei prati di Lotto; ora incendio e smottamenti hanno reso molto problematica questa salita.
Ma torniamo alla nostra pista, che, dopo aver percorso un buon tratto, raggiunge un tornante sinistrorso, dal quale si stacca, sulla destra, un sentierino insidiato dalla boscaglia, che taglia il fianco montuoso, dominato dal caos delle ginestre, in direzione della località san Rocco, sopra Gaggio. Dobbiamo superare, con molta attenzione, un valloncello, con un passaggio un po' esposto, prima di raggiungere, alla fine, una breve pista, che sale rapidamente alla strada che da Gaggio conduce ad Erbolo: la intercettiamo ad un tornante destrorso poco sopra la località di san Rocco (m. 841).
Lo scenario torna a farsi gentile e la strada, dopo qualche tornante, conduce alle baite di Èrbolo (m. 1174). Se abbiamo una buona gamba, possiamo raggiungere il maggengo, imboccare, alle spalle delle baite più alte, il sentiero che, scendendo gradualmente verso sud-ovest (sinistra), porta ad una pista incompiuta che poi scende ai prati di Lotto e, raggiunti questi ultimi, tornare, utilizzando la strada asfaltata, a Piazzalunga. Teniamo però presente che la vegetazione disordinata prodotta dall'incendio già citato tende ad invadere molti tratti di questo sentiero, rendendone alquanto difficile percorrerlo: esso andrebbe ripulito ogni tre-quattro anni.
Se ci troviamo a Piazzalunga e vogliamo effettuare una rilassante passeggiata, procediamo così: appena sotto il primo tornante sx (per chi sale) della strada asfaltata Biolo-Piazzalunga si trova, sulla destra, un bel lavatoio coperto; sulla sua destra (ovest) parte un sentiero, ben marcato, che scende tagliando la fascia di orti a valle rispetto al tracciato della strada citata.

Salutiamo un bel noce poco a monte del sentiero (un tempo questi alberi erano maggiormente curati e diffusi, perché da essi si traeva olio prezioso per le lampade) ed anche il muraglione della strada asfaltata, che ben presto scompare (mentre resta il bel muretto a secco che difende, sul lato destro, il sentiero). Siamo, in pochi minuti, interamente immersi in uno scenario che reca poche tracce della presente epoca e dei suoi manufatti: solo, sulla sinistra, qualche orto, qualche recinzione, frutto di un lavoro che non può abbandonare questi fazzoletti di terra in posizione così felice rispetto ad un sole che sembra blandirli posandovi sopra il suo benevolo sguardo. Un piccolo appezzamento, in particolare, accuratamente recintato, mostra, sul limite inferiore, un modesto promontorio che, visto da qui, sembra insignificante: vedremo, invece, passando a valle, che si tratta di un luogo dal significato magico.


Panorama da Piazzalunga

Intanto il sentiero, fattosi un po’ più sicuro da timido ed incerto che era, oltrepassa una breve macchia di castagni ed esce di nuovo all’aperto, concludendo la sua discesa presso il cincètt (o ciancètt) de san giüsèp, cioè di San Giuseppe, dove confluisce nel sentiero che da Biolo attraversa alla Ca’ Bianca ed al Mutàl. Un cincètt non è solo una piccola costruzione sacra, ma è un luogo, di riposo, meditazione e conforto, e, di più, è memoria, in genere di interventi della grazia divina per i quali si sente l’acuto bisogno di riconoscenza. Questo cincètt fu edificato nel 1880 dalla famiglia Prandini e restaurato nel 1992 dal pittore Rino Cecchetto su commissione di Felice Prandini. Vi sono raffigurati una Madonna con bambino e San Giuseppe. Un tempo giungeva fin qui una solenne processione nella festa di San Giuseppe (19 marzo), nella quale si chiedeva alla divina provvidenza una primavera clemente e propizia ai raccolti (le gelate primaverili, insieme ai lunghi e freddi inverni senza neve ed agli autunni eccezionalmente piovosi, erano le calamità più temute dai contadini nella cui scarna economia di sussistenza un raccolto andato a male poteva significare precipitare da un tenore di vita modesto alla fame). Sulla sua facciata leggiamo: “Chi dal sentiero passerà S. Giuseppe li proteggerà”, un simpatico anacoluto che ci ricorda come la funzione dei cincètt non fosse solo quella di invitare alla sosta ed alla preghiera, ma anche quella di rassicurare e proteggere contadini e viandanti.
