Sul versante retico fra Berbenno e Postalesio
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L’alpe Caldenno si trova sulla soglia dell’alta Valle del Caldenno, o Valle di Postalesio, una splendida valle con la caratteristica forma ad U dovuta all’escavazione glaciale, che si apre ai piedi del versante meridionale del gruppo dei Corni Bruciati e confina a nord-ovest con la Val Terzana (Val Masino), con la quale è messa in comunicazione dal passo di Scermendone (m. 2595), e a nord-est con la Val Torreggio (Val del Turéc') (Valmalenco), con la quale è messa in comunicazione dal passo di Caldenno (m. 2517). Due ampie e selvagge costiere la separano, poi, dall’alta Val Finale, ad ovest, e dall’alta Valle del Boco, con l’alpe Colina, ad est. La sua bellezza è pari alla sua facile accessibilità e percorribilità: la si può risalire interamente, dall’alpe Caldenno, passando per l’alpe Palù, fino ad entrambi i passi, senza particolari difficoltà, il che, ovviamente, ne fa un punto di passaggio di diversi itinerari escursionistici di grande fascino, anche perché un po’ decentrati rispetto a direttrici maggiormente frequentate.
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L’origine del termine “Caldenno” (o “Caldeno”) è dall’aggettivo “caldo”, con l’aggiunta del suffisso “enno”, di origine etrusca (come in “Berbenno”), e si giustifica, probabilmente, per la sua felice esposizione a sud; più fantasiosa, anche se suggestiva, è l’ipotesi dell’Orsini, che rimanda a “Calus”, o “Charu”, dio degli inferi.
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Gli alpeggi di Colina e di Caldenno sono, come scrive Dario Benetti nell’articolo “I pascoli e gli insediamenti d’alta quota” (in “Sondrio e il suo territorio”, edito da IntesaBci, 1999), “esempi tra i più significativi di insediamenti di quota sul versante retico della media Valtellina… Nel caso dell’alpe Caldenno si ha la permanenza di un consorzio che ha mantenuto ancora oggi la proprietà indivisa dei pascoli, mentre gli edifici sono di proprietà privata. Come avveniva in tutti i casi di caricamento familiare, l’alpeggio produceva e produce formaggio semigrasso e burro. Numerosi caselli per il latte, situati vicino al corso d’acqua, venivano utilizzati per depositare il latte nelle conche al fresco, in modo che potesse affiorare la panna necessaria per la produzione del burro. Le baite si sviluppano su due piani, con una pianta quasi quadrata e hanno muratura in pietrame e poca malta, a volte a secco, con tetto a due falde e manto di copertura in piode (lastre di pietra) locali. Il piano seminterrato è utilizzato come stalla, con un piccolo spazio esterno, in genere nel sottoscala, per il ricovero dei suini. Il piano rialzato riunisce le funzioni di lavorazione del latte, con un angolo focolare ove è presente la tradizionale struttura girevole in legno per la culdèra, il deposito dei formaggi (in un locale controterra completamente interrato che fuoriesce dal sedime dell’edificio) e un tavolo ammezzato in legno su cui erano ricavati i giacigli per la notte. La scala è esterna, ricavata in facciata, parte in muratura e parte in legno. Il fumo del focolare fuoriesce da una finestrella in facciata. Sulla facciata era posta anche una mensola per fare sgocciolare la ricotta fuori dalla portata degli animali”.
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La salita all’alpe di Caldenno può avvenire in automobile (fino al limite alto di Prato Isio e prosecuzione, diciamo una ventina di minuti, a piedi), oppure in mountain-bike. Vediamo come.
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Assumiamo come punto di partenza la chiesa di Berbenno, alla quale si sale staccandosi dalla ss. 38 all’altezza di S. Pietro Berbenno.
La lunga pedalata comincia dirigendosi verso est e, ignorata la deviazione a destra per Postalesio, salendo alla bella frazione di Polaggia. Passiamo, così, davanti alla chiesa parrocchiale dei santi Abbondio e Gaetano (m. 438), e continuiamo a salire verso la parte alta del paese. Dopo la chiesa, affrontiamo un tornante sx, per poi incontrare un cartello che ci indica che dobbiamo prendere a destra, e segnala i Prati Gaggio a 9 km e Prato Isio a 13 km. All’uscita dal paese, si stacca, sulla sinistra, un tratturo con fondo in cemento, la via Della Puncia. Vale la pena di seguirla, allungando di poco i tempi di percorrenza, perché ci porta all’oratorio di San Gregorio (m. 588), posto su un piccolo colle che veniva chiamato, fino al sec. XVII, monte Zardino. Si tratta di una cappella che originariamente era annessa ad una struttura fortificata, detta “castrum Mongiardinus”, di origine trecentesca. Dal colle, infatti, si gode di un’ottima visuale sulla media Valtellina, da Triangia al Culmine di Dazio. Fra le particolarità dell’oratorio può essere interessante ricordare che sull’ancora dell’altare sono scolpiti due animali squamosi, di origine fantastica, nei quali la tradizione popolare ha identificato la rappresentazione della misteriosa bestia denominata “giuèt”, che si raccontava abitasse i boschi della zona. Siamo circondati, infatti, da una bella selva: proviamo a scrutare il sottobosco, chissà mai che il “giuet” decida di mostrarsi, da animale singolare qual è, a quell’animale altrettanto singolare che ora viaggia su ruote, ora su piedi, ora con il capo scoperto, ora con una singolare protesi che sormonta la testa.
