ALTRE ESCURSIONI A POGGIRIDENTI - CARTA DEL PERCORSO

Punti di partenza ed arrivo
Tempo necessario
Dislivello in altezza
in m.
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti)
Poggiridenti-Surana-Casa delle Guardie-Foppe-Valle della Rogna-Prasomaso-Piedo-Tresivio-Poggiridenti
4 h e 30 min.
680
E
SINTESI. Portiamoci con l'automobile al parcheggio sotto la chiesa di Poggiridenti ed incamminiamoci sulla strada che sale a monte della chiesa, ignorando, ad un tornante sx, una deviazione a destra. Dopo una sequenza dx-sx-dx-sx (procedendo sulla strada o su un tratturo che procede per via più diretta, tagliando la strada) saliamo alla contada Surana. Qui lasciamo la strada e prendiamo a destra, su pista che passa per la contrada Pizzatti e passa a monte dei prati di Scens, diventando mulettiera ce entra nel bosco e procede verso nord sul fianco occidentale della Valle della Rogna, fino alla baita isolata di quota 929 (Casa delle Guardie). Alle sue spalle parte un sentierino che sale alle Foppe (m. 1040), dove, su una carozzabile, scendiamo a Santa Maria Perlungo. Saliamo sulla strada per l'alpe Mara, al primo tornante dx ignoriamo la deviaizone sulla sinistra ed al successivo sx lasciamo la strada imboccando una pista. Seguendo le indicazioni per il Sentiero del Sole ad un tornante sx lasciamo la pista imboccando il sentiero che se ne stacca sulla destra e taglia l'aspro fianco occidentale della Valle della Rogna, fino al ponticello di quota 1231. Sul lato opposto della valle il sentierino sale per un tratto ripido, poi inizia a traversare nel bosco fino a Prasomaso. Scendiamo per la carozzabile Tresivio-Prasomaso-Boirolo e, al tornante sx sotto la facciata del Sanatorio la lasciamo per scendere a destra su sentiero che porta ai Gaggi. Da qui pieghiamo a sinistra s scendiamo diretti verso sud per il ripido sentiero, che più in basso piega a sinistra ed esce dal bosco alla contrada Piedo sopra Tresivio. Seguendo di nuovo la strada dopo un tornante dx, al successivo sx la lasciamo rendendo la strada che va a destra, scavalca su un ponte il torrente Rogna e riporta a Poggiridenti, appena sopra la chiesa. Dopo breve discesa siamo al parcheggio dove abbiamo lasciato l'automobile.


Poggiridenti

Valle della Rogna (val de rùgna): non sembra una denominazione beneaugurate. Il termine “Rogna” evoca una brutta malattia della pelle, la cattiva fortuna, la preoccupazione, la bega, niente di buono, insomma, anche se, forse, il termine deriva da un particolare muschio che attecchisce sul legno. La valle, che separa il territorio dei comuni di Poggiridenti e, più in alto, Montagna in Valtellina, ad ovest, e di Tresivio, ad est, è percorsa dall’omonimo torrente, che nasce dai laghetti di Rogneda (laghèt de rugnéda), nell’ampia conca dell’alpeggio omonimo, a monte di Tresivio. Scendendo al versante di media montagna, raccoglie alcuni corsi d’acqua secondari (il più importante è quello della valle del Solco) ad una quota approssimativamente compresa fra i 1200 ed i 1100 metri. Oltre il terrazzo che ospita i nuclei di Poggiridenti e Tresivio, la valle si restringe ed il torrente si precipita sul fondovalle scavando alcune belle marmitte dei giganti (culderòn) e dando origine ad una cascata (el pìsul).
Il rapporto fra la comunità di Poggiridenti ed il torrente è sempre stato ambivalente. Essa ha dovuto, più volte, subire le sue ire, nella recente alluvione della Valtellina del 1987 come nella rovinosa alluvione del 1911, che colpì anch’essa l’intera Valtellina ma infierì particolarmente nel comune. Altre ve ne furono, in passato: si ricordano, in particolare, quella del 1558 e quella del 25 luglio 1699, che, secondo un documento dell’epoca, portò “ruina…nella maggior parte di quelli [beni] situati nel… Comune di Montagna dal fiume Davaglione in qua, sin al fiume della Rogna, dalla cima della montagna sino al Piano, come si può vedere, e come è notorio a tutti”. D’altra parte, però, sta l’antico e prezioso legame che ha sempre unito la Valle della Rogna alla comunità contadina: sul suo versante, infatti, si è raccolta per secoli legna da ardere, si è fatto pascolare il bestiame minuto, si sono raccolte le foglie per lo strame, si sono costruiti i preziosi mulini.