Se, ora, prendiamo a destra torniamo in breve all’inizio della Strada dei Giardini; ci conviene, però, prendere a sinistra (est-nord-est), incamminandoci lungo il sentiero che da Biolo porta alla Ca’ Bianca (si tratta del ramo occidentale della strada vicinale del Mottallo di cui abbiamo già percorso la metà orientale). Anche questo tratto è denso di fascino, colori e profumi: attraversiamo, infatti, una fascia di vigneti e baitelli (chiamati “invòlt”) in parte, purtroppo, abbandonati. Nel primo tratto, che procede quasi in piano, prestiamo attenzione al versante alla nostra sinistra: dopo alcune vigne vedremo ben presto, oltre il muretto a secco, una fascia molto larga di rovi (“ruidée”), che offre uno spettacolo impressionante e caotico. Appena sopra la fascia, qualche decina di metri più in alto rispetto al sentiero, appare una formazione davvero singolare: un enorme masso erratico che, d’inverno, dal piano si distingue bene (lo individuiamo, guardando dalla zona occidentale del paese, del cimitero e del Masino, più in basso ed a sinistra di Piazzalunga). Si tratta del masso di cui abbiamo visto la sommità, colonizzata da erba ed arbusti, scendendo da Piazzalunga. Visto da qui, mostra un aspetto completamente diverso: si tratta di una parete regolare di roccia, severa e verticale. Ha davvero qualcosa di arcano, e i rovi che ci impediscono di avvicinarlo aumentano il mistero. Forse è il “càmer” di Ardenno (in molti paesi si chiama così il più grande masso erratico presente su un territorio), sicuramente non ha rivali fra i massi erratici del ripido versante retico che sovrasta il paese. Osserviamolo, dunque, con occhio curioso ma rispettoso: non sappiamo quale recondito significato rivesta la sua presenza a mezza costa, in questa fascia cui il sole volentieri sorride. Poi cominciamo a scendere, entrando in una selva. Non più vigneti, a monte ed a valle, ma un versante ripido e selvaggio, di cui solo il bosco mitiga un po’ l’aspetto orrido.
Alla fine, superato un canalino in cemento, ci congiungiamo alla mulattiera per Piazzalunga, nel punto in cui questa volge a destra (per chi sale) ed in corrispondenza di un nuovo cincètt, detto de la Mort o de Fund. Il riferimento alla morte rimanda al dipinto che raffigura la classica scena della pietà: il Cristo morto, deposto dalla croce, è nelle braccia di Maria, dipinta qui con uno sguardo di rara intensità dolente. Alla sua destra San Rocco, protettore degli appestati, uno dei santi più venerati nei paesi di Valtellina, soprattutto dopo le due terribili epidemie del 1629-31 e 1935-36. Se proseguiamo nella discesa giungiamo in breve alla Ca’ Bianca e ripercorriamo a ritroso il primo tratto della camminata; meglio, però, affrontare una dose di fatica aggiuntiva per rendere più completa l’escursione.