Comunque vadano le cose, dobbiamo riprendere la salita, sfruttando un sentiero che parte alle spalle dell’oratorio e sale ad intercettare di nuovo la strada asfaltata che collega Polaggia al Gaggio di Polaggia, ad una quota di 600 metri circa. Se non vogliamo effettuare questo fuori-programma, oppure stiamo salendo in automobile, la strada per i Prati di Gaggio ci propone una serrata serie di tornanti sx, dx, sx, dx, sx, dx ed sx, prima di raggiungere, dopo un lungo traverso verso ovest, il punto al quale eravamo rimasti.
Comincia, quindi, la salita al maggengo di Gaggio, sul dosso che separa la val Finale (il cui torrente attraversa Berbenno), ad ovest, e la valle di Postalesio, ad est. Si susseguono un tornante sx, uno dx, e di nuovo uno sx ed uno dx, prima che la strada effettui un lungo traverso verso destra (est), che conduce alla località Stalli (m. 700), dove, ad un tornante dx, si stacca, sulla destra, una pista che conduce alle baite dei Campi (m. 730).
Ignorata questa pista, effettuiamo un traverso verso nord-ovest, prima di una nuova serie di tornanti in rapida successione, dx, sx, dx, sx e dx. Un tratto verso est-sud-est precede un nuovo tornante sx, cui segue un tratto in direzione nord-ovest (dove dalla strada si stacca, sulla destra, una nuova pista, anch’essa da ignorare: la strada passa, qui, a valle della zona denominata Volta dei Cavalli). Dopo il successivo tornante dx, notiamo, appena a monte della strada, una cappelletta, recentemente ristrutturata. Segue un tornante sx, dopo il quale raggiungiamo, al successivo tornante dx (quota 984 m.), una pista tagliafuoco, che si stacca dalla strada verso sinistra e si addentra lungo il fianco orientale della Val Finale. Ad un lungo traverso in direzione sud-est seguono tre tornanti in rapida successione, sx, dx ed sx, che introducono all’ultimo traverso in direzione nord-ovest, che porta alle prime baite dei Prati di Gaggio.
I prati di Gaggio, collocati ad una quota compresa fra 1046 e 1200 metri circa, ad una distanza di 10,5 chilometri circa da Polaggia, sono costellati da diverse baite, e costituiscono, nella stagione estiva, un luogo di villeggiatura pregevole dal punto di vista climatico e panoramico. Dal 1995 il maggengo è custodito anche da una chiesetta, dedicata al SS. Crocifisso. Appena sopra i prati, dopo pochi tornanti raggiungiamo la località denominata Pian del Prete, a 1240 metri, nel cuore di uno splendido bosco di abeti, ad 11,5 chilometri circa da Polaggia.
La strada prosegue, con alcuni rapidi tornanti, che precedono un lungo traverso a nord-ovest. Al fondo in asfalto si sostituisce un fondo che alterna il cemento alla terra battuta. Se, invece, vogliamo salire a piedi al prato, ci conviene seguire la bella mulattiera, che attraversa i boschi del dosso, tagliando in diversi punti la strada. Al tornante dx segue un traverso in direzione est-sud-est, prima della successione degli ultimi tre tornanti, più ravvicinati (sx, dx, sx), che ci porta ad uscire dal bosco per affacciarci alla parte inferiore dell’alpeggio di Prato Isio, posta ad una quota di 1550 metri circa, presidiata da un albero davvero singolare, un faggio che, per le sue dimensioni, il suo portamento, il suo valore storico e paesaggistico, è stato inserito nella categoria più alta, la Prima elite, dei diciotto alberi monumentali di maggior pregio della Provincia di Sondrio. E’ posto ad una quota di 1555 metri, ha una circonferenza di m. 5,10 ed un’altezza di m. 8, ma ciò che lo caratterizza è la forma, davvero curiosa, e la sua posizione solitaria.
La strada, con ampi tornanti, risale i prati, fino alla sommità dove troviamo un ampio parcheggio, a circa 14 km da Polaggia. Vicino al parcheggio un grande pannello riproduce una carta del territorio del comune di Berbenno basata su immagini satellitari, di utile consultazione. Da qui la visuale sulla sezione centrale della catena orobica è davvero ottima.
Sul limite superiore orientale del prato, oltre il parcheggio, la strada prosegue, tagliando il fianco occidentale della Valle del Caldenno, con alcuni punti nei quali il versante è tanto ripido che la carreggiata è scavata nella viva roccia. Dopo una ventina di minuti o poco più di cammino, usciamo dal bosco in vista delle baite dell’alpe Caldenno, distribuite su una fascia compresa fra i 1700 ed i 1811 metri.
