L'anello Paiosa-Calchera-Ortica-Gorlo-Morscenzo
CARTA DEL PERCORSO - ALTRE ESCURSIONI A CASTIONE - GALLERIA DI IMMAGINI
Sul lato orientale della Valle del Boco (o Bocco), a monte di Castione, si dispone una serie di maggenghi ed alpeggi poco conosciuti ed ancor meno frequentati. Sono piccole oasi nel cuore di fitte e splendide pinete, che si prestano ad escursioni in tutti i periodi dell’anno. Poi, in alto, sopra i 1800 i pascoli cominciano a farla da padrone e si stendono ampie e luminose praterie verdi. Chi ama i luoghi poco frequentati e le atmosfere chiaroscurali delle pinete può programmare un’escursione che si presta ad essere modulata a seconda delle esigenze di tempo e di allenamento di ciascuno: le diverse tappe possono infatti rappresentare la meta più alta, perché anche una breve camminata regala intera la magia di una valle ancora integra, dove i silenzi si fanno profondi ed arcani.
La
valle del Boco (o Bogo, o anche Bocco: il termine deriva da “sbocco” o, più probabilmente, da “bocc”, ariete) è il solco
che scende, ripido, dall’alto versante retico ai piedi del Sasso
Bianco e del monte Arcoglio (termine connesso con “arco”, in riferimento alla forma della valle) fino al fondovalle valtellinese, immediatamente
ad ovest dell’abitato di Castione. Una valle densa di suggestione,
fascino e mistero. Ma anche di curiosità, a cominciare da quella
del nome. Sì, perché da Boco si passa a Bocco sulle carte
IGM ed a… Bosco su quelle Kompass! Non che di boschi non ce ne
siano, in questa valle, anzi: sono stupendi, ricchi di colori, atmosfere
e profumi intensi. Anche il torrente che la percorre ha una doppia denominazione,
Vendolo (termine che deriva da una voce preariana che significa “frana”) e Boco. Un torrente protagonista di momenti amarissimi della
storia del paese, segnando, nel 1520, una vera e propria svolta: la
sua esondazione segnò il declino di Andevenno, nucleo insediativi
originario, ed il progressivo sviluppo di Castione, insediamento posto
in luogo più sicuro.
IL GIRO DEGLI ALPEGGI DELLA VALLE DEL BOCO
Alla rotonda di Castione lasciamo la ss 38 dello Stelvio prendendo a sinistra (se viaggiamo in direzione di Sondrio) ed imbocchiamo la strada che sale a Castione. Giunti al paese dopo pochi tornanti, ad un bivio prendiamo a sinistra e passiamo fra le case ed a lato della chiesa. Dopo una stretta, siamo ad un nuovo bivio al quale prendiamo a destra, proseguendo sulla stretta carrozzabile fra le case alte del paese. Usciti dall’abitato, proseguiamo salendo verso Triangia. Superata una coppia di tornanti sx-dx, poco oltre il successivo tornante sx prestiamo attenzione alla stradella che si stacca sulla sinistra dalla carrozzabile per Triangia. La percorriamo salendo ad intercettare la pista che da Bonetti traversa in direzione della valle del Boco (o Bocco). Al primo slargo parcheggiamo e ci mettiamo in cammino da una quota di circa 700 metri.
La seguiamo salendo verso nord-ovest, passando a destra delle poche baite di Piazzorgo. La pista sale ancora e si affaccia al versante orientale della Valle del Boco, che nasce ai piedi della dorsale dei monti Arcoglio-Canale e scende diritta al fondovalle passando ad ovest di Castione. Pieghiamo leggermente a destra e la pista lascia il posto ad una marcata mulattiera con fondo acciottolato, che prosegue salendo verso nord, con un tratto protetto da muretto a secco a destra. Raggiungiamo un punto nel quale la sede della mulattiera è stata rialzata rispetto al piano del bosco. Oltrepassiamo poi un corpo franoso e proseguiamo nella selva. La mulattiera si è ora ristretta a marcato sentiero. Oltrepassato il solco della Val Prunulas, pieghiamo a sinistra e passiamo presso il limite alto dei prati della località Gaggio (m. 840).