E allora prendiamo a sinistra, salendo verso Piazzalunga. La mulattiera propone quasi subito un tornante sx e ci porta a scavalcare di nuovo il canalino in cemento, prima di uscire dalla selva di castagni e di condurci al già citato cincètt della crocifissione. Anche qui, una storia ed una memoria. Nel 1892 il cincètt venne edificato da Martino Gianoli e Giuseppe Gianoli Genero per ringraziare il Cielo del miracoloso intervento in soccorso della figlia e moglie. Costei scendeva alle vigne da Piazzalunga portando sulle spalle una brenta con cinquanta litri di acqua da spruzzare per scongiurare attacchi di parassiti (quegli attacchi che meno di quarant’anni, a metà degli anni cinquanta dell’ottocento, prima avevano annientato i vitigni dell’intera Valtellina). Un attimo di distrazione, forse, un piede messo male, e, senza quasi accorgersene, si ritrovò per terra. Aspettava una bambina, la gravidanza era avanzata, ma, per grazia divina, non solo non lo perse, ma non rovesciò neppure una goccia dell’acqua per la vigna. Martino Gianoli, allora, scese ad Ardenno, per chiedere al parroco una qualche immagine sacra da porre nella cappelletta (non aveva mezzi sufficienti, infatti, per acquistarla). Questi, che stava restaurando la chiesa, gli regalò un crocifisso in legno, che il Gianoli si portò via in un sacco, riponendolo, senza dir nulla ad alcuno, fra il fieno del solaio, in attesa di portare a termine la cappelletta. Vi salì, qualche giorno dopo, la moglie Domenica, e notò il sacco: non dovette faticare molto in lei la curiosità ad averla vinta, e vi guardò, dunque, dentro. Pensava di trovarvi qualche attrezzo, salsiccia, pagnotta, ma quando vide il volto barbuto, scavato e sofferente del Cristo cacciò quasi un urlo per lo spavento. Quando la storia si seppe in giro, tutti ne risero, ma, terminata l’edificazione del cincètt, ammirarono la devozione della famiglia. La figlia nata dalla madre caduta crebbe e conobbe la storia ad esso legata; volle, dunque, anche lei esprimere la sua gratitudine, e vi aggiunse un quadretto che raffigurava una Madonna con Bambino.
Proseguiamo salendo diritti: superata una fascia di alberi di noce, siamo alle case del lato orientale di Piazzalunga. Di nuovo a Piazzalunga, dunque; ora, però, ne visitiamo la parte orientale. Prendendo, dunque, a destra saliamo ad intercettare l’ultimo tratto della mulattiera San Lucio-Piazzalunga. Saliamo, ora, per breve tratto verso sinistra, fino al trattuto che da Piazzalunga si porta ad una fascia panoramica di prati. Percorrendolo, per breve tratto, verso sinistra ci portiamo ad un rustico che rappresenta quel che resta della già citata “gésa vègia”, di origine assai antica: vi sono stati scoperti, infatti, affreschi quattrocenteschi, che possiamo ancora vedere, e che rappresentano un Cristo Crocifisso, alla cui destra si distinguono San Lorenzo e San’Abbondio (di nuovo, il legame con la chiesa plebana e parrocchiale e quello con la Diocesi di Como).

La bella camminata si conclude, dunque, dopo circa un'ora.
Cediamo, sostando, la parola al già citato don Giacinto Turazza, il quale ci riporta queste notizie raccontando un'ipotetica salita da San Lucio a Piazzaluna: "In realtà anche la zona di S. Lucio fa parte della frazione di Piazzalunga. Prima ancora di toccare il caseggiato, troviamo un avanzo di un’antica Cappella, detta anche adesso la Giesa vecchia, della quale è conservato, finché durerà all’ingiuria del tempo e delle intemperie, soltanto quella parte che si potrebbe chiamare presbiterio. Il muro dorsale, cui altra volta era appoggiato l’altare e i due muri laterali sono chiusi da cancelletto di legno, il quale per evidente economia non è assicurato né da catenaccio, né da chiave. Gli accennati muri sono tutti frescati con buona arte quattrocentesca, come indicano l’insieme dei dipinti e una riga di scrittura di cui sono ancora visibili gli apici del gotico e che forse dicevano il loro tempo ed il nome dell’artista. Nel centro è figurata la Crocifissione con quattro angeli  in lato, a destra della Croce sta S. Lorenzo M. a sinistra S. Abbondio V. ed in basso sotto questo trittico altre figure. Sul muro laterale a destra del riguardante sono ancora visibili S. Giovanni Battista e S. Giuseppe e seduta in cattedra Maria SS. che regge sul ginocchio destro il bambino in piedi. Sul muro di sinistra è rappresentata l’Ultima Cena, ma dell’episodio evangelico restano solo la figura di Gesù seduto e la testa di S. Giovanni Evangelista. Non sarebbe almeno doveroso trasportare o almeno ritrarre quelle immagini prima che cadano i pericolanti muri e vada perduta la memoria cara dell’antica primiera Cappella?" Beh, almeno l'auspicio che i dipinti siano ritratti oggi ha trovato la sua realizzazione con i mezzi della moderna tecnologia.