DA PIAN DEL PRETE ALL'ALPE CALDENNO
Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
Pian del Prete-Alpe Caldenno |
2 h |
660 |
E |
SINTESI. Percorrendo la carozzabile che da Berbenno (Polaggia) sale a Prato Isio, raggiungiamo, subito dopo i Prati di Gaggio, la località Pian del Prete (n. 1240), dove parcheggiamo l'automobile ed imbocchiamo la pista che si stacca dalla carozzabile, sulla destra, in corrispondenza del primo tornante sx dopo le baite, e sale gradualmente verso nord-nord-est, fino ad una piazzola dove termina, lasciando il posto ad un sentiero, che prosegue verso nord, in graduale salita, diritto, nella splendida cornice di un bosco fiabsco di faggi e di abeti. Più avanti, a quota 1470, ci affacciamo alla parte alta di una fascia di prati che scende fin quasi al torrente Caldenno: si tratta della località Sciucugn, così detta per la presenza di un abete secolare di grandi dimensioni nella fascia boscosa sulla parte bassa dei prati. Giungiamo poi in vista di un canalino occupato da materiale franoso: qui dobbiamo prestare attenzione, perché la prima volta, a quota 1570, troviamo un tornante a sinistra. Subito dopo, però, appena prima dell’abete che abbiamo notato dal basso, svoltiamo ancora a destra e più avanti la traccia, che si era fatta debole, ritorna marcata. Dopo una nuova sequenza di tornanti dx ed sx, oltrepassiamo un casello dell’acqua circondato da muretti a secco, riprendendo l’andamento complessivo verso nord. Più avanti ci attende una nuova serie di serrati tornantini, con pendenza severa. Terminati i tornantini e ripreso l’andamento nord, troviamo, sulla destra, su un sasso fra due abeti gemelli la scritta, con caratteri rossi, “C.V.”; dopo una semicurva a sinistra tagliamo, poi, una modesta pianetta, prima di una semicurva a destra.
A quota 1680 metri, infine, usciamo alla parte inferiore dei prati più bassi dell’alpe Caldenno. Saliamo diritti su debole traccia, a zig-zag, lasciando alla nostra destra un ponticello il legno, fino ad intercettare la pista sterrata che sale da Prato Isio. La seguiamo fino al primo tornante sx, dove prendiamo a destra, portandoci ad un ponticello oltre il quale ragigungiamo il nucleo centrale delle baite dell'alpe Caldenno ela chiesetta di S. Margherita. |
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Vediamo, ora, come salire all’alpe con una bella camminata che parte da Pian del Prete (m. 1240) e sfrutta uno splendido sentiero che taglia il boscoso fianco occidentale della media valle. Prima del primo tornante sinistrorso oltre le baite della piana (quindi appena oltre le baite) si stacca sulla destra, dalla strada per Prato Isio, una pista forestale, che si addentra per un buon tratto, con un primo tratto in leggera discesa, poi in leggera salita, sul fianco della valle, regalandoci bellissimi scorci sui fitti boschi che ne rivestono i versanti, ma anche sull’imponente movimento franoso che interessa il suo versante orientale appena sotto la Croce Capin.
La pista termina ad una modesta piazzola e lascia il posto ad un largo sentiero. Non ci sono segnavia, ma solo, di tanto in tanto, segmenti di color blu. Nel primo tratto di salita oltrepassiamo un casello dell’acqua ed un tratto nel quale il sentiero è un po’ esposto sulla destra. Segue un tratto in falsopiano, prima dell’attraversamento di due modeste vallecole (il sentiero è qui rinforzato a valle da un muretto a secco e da un muretto in cemento).
Valle del Caldenno
Più avanti, a quota 1470, ci affacciamo alla parte alta di una fascia di prati che scende fin quasi al torrente Caldenno: si tratta della località Sciucugn, così detta per la presenza di un abete secolare di grandi dimensioni nella fascia boscosa sulla parte bassa dei prati. Il sentiero rientra subito nel bosco, incontrando un faggio secolare dal tronco cavo, che lo veglia da tempo immemorabile; in un tratto successivo il sentiero è sorretto da una serie di pali conficcati nel terreno. Attraversato un punto in cui la traccia si assottiglia per uno smottamento ed una nuova vallecola con muretto a secco cementato, affrontiamo una salitella ed aggiriamo, svoltando a sinistra, un dosso. Qui la voce del torrente Caldenno si fa sentire, vicina ed inquieta, e pare che con le sue acque precipitino tutti gli affanni degli uomini. Il sentiero riprende a salire ripido ed attraversa una nuova vallecola, mentre la voce del Caldenno si fa più debole e lontana.