Viene qui proposto un anello escursionistico poco noto, ma assai interessante, che ci porta proprio nel cuore delle dense ombre e dei forti umori della valle, attraversandola da ovest ad est, con punto di partenza e di arrivo nel centro di Poggiridenti.
Dobbiamo portarci con l’automobile al parcheggio sotto il muraglione della chiesa di San Fedele. Il modo più semplice per farlo è di salire dalla frazione Colda di Sondrio seguendo la panoramica dei Castelli e passando per Montagna in Valtellina. Possiamo, però, anche sfruttare la già citata via Inferno, passando per la chiesa del piano. Seguiamo, per un tratto, la via San Fedele, che svolta a destra e raggiunge la contrada del Torresello (turesèl), passando a monte della chiesa di San Fedele. Il nome della contrada è legato alla  quattrocentesca torre che vediamo a destra della strada, che appartenne ai da Pendolasco prima, ai Sermondi ed ai Venosta poi, per passare, dal 1646, alla parrocchia di San Fedele. All’inizio del Novecento fu, infine, acquistata dal comune ed utilizzata come sede della scuola elementare.
Sul lato opposto della strada si trova l’albergo S. Fedele; appena oltre parte, sulla sinistra, una viottola in risc che sale diritta fra le case della contrada: si tratta della via Torricello (risc dal turesèl), che si congiunge, più in alto, con la via Dosso, la strada asfaltata che sale verso la contrada più alta di Poggiridenti, Surana. Il risc prosegue sul lato opposto della strada, intercettandola di nuovo poco più in alto. Riprende, ancora, sul lato opposto, assumendo la direzione nord-ovest e lasciando alla propria destra la contrada Al Dosso (el dòs). Si tratta del risc da süràna, che effettua uno splendido traverso che passa alto sulla fascia dei preziosi vigneti ai quali hanno sudato generazioni di pazienti contadini. Il traverso ci porta ad intercettare per la terza volta la strada asfaltata (via Surana – strada da süràna), che percorriamo per un breve tratto, fino ad un tornante destrorso, al quale si stacca sulla sinistra la via Campelina. Poco oltre, il risc riprende, sempre con andamento nord-ovest, fino alla ca’ Ranìn, sulla cui facciata vediamo un dipinto che rappresenta la Madonna con Bambino che guarda alle anime del purgatorio, circondata da S. Giuseppe e S. Antonio da Padova.
Siamo ormai alle porte di Surana: ne raggiungiamo il nucleo centrale, posto a 680 metri, procedendo per breve tratto sulla strada asfaltata. Ci accoglie il bel lavatoio, denominato funtàna de la belùta. Le case del nucleo centrale si trovano a monte della strada. Si tratta di uno dei tre nuclei storici di Pendolasco, ed anticamente la via centrale era chiusa sui lati da portoni che permettevano di isolare le case difendendole da minacce esterne. Una visita alle antiche baite ci permette di respirarne la straordinaria atmosfera sospesa: qui gli umori dell’antica civiltà contadina non sono ancora interamente svaporati, ma aleggiano ancora fra le mute pietre.
Ora, non proseguiamo sulla via Surana fino alla strada Montagna-Santa Maria Perlungo, ma la lasciamo la via Surana, poco oltre la fontana-lavatoio, prendendo a destra e percorrendo la strada che attraversa le case rurali. La strada porta ad uno slargo-parcheggio, in corrispondenza delle baite della contrada Pizzatti (ca pizàt, m. 694) e lascia il posto ad una pista sterrata, che prosegue in direzione est-nord-est, passando a monte dei bei prati di Scéns (el scéns), l’unico maggengo nel territorio di Poggiridenti, con una baita isolata che guarda al versante opposto della Valle della Rogna e, ad est e sud-est, al gruppo dell’Adamello ed al settore delle Orobie orientali.