Ma torniamo alla pista che parte dal limite orientale dei prati di Piazzalunga: essa conduce fino al limite orientale dei Prati di Lotto, e può quindi essere sfruttata per un interessante anello di mountain-bike con partenza ed arrivo a Piazzalunga: dal paesino, infatti, si può salire a Lotto seguendo la strada asfaltata che conduce al bacino idroelettrico, lasciandolo a sinistra e proseguendo vesod estra, fino a trovare l'imbocco della pista che ci riporta a Piazzalunga.
Vale la pena di segnalare, in chiusura, che Piazzalunga può diventare punto di passaggio di un secondo bell'anello di mountain-bike, questa volta con partenza ed arrivo ad Ardenno. Se, infatti, la raggiungiamo sfruttando la statale della Val Màsino e passando per Biolo, possiamo poi tornare ad Ardenno scendendo lungo la mulattiera che parte sul limute orientale dell'abitato di Piazzalunga e scende a san Lucio. Prima dell'alluvione del novembre 2002 la si poteva percorrere interamente, anche se a freni tirati, mentre ora in diversi punti si deve condurre a mano, con prudenza, la bicicletta.
Ovviamente, i due anelli si possono sommare: da Ardenno, si percorre la ex strada statale della
Val Masino, per staccarsene, sulla destra, poco prima del Ponte del Batto, e salire a Biolo e Piazzalunga, proseguendo poi per Lotto. Da Lotto si ridiscende a Piazzalunga per la recente pista sterrata, proseguendo nella discesa fino ad Ardenno sulla mulattiera che conduce a San Lucio, nella parte alta del paese.
Se, infine, ciò che ci interessa è una semplice passeggiata, i bellissimi boschi di castagni a monte del paese ci offriranno una cornice di grande suggestione. Percorrendoli, seguendo il filo di qualche sentierino, immaginiamo lo scenario della triste sorte dell'ultima strega di Valtellina.
Sì, perché, come racconta un'antica leggenda, l'ultima strega di Valtellina, nel Settecento, morì proprio in questi boschi. Era una vecchia che dimorava in Piazzalunga. Non pareva particolarmente pericolosa, ma incuteva ugualmente timore per il suo aspetto emaciato e trasandato: era pallida, magrissima, con i capelli lunghi, sporchi e scarmigliati ed uno sguardo perso in chissà quali visioni. Viveva sola, campando di elemosina, e vendendo, a coloro che, in segreto, le acquistavano, certe erbe prodigiose, che, diceva, potevano conquistare amori, guarire malattie, ma anche suscitarle. A chi li chiedeva, formulava anche oroscopi, leggeva la mano, prediceva il futuro. Tutte cose severamente condannate dalla Chiesa. Ed in chiesa non metteva piede, in tempi nei quali l'assenza alla messa domenicale era segno di particolare empietà.
Per tutti questi motivi, alla fine, fu scomunicata dal parroco. Da allora, temendo il peggio, lasciò il paese, si ritirò nei boschi vicini, non si sa bene dove, e lì fu trovata, morta nella più triste solitudine. Con lei moriva la cupa stagione delle streghe in Valtellina. Ancora oggi il vento, nelle fredde giornate invernali o nelle ventose giornate primaverili, sembra portare il lamento della sua angoscia e la voce della sua maledizione.

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