Poi il fondo del sentiero muta: siamo in una splendida pecceta e gli aghi degli abeti lo tappezzando, rendendo gradevole il passo. Poco più in alto, alla nostra sinistra, un abete molto più grande di quelli circostanti, con un buco curioso nella parte bassa del tronco, attira la nostra attenzione. Giunti in vista di un canalino occupato da materiale franoso, dobbiamo prestare attenzione, perché qui, per la prima volta, a quota 1570, troviamo un tornante a sinistra. Subito dopo, però, appena prima dell’abete che abbiamo notato dal basso, svoltiamo ancora a destra e più avanti la traccia, che si era fatta debole, ritorna marcata. Dopo una nuova sequenza di tornanti dx ed sx, oltrepassiamo un casello dell’acqua circondato da muretti a secco, riprendendo l’andamento complessivo verso nord. Più avanti ci attende una nuova serie di serrati tornantini, con pendenza severa. Terminati i tornantini e ripreso l’andamento nord, troviamo, sulla destra, su un sasso fra due abeti gemelli la scritta, con caratteri rossi, “C.V.”; dopo una semicurva a sinistra tagliamo, poi, una modesta pianetta, prima di una semicurva a destra.
A quota 1680 metri, infine, usciamo alla parte inferiore dei prati più bassi dell’alpe Caldenno, anche se non vediamo ancora alcuna baita. Una traccia di sentiero sale zig-zagando, e la seguiamo con un po’ di fatica, perché la pendenza è severa. Stiamo, però, seguendo una traccia secondaria, perché quella principale rientra nel bosco, alla nostra sinistra, per uscire più in alto: salendo, infatti, torniamo ad intercettarlo. Vediamo ora, sopra di noi, le baite più basse dell’alpe. Procedendo in diagonale verso destra, vediamo, alla nostra destra, un ponticello in legno che scavalca il torrente; lo ignoriamo e saliamo ad intercettare la pista sterrata che sale fin qui da Prato Isio, lasciando alla nostra destra un nuovo ponticello in cemento. Seguiamo per un tratto la pista, ma lasciamola al primo tornante sinistrorso, per imboccare un sentiero che se ne stacca, procedendo verso nord ed attraversando il torrente su un ponticello di legno.
Siamo ora sul lato orientale della valle: proseguendo nella salita verso il nucleo orientale delle baite dell’alpe, raggiungiamo, in breve, nei pressi di una fontana, la chiesetta di Santa Margherita (dedicata anche a S. Giacomo), a quota 1900. Venne edificata agli inizi del Cinquecento, anche se la forma attuale deriva da ampliamenti e rifacimenti successivi. Viene menzionata nella famosa visita pastorale del 1589 del vescovo di Como, di origine morbegnese, Feliciano Ninguarda, il quale scrive: “Sulla cima del monte, detto Caldenno, vi è una cappella in onore di Santa Margherita, dove si celebra solo una volta all’anno, nel giorno della festa, e dista da Berbenno cinque miglia”. La festa a cui allude il vescovo si celebra ancora il 20 luglio, con un caratteristico pranzo all’aperto.
CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line
DALL'ALPE CALDENNO AL RIFUGIO BOSIO
Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
Alpe Caldenno-Rif. Bosio |
2 h e 45 min. |
710 |
E |
SINTESI. Dalla chiesetta di Santa Margherita a Caldenno ci incamminiamo verso l'alta valle, stando sul lato destro (per noi), scavalcando su un ponticello un canale e passando per la baita più alta, la Baita di Ciazz, m. 1896. Proseguiamo salendogradualmente, fino al primo gradino di soglia della valle, dove troviamo un sentiero marcato che lo risale (siamo sempre sul suo lato destro), portando all'alpe Palù (m. 2099). Procediamo quasi in piano, restando a destra del torrente, superiamo un muretto a secco e saliamo ad una comca-pianoro che attraversiamo verso sinistra. Attraversato un torrentello da destra a sinistra, troviamo un sentiero marcato che sale verso nord-nord-ovest e che ci porta alla soglia dalla quale il torrente Caldenno precipita in una piccola gola, che rimane alla nostra sinistra. Superato questo secondo gradino glaciale, ci affacciamo al circo dell’alta valle, che ci accoglie con una sorta di terrazzo frastagliato per le diverse balze erbose. Ci allontaniamo dal torrente prendendo a destra (lasciamo a sinistra le indicazioni per il passo di Scermendone), per salire su un declivio erboso che ci porta ad una conca con una bella pozza, a destra di un enorme masso erratico. Un segnavia bianco-rosso ci indica la direzione nella quale procedere (destra). Pieghiamo poi a sinistra e ci portiamo al limite di un corridoio erboso, delimitato, a monte, da un dosso; qui troviamo una marcata traccia di sentiero, che sale tendendo leggermente a sinistra (su un masso c’è anche una freccia giallo-rossa). Ben presto, però, la traccia volge a destra, assumendo la definitiva direzione ovest, verso il passo. Dopo un tratto interessato da smottamento, siamo ai 2517 metri del passo di Caldenno. Su un grande masso si trova segnalata la direzione nella quale scendere al rifugio Bosio, in circa mezzora. Il sentiero procede all’inizio in direzione est, poi piega leggermente a destra e poco sotto a sinistra, assumendo l’andamento nord-est e passando, a quota 2375, da sinistra a destra di un valloncello, di cui poi segue per un buon tratto il lato orientale, piegando ancora a destra ed assumendo l’andamento est-nord-est. A quota 2225 se ne allontana e, piegando leggermente ancora a destra, raggiunge il lato occidentale di un nuovo valloncello. L’ultima parte della discesa avviene in un bel bosco di pini mughi, fino al rifugio Bosio (m. 2086). |