Dopo un cartello con divieto di accesso per strada non collaudata, la pista termina e lascia il posto ad una larga mulattiera, con fondo in risc (strada dal val de rùgna), che si addentra nel bosco di mezza montagna del versante occidentale della Valle della Rogna. La mulattiera piega a sinistra, assumendo l’andamento nord ed attraversando una valletta laterale che confluisce, più in basso, nella Valle della Rogna. Si tratta della Vallaccia (valàscia), che coincide probabilmente con la valle dell’Orco nominata in documenti quattrocenteschi (“ad valem del orcho”), denominazione che, peraltro, si riferiva sia alla valle che ai prati vicini. Se aggiungiamo a ciò che i boschi a valle della mulattiera sono chiamati böc del bàu, cioè buco del diavolo, il gentile quadretto è davvero completo. Non stupisce apprendere che una leggenda colloca proprio sul versante scosceso a valle della mulattiera un buco dell’orco. Nella grotta, si racconta, viveva, un tempo, un orco crudele, che, di quando in quando, lasciava l’ombrosa valle per scendere al paese e rapire, approfittando delle ombre della sera, qualche malcapitato viandante (i bambini disobbedienti che si attardavano nelle strade del paese erano le sue prede preferite). Il poveretto veniva portato nella grotta e gli toccava l’orribile sorte di fare da pasto al repellente essere.
La gente era terrorizzata, ed alla fine ci si decise a perlustrare l’aspro fianco del monte per trovare la tana dell’orco e farla finita con quella minaccia. L’unione fa non solo la forza, ma anche il coraggio, e la ricerca fu condotta con la massima accuratezza. La grotta, infine, venne trovata, mentre l’orco no, di lui non si seppe più nulla. Cosa ancor più strana, nell’antro vennero trovate anche monete false, per cui si diffuse la voce che in realtà essa fosse il covo di una banda di falsari, che coniava le monete utilizzando il rame di alcune “culdere” rubate nottetempo in paese.

Scens

Procediamo, comunque, armati di coraggio: oltrepassata la vallaccia, passiamo dal territorio di Poggiridenti a quello di Montagna. Salendo ancora, raggiungiamo, a quota 929, un edificio isolato, nel cuore di un’ombrosa pecceta: si tratta della Casa delle Guardie (ca di guàrdia), costruita per ospitare i guardaboschi che vigilavano sul bosco comunale della Valle della Rogna, proprietà del comune di Poggiridenti. Essa prosegue, con tratti pianeggianti o in leggera discesa, verso il cuore della valle: possiamo seguirla fino a trovare i resti di un antico mulino (m. 925), in fase di ristrutturazione. È, invece, poco consigliabile, se non si possiede adeguata esperienza, guadare il torrente e percorrere l’orrido sentierino sul versante opposto.
Torniamo, dunque, indietro, alla Casa delle Guardie: alle sue spalle, a monte, su un abete, vediamo un cartello che indica la direzione del sentiero per le Foppe, maggengo che si trova a monte della casa, ad ovest. Appena oltre la casa c’è un casello dell’acqua e nei suoi pressi parte il sentierino, poco marcato ma sufficientemente visibile, che, dopo un tratto brevissimo verso sinistra, raggiunge un bivio, al quale dobbiamo prendere a destra. Saliamo ancora con rapidi tornantini, poi, attraversato un valloncello, pieghiamo a sinistra. Il sentiero esce dal bosco per attraversare una fascia di boscaglia (la traccia diventa assai sporca: è necessario avere braccia e gambe coperte, per evitare di vedersele segnate da sterpi e rovi), piegando a destra. Dopo un traverso a destra, piega a sinistra e conduce al limite occidentale dei prati del maggengo delle Foppe (m. 1040), dove arriva una stradina asfaltata che sale da Santa Maria Perlungo.
Dal maggengo, con breve fuori-programma, ci conviene scendere, seguendo la stradina asfaltata, alla chiesetta di Santa Maria Perlungo (o Perlongo, m. 915, edificata nella località in cui venne scoperta una lapide nord-etrusca, o retica, a testimonianza dell’antica colonizzazione dei luoghi). Il luogo è davvero splendido e panoramico. Riprendiamo, quindi, a salire, seguendo la strada asfaltata per l'alpe Mara. Al primo tornante destrorso ignoriamo la deviazione, sulla sinistra, per San Giovanni. Al successivo tornante sinistrorso dalla strada si stacca, verso destra, una carrozzabile sterrata, in corrispondenza di un cartello che indica il Sentiero del Sole (sentiero 302), a quota 1100 metri circa. Esso dà Prasomaso ad un’ora e mezza, le baite Val di Ron a 2 ore e 20 minuti e S. Bernardo a 3 ore e 20 minuti. Dai prati delle Foppe possiamo giungere fin qui per via più diretta (tagliando fuori Santa Maria) salendo lungo una pista sterrata che parte dalle baite più alte occidentali.