Il marcato sentiero prosegue verso nord, poi piega leggermente a sinistra (nord-nord-ovest) e sale in una splendida faggeta. Dopo un’oretta di cammino il bosco improvvisamente si apre alla parte bassa dei ripidi prati della Paiosa (m. 1306). Il maggengo, che deve il suo nome alla “paiusa”, caratteristica erba che assomiglia alla paglia, ci apre un ottimo colpo d’occhio sul cuore della Valle del Boco, che mostra i suoi ripidi versanti boscosi sul versante occidentale, quello di Postalesio. Possiamo terminare qui la camminata, dopo circa un paio d’ore o poco meno.
Se non è così, cerchiamo il sentiero che riparte sul lato opposto dei prati, a destra, e sale sul ripido dosso boscoso verso est. Proseguiamo nella pecceta per un’altra quarantina di minuti, e per la terza volta il bosco ci sorprende senza preavviso, cedendo alla luce dei prati dell’alpe Ortica (m. 1702). Non più, ora, una striscia circondata dal bosco, ma un’ampia distesa di prati. Una baita isolata resta alla nostra sinistra, mentre diritto sopra il nostro naso si mostra una lunga struttura per il ricovero del bestiame, ancora molto ben tenuta. Molto buono, anche se non molto ampio, è il panorama, soprattutto verso nord-ovest e nord: distinguiamo, sul crinale che separa l’alta valle del Boco, ad est, dalla valle di Postalesio, ad ovest, il monte Colina (m. 2453) ed il monte Caldenno (m. 2669); sul crinale che separa la media Valtellina dalla Valmalenco, invece, si distinguono il Sasso Bianco (m. 2490) e le due cime, occidentale ed orientale, del monte Arcoglio (m. 2451 e 2459), questa seconda appena accennata.
Abbiamo ora due vie di salita. La più semplice è questa. A sinistra del ricovero vediamo un marcato sentiero che sale verso nord-est tagliando una fila di abeti e poi una fascia di radi larici. Ci affacciamo così ad un corridoio erboso che tagliamo verso sinistra fino a giungere in vista delle baite dell’alpe Gorlo (m. 1828). Siamo ormai alla fascia dei grandi alpeggi del versante retico ai piedi della dorsale Arcoglio-Canale. Comprendiamo bene, ora, quanto si legge nel volume “la Patria – Geografia dell’Italia”, a cura di Gustavo Stafforello (UTET, 1896), a proposito di Castione: “Sonvi pure ottimi pascoli, che favoriscono l’allevamento del bestiame e la fabbricazione di burro e formaggio, in quantità rilevanti”.
La conclusione più semplice dell’escursione è la salita all’alpe più alta, l’alpe Morscenzo o Marscenzo, che sfrutta un sentiero non molto marcato, ma facile da trovare. Prendiamo come punto di riferimento le tre baite al centro dell’alpe. Alle loro spalle, a sinistra, vediamo il sentiero che sale in diagonale ed attraversa una breve fascia di larici ed abeti. Uscito di nuovo all’aperto, sale infine alla pista sterrata che dall’alpe Poverzone, alle falde del monte Rolla, tocca tutti gli alpeggi alti fino all’alpe Colina.
Raggiunta la pista, prendiamo a sinistra ed in breve siamo al baitone dell’alpe Marscenzo (o Morscenzo m. 2042), che raggiungiamo dopo circa 4 ore di cammino.
La variante più avventurosa dall’alpe Ortica prevede una salita per una via più lunga. Saliamo al baitone a quota 1740 metri e portiamoci sul suo lato opposto, cioè destro (per chi guarda a monte). Cominciamo poi a salire diritti verso il limite del bosco, cercando una debole traccia di sentiero che sale, diritta, sul fianco di sinistra del Dosso della Croce.
Dopo circa un quarto d’ora, ad una quota approssimativa di 1840 metri, pieghiamo a destra e, con qualche tornantino, ci portiamo sul filo del Dosso della Croce, in corrispondenza di una pianetta quotata 1869 metri, che si affaccia su un pericoloso salto di rocce, dove un tempo c'era una croce in legno. Continuiamo a salire, seguendo un sentierino che corre sul filo del Dosso della Croce, fino ad intercettare la pista sterrata Poverzone-Morscenzo-Colina, la seguiamo verso sinistra, passiamo per la solitaria baita Vendulo (m. 1997) e, dopo un paio di semicurve, raggiungiamo il baitone dell’alpe Morscenzo (Marscenzo, sulle carte IGM), a 2042 metri. Stando alle carte IGM e Kompass, ed anche alla Carta Tecnica Regionale, qui si dovrebbe trovare una croce. Una croce che però, per qualche motivo, non c’è più.