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Vediamo, ora, quali sono le principali possibilità escursionistiche offerte dall’alpe. La traversata alla Val Torreggio (Val del Turéc') ed al rifugio Bosio è probabilmente la più suggestiva, e sfrutta il facile passo di Caldenno, posto sul lato nord-orientale dell’alta valle. Lungo il cammino troviamo pochi (ad oggi, autunno 2007) segnavia bianco-rossi, ma anche vecchi bolli rossi contornati di giallo: ciò non costituisce, però, un grosso problema. Dalla chiesetta di Santa Margherita riprendiamo il cammino, lasciando alle spalle le ultime baite e puntando ad una baita isolata posta più a monte (Baita di Ciazz, m. 1896), che raggiungiamo dopo aver scavalcato su un ponticello un canale in cemento che confluisce nel torrente Caldenno. Qui troviamo anche un cartello che dà il passo di Scermendone (posto erroneamente ad una quota di 2647 metri) ad un’ora e 30 minuti ed il passo di Caldenno (posto, anch’esso, erroneamente ad una quota di 2610 metri). La capanna Bosio, poi, viene data a 2 ore e la Desio a 3.
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Dalla baita, seguendo i segnavia, cominciamo a salire verso destra sul versante di media pendenza, fino a raggiungere una traccia ben marcata che prosegue salendo sul lato di destra (per noi) del torrente, per vincere il primo gradino glaciale della valle, che ci separa dall’alpe Palù (sulla carta IGM il sentiero è, invece, segnato sul lato opposto). Raggiunta la soglia del gradino, non attraversiamo il torrente, ma proseguiamo tenendoci alla sua destra e lasciando alla nosra sinistra un pianoro acquitrinoso (Palù, infatti, deriva da palude) e di due baite appoggiate ad un grande masso.
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Sul lato opposto vediamo anche il baitone dell’alpe Palù (m. 2099). Proseguiamo salendo gradualmente sul versante orientale della valle, in direzione di un piccolo ometto presso il quale troviamo anche un bollo rosso contornato di giallo. Usciamo, quindi, da un muricciolo a secco appena abbozzato, che serviva un tempo da recinto per il bestiame, e troviamo una freccia giallo-rossa che ci indica una traccia di sentiero. Ci allontaniamo, quindi, molto gradualmente dal fondo della valle, dove scorre il torrente, e, dopo aver trovato un nuovo segnavia rosso contornato di giallo, raggiungiamo una conca-pianoro. La tagliamo in diagonale verso sinistra ed attraversiamo da destra a sinistra un ramo secondario che da est confluisce nel torrente Caldenno, trovando, sul lato opposto, una traccia marcata che sale tagliando il fianco erboso di un ripido dosso ad oriente del torrente stesso. In realtà dalla conca-pianoro potremmo iniziare anche una salita diretta al passo, lungo il versante erboso che ci sta di fronte, ripido ma non insormontabile: tuttavia, se non abbiamo i tempi contati, non ci conviene scegliere questa più breve ma faticosa via. Ah, giusto, chiederete dov’è il passo. Lo possiamo facilmente individuare guardando in alto, sulla destra: non è marcato, ma lo si riconosce per il grande ometto nei suoi pressi.
Percorriamo, dunque, il sentiero che sale verso nord-nord-ovest e che ci porta alla soglia dalla quale il torrente precipita in una piccola gola, che rimane alla nostra sinistra. Superato questo secondo gradino glaciale, ci affacciamo, così, al circo dell’alta valle, che ci accoglie con una sorta di terrazzo frastagliato per le diverse balze erbose. In alto, leggermente sulla sinistra, riconosciamo il passo di Scermendone, riconoscibile per l’affilato torrione che lo presidia sulla destra (m 2565). Proseguendo verso destra, vediamo le punte quotate 2782 e 2900, che precedono i bastioni rossastri dei veri signori della valle, i Corni Bruciati, che mostrano in primo piano la più alta punta centrale (m. 3114) e la punta settentrionale (m. 3097), vertice settentrionale della valle e del territorio del comune di Berbenno. Proseguendo verso destra, distinguiamo la cima di Postalesio, quotata 2995 metri, ed il frastagliato crinale che scende al passo di Caldenno. Ciò che maggiormente impressiona è, però, la grande colata di massi rossastri che si dispone ai piedi del gruppo dei Corni Bruciati, luogo nel quale si può udire, nottetempo, il battere incessante e desolato di mazze sulla roccia: qui, infatti, sono stati relegati, dice una leggenda, i “cunfinàa” dei Corni Bruciati, anime che, invise a Dio et a lo inimico suo, come si diceva nei secoli scorsi, non possono avere accesso né al Paradiso, né all’Inferno (e neppure al Purgatorio).