Imbocchiamo, dunque, la pista e seguiamo i segnavia, percorrendone un tratto, per poi lasciarla, prendendo a destra (la pista prosegue per Nesarolo). Imbocchiamo, così, il sentiero che si inoltranell’ombroso e roccioso cuore della valle della Rogna e porta ad un ponticello sul torrente Rogna, che ci permette di attraversarlo, a circa 1231 metri di quota. Sull’altro lato della valle ci attende un breve tratto che sale, ripido, con traccia labile, verso nord (sinistra), fino ad intercettare un sentiero più tranquillo, che attraversa, perdendo molto gradualmente quota, una bella pineta e conduce fino alla località di Prasomaso, in corrispondenza dell’ex sanatorio Umberto I. Dobbiamo ignorare le piste che tagliano il sentiero, il quale corre sul limite superiore del recinto dell’ex Sanatorio, fino a sbucare ad un tornante destrorso (per chi scende) della strada asfaltata che da Prasomaso sale verso Boirolo, poco al di sotto di quota 1230 metri.
Il Sentiero del Sole prosegue sul lato opposto della strada, ma noi dobbiamo lasciarlo per iniziare la discesa che ci riporterà a Poggiridenti passando per Tresivio. Impegnato il tornante, passiamo davanti all’ingresso del fatiscente ex-sanatorio Umberto I, inaugurato nel 1910 ed abbandonato negli anni Sessanta. Esso ha costituito una sorta di microcosmo che ha segnato profondamente la storia di Tresivio e dei paesi vicini nel secolo scorso, e fa un’enorme tristezza vederlo abbandonato alle ingiurie del tempo. Tristezza attenuata dalla bellezza della pineta e dalla panoramicità dei luoghi. Scrive al proposito il dott. Gatti, fra i principali promotori della costruzione del sanatorio: “Il monte sovrastante ed il bosco riparano la località dai venti del Nord; il bosco dai venti dell’Ovest... Verso mezzodì si prospetta l’ampia valle e la catena orobica e l’occhio spazia sulle alte cime del Redorta, del Pizzo del Diavolo, del Corno Stella…A levante guarda l’Aprica e l’orizzonte è chiuso dal maestoso gruppo dell’Adamello”. Possiamo constatare da noi stessi la bontà di questa descrizione: la sezione centro-orientale delle Orobie si squaderna in tutta la sua bellezza davanti ai nostri occhi, nei punti in cui il bosco si apre e ci consente la visuale. In particolare la testata della Val Malgina, con il profilo arrotondato e conico del pizzo del Diavolo di Malgina, le cime del Druet ed i giganti delle Orobie centrali (i pizzi di Scais, Redorta e di Coca, che, soli nell’intera catena, superano, anche se di poco, la soglia dei 3000 metri) si mostrano in tutta la loro eleganza. Proseguendo lungo la strada, troviamo una sequenza di tornanti sx-dx e passiamo accanto all’ingresso dell’ex-sanatorio dell’Alpina (m. 1139), sulla sinistra della strada: si tratta di un complesso che si affiancò dal 1927 all’Umberto I, e che ora ne condivide la triste sorte.
Poco più avanti oltrepassiamo il tornante sinistrorso e passiamo sotto la facciata meridionale della struttura. Sulla destra della strada vediamo il punto di arrivo di una larga mulattiera, per la quale proseguiamo la discesa, verso sud ovest. Dobbiamo prestare attenzione a prendere, poco dopo la partenza, ad un bivio poco evidente, a destra, per proguire nella medesima direzione sud-ovest, nel bosco. Il sentiero ci porta ai prati dei Gaggi, a 1000 metri di quota. Il toponimo Gaggi, come l’analogo Gaggio, deriva dal latino medievale “gajum” (come il tedesco “wald”), che significa “estensione boschiva”, o, anche “bosco bandito”. Le belle selve che circondano i prati rendono l’etimo quanto mai intonato all’atmosfera tranquilla ed appartata di questi luoghi. Se, per errore, dovessimo, al bivio di cui sopra, prendere a sinistra, procediamo così: intercettata la strada asfaltata appena sopra di Dosso dei Galli, scendiamo verso destra fino al primo tornante sinistrorso, e qui lasciamola salendo per breve tratto sulla pista che porta alle baite dei prati dei Gaggi. Dai prati continuiamo a scendere imboccando il sentiero che parte dalla più orientale delle baite (sul lato opposto della pista rispetto a quello raggiunto dal sentiero), scendendo verso ovest-sud-ovest (leggermente a destra), alle spalle di alcune baite. Ci ritroviamo quasi subito nel cuore di una sorta di corridoio, circondati da due dossi: la mulattiera descrive un arco verso sinistra e prosegue scendendo, ripida, verso sud-est e raggiungendo le baite della località Roledo, a 908 metri. Qui piega ancora a destra (sud-ovest) per un buon tratto e, al successivo tornante sinistrorso, viene raggiunta da un sentiero meno marcato, che scende da destra. Teniamolo a mente, perché torneremo a parlarne.