Continuiamo a salire, seguendo un sentierino che corre sul filo del Dosso della Croce, fino ad intercettare la pista sterrata Poverzone-Morscenzo-Colina in corrispondenza dell’ultimo tornante destrorso (per chi procede verso Morscenzo) prima del canalone che scende dalla bocchetta del Valdone, ad una quota approssimativa di 2000 metri. Seguiamo, ora, la pista verso sinistra, fino alla curva sinistrorsa in corrispondenza del piede del vallone che scende dalla bocchetta del Valdone. Passiamo, qui, a monte dell’isolata baita Vendül (m. 1997), alla quale scende un sentiero che si stacca sulla sinistra della pista, proseguendo poi la discesa fino all’alpe Gorlo. Presso questa baita si può ancora osservare il resto del forno nel quale, sembra, sia stata cotta la calce che venne poi usata per costruire la chiesa parrocchiale di S. Martino. Noi, però, restiamo sulla pista e, dopo un paio di semicurve, raggiungiamo il baitone dell’alpe Marscenzo (o Morscenzo), a 2042 metri.
Vediamo il ritorno, per la medesima via di salita o con qualche leggera variante. Percorriamo il breve tratto di pista che si stacca da quella principale e scende al baitone, prendendo subito a sinistra ed imboccando il sentiero che passa per la baita isolata poco sotto il baitone (ad est). Proseguiamo nella medesima direzione fino ad una rada selva di abeti, dove il sentiero perde quota con alcuni tornanti, fino a raggiungere il limite superiore di destra (per chi scende) dei prati dell’alpe Gorlo (m. 1828). Sotto le tre baite centrali dell’alpe, leggermente a sinistra, troviamo la partenza della mulattiera che, in leggera e comoda discesa, ci riporta al baitone dell’alpe Ortica.
Scendiamo, quindi, alla baite inferiore dell’alpe, passando alla sua sinistra: sul limite inferiore dei prati ritroviamo facilmente la partenza della mulattiera che scende, decisa, con diversi tornanti nel cuore di una bella pineta. Al tornante destrorso quotato 1551 metri troviamo una pianetta ed un bivio: appena oltre la pianetta, infatti, un sentiero si stacca, sulla sinistra, dalla mulattiera, che scende verso destra. Lasciamo qui il sentiero per il quale siamo saliti e prendiamo a sinistra, proseguendo su un sentiero non molto largo, ma ben visibile, che nel primo tratto procede con andamento quasi pianeggiante. Poi troviamo una serie di saliscendi, in un bosco di abeti e faggi. Passiamo, quindi, a monte di un corpo franoso, prima di piegare a destra e di cominciare una discesa che ci porta al limite alto si sinistra (per chi scende) di Pra’ Sterli (m. 1480).
Tagliamo i prati in diagonale, scendendo verso destra e passando a sinistra di alcuni ruderi di baita: sul limite opposto (inferiore di destra) troviamo la ripartenza del sentiero, che prosegue a destra, fino ad un bivio, in prossimità di un rudere: una traccia prosegue a destra quasi pianeggiante, una seconda scende a sinistra. Imbocchiamo quest’ultima e, attraversata una franetta ed un valloncello, proseguiamo a scendere verso ovest, su sentiero non largo, ma ben visibile. Affrontiamo qualche saliscendi ed ignoriamo alcune deviazioni che scendono sulla sinistra, prima di intercettare, ad una quota di circa 1340 metri, la mulattiera che dall’alpe Calchera scende ai prati della Paiosa. Tornati alla mulattiera seguita salendo, scendiamo alla parte alta dei prati della Paiosa raggiungendo poi le baite nella parte bassa (m. 1308).
La successiva discesa, dopo un tratto a destra, volge a sinistra ed assume la direzione sud-sud-est, passando a monte dei prati del maggengo Scui (m. 1007), e proseguendo verso sinistra. Riattraversiamo poi un corpo franoso, prima di svoltare a destra e di superare un breve tratto nel quale la mulattiera procede su una sede rialzata rispetto al terreno. Poi volgiamo di nuovo a sinistra e scendiamo per un tratto ripidi, svoltando ancora a sinistra e proseguendo la discesa fino a raggiungere il solco della val Prunulas, oltrepassata la quale, in breve, troviamo il punto nel quale si interrompe la pista sterrata che sale da Piazzorgo. Seguendo in discesa la pista torniamo all’automobile. CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line |
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