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Torniamo a noi: dobbiamo, ora, allontanarci dal torrente prendendo a destra, per salire su un declivio erboso che ci porta ad una conca con una bella pozza, a destra di un enorme masso erratico. Un segnavia bianco-rosso ci indica la direzione nella quale procedere: ci ritroviamo leggermente alti rispetto ad un pianoro alla nostra sinistra, dove vediamo, su un sasso, la scritta “Scermendone”, che indica la direzione (verso sinistra) da prendere per salire al passo di Scermendone (lo riconosciamo facilmente, da qui, ad ovest, per il grande ometto che lo presidia). Noi, invece, saliamo ancora per breve tratto, piegando poi a sinistra e portandoci al limite di un corridoio erboso, delimitato, a monte, da un dosso; qui troviamo una marcata traccia di sentiero, che sale tendendo leggermente a sinistra (su un masso c’è anche una freccia giallo-rossa).
Ben presto, però, la traccia volge a destra, assumendo la definitiva direzione ovest, verso il passo. Il sentiero, qui meno marcato, passa a destra di una nuova pozza e supera un ometto, oltre il quale troviamo un nuovo bollo rosso contornato di giallo. Colpisce, in questo ampio corridoio, la fascia di rocce di gneiss scoperte, con incisioni singolari, che danno l’impressione di essere opera di una mano umana. Ma di ciò diremo più avanti. Il sentiero lascia quindi alle spalle questo corridoio e sale gradualmente, tagliando il ripido fianco erboso dell’alta valle: in un tratto interessato da uno smottamento, poco prima del passo, dobbiamo stare un po’ attenti, perché la traccia è appena accennata.
Alla fine, eccoci ai 2517 metri del passo di Caldenno: sul lato opposto non un ripido versante, ma una sorta di piccolo altipiano, ideale per riposare. Straordinario il panorama che si apre davanti a noi, soprattutto per l’improvvisa comparsa del profilo regale del monte Disgrazia, che dall’alta valle non si vede. A nord si mostra, dunque, splendido, il monte Disgrazia (m. 3567), ed alla sua destra si distingue bene il pizzo Cassandra (m. 3226). Procedendo in senso orario, distinguiamo i due Corni di Airale, sul versante settentrionale della Val Torreggio (Val del Turéc'). L’orizzonte, poi, si allarga alle cime del gruppo dello Scalino, con il pizzo Scalino, la punta Painale e la vetta di Ron. Ad est intuiamo appena il gruppo dell’Adamello, poi il panorama è chiuso dalla cima quotata 2610, che nasconde alla nostra vista il monte Caldenno (m. 2669).
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Alla sua destra, cioè a sud, dominiamo tutta l’alta Valle del Caldenno, mentre sul fondo si disegna una porzione delle Orobie centrali, con la Valle del Livrio, la Valcervia e la Valmadre, sul cui fondo si vede bene il passo di Dordona. A sud-ovest e ad ovest l’orizzonte è chiuso dalle cime che contornano l’alta Valle del Caldenno. Ad est, in particolare, possiamo individuare il passo di Scermendone (m. 2595), che congiunge Valle del Caldenno e Val Terzana: si tratta della più marcata depressione sul crinale. Alla sua destra il crinale sale fino alla torre quotata m. 2900, nel gruppo dei Corni Bruciati. A nord-ovest, infine, il crinale sale fino alla cima di Postalesio (m. 2995), quotata, ma non nominata sulle carte IGM.
Apri qui una fotomappa della Valle di Postalesio o del Caldenno
Il pianoro che, sul versante della Val Torreggio (Val del Turéc') si apre nei pressi del passo (ma anche il corridoio che abbiamo percorso iniziando l’ultimo traverso che conduce al passo) è ricco di rocce di gneiss, che riportano segni e cavità che danno l’impressione di costituire un segno dell’arte petroglifica preistorica.
Apri qui una fotomappa della traversata dal passo di Caldenno al passo di Scermendone
Ecco cosa ne scrive don Nicolò Zaccaria, prevosto di Sondalo ed esperto mineralista, il quale, nel 1902, dopo aver visitato questi luoghi, scrisse: “L’anno 1864 feci un’escursione sull’alpe Caldenno in comune di Berbenno. Appartiene al gruppo del Disgrazia, ed è un’alpe a circa 2600 metri sul mare. Alla sua sommità vi è un valico pel quale si entra nella Val Malenco sopra Torre. Or bene, proprio a questo passo la roccia gnesiaca è nuda e quasi piana ed in essa sono scalfite parecchie cavità d’una dimensione e d’una profondità poco su e poco giù come quella delle scodelle. Variano tuttavia nella forma, perché a prima vista hanno l’aspetto di un piede di cavallo. Quegli alpigiani mi condussero loro a vedere le orme impresse nella pietra dalle streghe che vi ballavano sopra con i piedi di cavallo”.