Continuiamo a scendere, perdendo rapidamente quota, verso sud-est, fino a raggiungere un poggio erboso sulla quale sta, seminascosta, la baita solitaria di quota 823. Passati alle spalle della baita, pieghiamo leggermente a destra, descrivendo un ampio arco ed assumendo un andamento in direzione sud. Qualche serrato tornantino ci porta alla baita di quota 730: passiamo alla sua sinistra dei suoi prati, sempre immersi in uno splendido bosco di castagni, raggiungendo un bivio, al quale prendiamo a destra. Dopo un breve tratto verso ovest, la mulattiera piega decisamente a sinistra (se ne stacca, in questo punto, un sentiero che prosegue verso destra), per uscire dal bosco poco a monte delle ultime case della frazione Piedo di Tresivio. Scendiamo alle sue case ed attraversiamo la strada asfaltata (via per S. Rocco), proseguendo su una stretta stradicciola che scende alla chiesetta di S. Rocco (m. 618), il santo protettore degli appestati. Teniamolo a mente, perché di peste avremo modo di parlare a breve.
Siamo, ora, sulla larga strada asfaltata che da Tresivio sale verso Prasomaso e Boirolo: il paese si mostra in tutta la sua bellezza disteso nell’ampia conca che si apre davanti a noi. Superato il tornante sinistrorso sul quale è posta la chiesetta, procediamo per breve tratto, lasciando la strada per imboccare un tratturo in cemento che se ne stacca sulla destra e scende verso sud-est, tornando ad intercettarla più in basso. La attraversiamo, quindi, di nuovo e la lasciamo per imboccare, sulla sinistra, un secondo tratturo, che scende, ripido, in direzione sud-ovest, verso l’imponente edificio della Santa Casa, che domina la piana sottostante. Raggiunta per la terza volta la strada, la seguiamo fino al suo punto di partenza. Qui prendiamo a destra (ovest), salendo leggermente fino al bivio fra la via Teologi Gianoncelli, a destra, e la via Rusconi, a sinistra; imbocchiamo quest’ultima, percorrendo un tratto pianeggiante e superando una fontana.

Tresivio

Dopo una breve discesa, arriviamo al ponte sul torrente Rogna, che ci riporta nel territorio del comune di Poggiridenti. Oltre il ponte ci vengono incontro le case della contrada Ferrari (cà ferari o cà farè), che prende il nome dalla famiglia de Masciochis, originaria della Val Seriana (Fiumenero), emigrata qui nel Trecento e specializzatasi nell’esercizio della professione di fabbro, sfruttando anche alcune fucine poste lungo il corso del torrente: da ciò derivò loro il cognome “Ferrari”, che passò poi alla contrada.
Il ponte sul torrente Rogna e questa contrada ci consentono di fare un salto indietro nel tempo, inseguendo alcuni rivoli di storia e di leggenda. La storia, innanzitutto. A metà del Cinquecento, e precisamente il 14 agosto 1553, scoppiò nel territorio di Montagna (che comprendeva anche Pendolasco, l’attuale Poggiridenti) un’epidemia di peste che infierì fino al gennaio dell’anno successivo. Al fine di controllare il focolaio, a Ca’ Ferrari, nei pressi del ponte sulla Rogna, venne posta una sentinella, perché vegliasse affinché nessuno oltrepassasse il confine, mettendo a rischio il territorio di Tresivio.