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In realtà, come poi fu appurato da Antonio Giussani, non ci sono di mezzo né uomini preistorici né streghe: si tratta di erosioni della roccia del tutto naturali. Nei pressi del passo troviamo anche, su un grande massicazioni di un sentiero che da esso taglia direttamente al passo di Corna Rossa (rifugio desio, ora chiuso perché pericolante): non si tratta, però, di una traversata agevole, ed una scritta raccomanda di seguire scrupolosamente i segnavia.
Apri qui una fotomappa della Val Airale e dell'alta Valle del Caldenno
Sul medesimo masso si trova segnalata la direzione nella quale si scende, invece, più comodamente e brevemente, al rifugio Bosio, in circa mezzora. Il sentiero procede all’inizio in direzione est, poi piega leggermente a destra e poco sotto a sinistra, assumendo l’andamento nord-est e passando, a quota 2375, da sinistra a destra di un valloncello, di cui poi segue per un buon tratto il lato orientale, piegando ancora a destra ed assumendo l’andamento est-nord-est. A quota 2225 se ne allontana e, piegando leggermente ancora a destra, raggiunge il lato occidentale di un nuovo valloncello. L’ultima parte della discesa avviene in un bel bosco di pini mughi, fino al rifugio (m. 2086). La traversata dall’alpe Caldenno al rifugio Bosio avviene in circa due ore e tre quarti di cammino, necessarie per superare un dislivello in altezza di 710 metri.
Monte Disgrazia dal passo di Caldenno
CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line
DALL'ALPE CALDENNO AL BIVACCO SCERMENDONE PER LA VAL TERZANA
Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
Alpe Caldenno-Passo di Scermendone-Val Terzana-Bivacco Scermendone |
3 h |
710 |
E |
Prato Isio-Alpe Caldenno-Passo di Scermendone-Alta Val Terzana-Val Vignone-Prato Maslino-Prato Isio |
6 h |
950 |
E |
SINTESI. Dalla chiesetta di Santa Margherita a Caldenno ci incamminiamo verso l'alta valle, stando sul lato destro (per noi), scavalcando su un ponticello un canale e passando per la baita più alta, la Baita di Ciazz, m. 1896. Proseguiamo salendogradualmente, fino al primo gradino di soglia della valle, dove troviamo un sentiero marcato che lo risale (siamo sempre sul suo lato destro), portando all'alpe Palù (m. 2099). Procediamo quasi in piano, restando a destra del torrente, superiamo un muretto a secco e saliamo ad una comca-pianoro che attraversiamo verso sinistra. Attraversato un torrentello da destra a sinistra, troviamo un sentiero marcato che sale verso nord-nord-ovest e che ci porta alla soglia dalla quale il torrente Caldenno precipita in una piccola gola, che rimane alla nostra sinistra. Superato questo secondo gradino glaciale, ci affacciamo al circo dell’alta valle, che ci accoglie con una sorta di terrazzo frastagliato per le diverse balze erbose. Nei pressi di un grande masso erratico e della piana circostante, vediamo la scritta “Scermendone”: qui, seguendo i segnavia (sempre bolli rossi contornati di giallo), dirigiamoci verso sinistra (ovest). Lasciamo il masso alle spalle ed attraversiamo un corridoio fra modesti dossi erbosi, raggiungendo una caratteristica conca che costituiva il fondo di una pozza prosciugata. Passati a destra della conca, pieghiamo leggermente a destra salendo su un dosso erboso. Piegando, di nuovo leggermente a sinistra passiamo accanto ad un secondo grande masso erratico, sul quale vediamo (sul lato rivolto al passo) un bollo rosso contornato di giallo. Il passo è la sella più a sinistra fra quelle che vediamo in alto. Procediamo su un sentierino che resta più o meno sul filo di modesti dossi erbosi, passando in mezzo a due grandi colate di sfasciumi. Restando sul sentierino, che descrive diverse serpentine e si fa via via più ripido, giungiamo alla sella del passo di Scermendone (m. 2595), che si affaccia sulla Val Terzana. Scendiamo ora su traccia di sentiero, sul lato destro dell'alta valle, passando a sinistra di uno sperone roccioso e passando poi sul lato sinistro della valle medesima. scende ad una conca erbosa e prosegue alla conca del laghetto; di qui, dopo una ripida discesa, si porta all’alpe Piano di Spini, dove diventa largo tratturo che, tagliando il fianco sinistro della bassa valle, ci porta nei pressi della chiesa di S. Quirico e del bivacco Scermendone.