La leggenda, poi, o meglio la cronaca che sfuma nella leggenda. A valle del ponte si trovano i culderòn de la rugna, cioè le marmitte dei giganti che il torrente Rogna si è scavato nella parte bassa del suo corso, appena sopra la cascata (el pìsul) con la quale tocca il fondovalle. Viveva un tempo un tal “màgu” (così lo chiamavano), il quale, non si sa bene per qual motivo, era andato in odio ad un abitante della contrada di Case Ferrari (cà farè). Costui giunse a meditare di farlo fuori, e dall’intenzione passò al fatto, soprendendolo, un giorno, nei pressi del ripido versante della Valle della Rogna che si affaccia sui culderòn. Per disfarsi del cadavere, tentò, poi, di gettarlo sul fondo del torrente, dove non l’avrebbero più trovato, ma non ci riuscì: il povero corpo, cadendo, si impigliò in una pianta di rovere (rul) che se ne stava quasi sospesa sopra la forra. In paese tutti si domandavano, con sconcerto o semplice curiosità, dove mai fosse finito il màgu. La risposta all’interrogativo venne l’anno seguente, quando il suo cadavere venne scorto e recuperato. Si poneva, però, ora un secondo e più inquietante interrogativo: chi era stato a spaccargli la testa in modo così selvaggio? L’assassino aveva proseguito la sua vita di sempre, senza tradire alcun senso di colpa. Ma a tradirlo fu un’esclamazione incauta, che una volta gli uscì di bocca mentre a cà farè stava cercando di spaccare un grosso ceppo: “T’è ciüsè dür che la cràpa del màgu!”, cioè “Sei più duro della testa del màgu”. La sentirono alcune donne, che lo denunciarono alle autorità, assicurandolo alla giustizia. Da allora il rovere che aveva trattenuto il cadavere venne chiamato “rul del màgu”.
Siamo ormai prossimi alla conclusione dell’anello: appena oltre il ponte, dobbiamo, però, stare attenti a non proseguire diritti, lungo la via Ferrari (direzione sud), ma a prendere a destra, salendo in direzione sud-ovest, fino ad intercettare la via Piazzo, che seguiamo verso ovest, cioè in direzione del dosso e della chiesa di San Fedele. Torniamo, così, all’albergo San Fedele e di qui scendiamo, in breve, al parcheggio al quale abbiamo lasciato l’automobile. L’anello si chiude dopo circa 4-5 ore di cammino (il dislivello approssimativo in salita è di 680 metri).
Per completare la relazione, dobbiamo offrire un resoconto del sentiero che attraversa la Valle della Rogna più in basso rispetto al Sentiero del Sole. Ne abbiamo già fatto cenno, parlando della mulattiera che da Surana raggiunge la Casa delle Guardie e prosegue fino al mulino ed al guado del torrente Rogna (m. 925). Già abbiamo detto che il tratto sul versante opposto della valle è decisamente sconsigliabile. Vediamo, ora, il perché. Il guado avviene appena sotto una cascata generata da una briglia sul torrente: non ci sono ausili, per cui ci si deve districare con attenzione fra qualche sasso scivoloso. Sul versante opposto una traccia di sentiero appena accennata sale ripida per una decina di metri, intercettando un sentiero marcato che procede pianeggiante verso il centro della valle. Seguendolo in direzione opposta (destra), si attraversa una fascia selvaggia ed orrida, segnata da versanti strapiombanti di rocce marce, quindi soggetti a frane (di qui il pericolo della traversata). Il fondo è comunque discreto, con tratti in cemento, ma stretto fra roccioni a sinistra e strapiombi a destra. Nella parte iniziale ci si mette anche un piccolo smottamento a renderlo più insidioso. Nei punti più esposti il sentiero è protetto da un corrimano a destra e da una scalinatura. Alcuni ponticelli in cemento completano i manufatti di protezione.
Dopo l’ultimo ponticello, ci si allontana gradualmente dal versante ripido della valle, fino ad entrare in una splendida pecceta che, pur essendo in territorio del comune di Tresivio, è di proprietà di quello di Poggiridenti. Qui lo scenario cambia completamente, perché il sentiero ha un fondo ottimo e riposante. Senonché dopo un primo tratto si trova una larga fascia nella quale il transito è impedito da numerosi abeti sradicati e riversi sul sentiero. Il passaggio è possibile solo aggirando faticosamente, a monte, le piante cadute. Segue un nuovo tratto, pianeggiante, con fondo assai buono. Attraversati due valloncelli su altrettanti ponticelli, ci si ritrova in una macchia di abeti e faggi e si raggiunge la soglia di un dosso, al quale lo scenario cambia: ora, a dominare, è un bel bosco di castagni, abbastanza aperto. La traccia si fa, però, più incerta: si deve piegare a destra e scendere per un tratto, quasi a vista, per poi piegare a sinistra e scendere con pendenza meno accentuata, fino ad intercettare la mulattiera Tresivio-Prati dei Gaggi nel punto sopra menzionato.

CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line

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