VARIANTE (ANELLO DEL PIZZO BELLO): Dal passo di Scermendone traversiamo a vista, a sinistra, senza perdere quota, su terreno un po’ accidentato, e raggiungiamo la sella di quota 2600, che si apre a destra del versante sud-occidentale del pizzo Bello. Dalla sella, poi, scendiamo, seguendo i segnavia bianco-rossi, all’alta Val Vignone (alpe Baric) ed all’alpe di Vignone, scendendo al suo limite inferiore, a sinistra, dove parte la mulattiera che scende a Prato Maslino; qui, sul suo lato inferiore di sinistra (est), presso un grande masso erratico, troviamo il marcato sentiero che traversa a Prato Isio. |
Apri qui una fotomappa della Valle di Postalesio o del Caldenno
Dalla chiesetta di Santa Margherita all'alpe Caldenno (raggiunta percorrendo la pista che parte dal parcheggio di Prato isio) ci incamminiamo lasciando alle spalle le ultime baite e puntando ad una baita isolata posta più a monte (Baita di Ciazz, m. 1896), che raggiungiamo dopo aver scavalcato su un ponticello un canale in cemento che confluisce nel torrente Caldenno. Qui troviamo anche un cartello che dà il passo di Scermendone (posto erroneamente ad una quota di 2647 metri) ad un’ora e 30 minuti ed il passo di Caldenno (posto, anch’esso, erroneamente ad una quota di 2610 metri). La capanna Bosio, poi, viene data a 2 ore e la Desio a 3.
L'alpe Caldenno
Dalla baita, seguendo i segnavia, cominciamo a salire verso destra sul versante di media pendenza, fino a raggiungere una traccia ben marcata che prosegue salendo sul lato di destra (per noi) del torrente, per vincere il primo gradino glaciale della valle, che ci separa dall’alpe Palù (sulla carta IGM il sentiero è, invece, segnato sul lato opposto). Raggiunta la soglia del gradino, non attraversiamo il torrente, ma proseguiamo tenendoci alla sua destra e lasciando alla nosra sinistra un pianoro acquitrinoso (Palù, infatti, deriva da palude) e di due baite appoggiate ad un grande masso.
Apri qui una panoramica dell'Alpe Palù
Sul lato opposto vediamo anche il baitone dell’alpe Palù (m. 2099). Proseguiamo salendo gradualmente sul versante orientale della valle, in direzione di un piccolo ometto presso il quale troviamo anche un bollo rosso contornato di giallo. Usciamo, quindi, da un muricciolo a secco appena abbozzato, che serviva un tempo da recinto per il bestiame, e troviamo una freccia giallo-rossa che ci indica una traccia di sentiero. Ci allontaniamo, quindi, molto gradualmente dal fondo della valle, dove scorre il torrente, e, dopo aver trovato un nuovo segnavia rosso contornato di giallo, raggiungiamo una conca-pianoro. La tagliamo in diagonale verso sinistra ed attraversiamo da destra a sinistra un ramo secondario che da est confluisce nel torrente Caldenno, trovando, sul lato opposto, una traccia marcata che sale tagliando il fianco erboso di un ripido dosso ad oriente del torrente stesso. In realtà dalla conca-pianoro potremmo iniziare anche una salita diretta al passo, lungo il versante erboso che ci sta di fronte, ripido ma non insormontabile: tuttavia, se non abbiamo i tempi contati, non ci conviene scegliere questa più breve ma faticosa via. Ah, giusto, chiederete dov’è il passo. Lo possiamo facilmente individuare guardando in alto, sulla destra: non è marcato, ma lo si riconosce per il grande ometto nei suoi pressi.
Percorriamo, dunque, il sentiero che sale verso nord-nord-ovest e che ci porta alla soglia dalla quale il torrente precipita in una piccola gola, che rimane alla nostra sinistra. Superato questo secondo gradino glaciale, ci affacciamo, così, al circo dell’alta valle, che ci accoglie con una sorta di terrazzo frastagliato per le diverse balze erbose. In alto, leggermente sulla sinistra, riconosciamo il passo di Scermendone, riconoscibile per l’affilato torrione che lo presidia sulla destra (m 2565). Proseguendo verso destra, vediamo le punte quotate 2782 e 2900, che precedono i bastioni rossastri dei veri signori della valle, i Corni Bruciati, che mostrano in primo piano la più alta punta centrale (m. 3114) e la punta settentrionale (m. 3097), vertice settentrionale della valle e del territorio del comune di Berbenno. Proseguendo verso destra, distinguiamo la cima di Postalesio, quotata 2995 metri, ed il frastagliato crinale che scende al passo di Caldenno. Ciò che maggiormente impressiona è, però, la grande colata di massi rossastri che si dispone ai piedi del gruppo dei Corni Bruciati, luogo nel quale si può udire, nottetempo, il battere incessante e desolato di mazze sulla roccia: qui, infatti, sono stati relegati, dice una leggenda, i “cunfinàa” dei Corni Bruciati, anime che, invise a Dio et a lo inimico suo, come si diceva nei secoli scorsi, non possono avere accesso né al Paradiso, né all’Inferno (e neppure al Purgatorio).
Torniamo a noi: dobbiamo, ora, allontanarci dal torrente prendendo a destra, per salire su un declivio erboso che ci porta ad una conca con una bella pozza, a destra di un enorme masso erratico. Qui, seguendo i segnavia (sempre bolli rossi contornati di giallo), dirigiamoci verso ovest, cioè a sinistra. Lasciamo il masso alle spalle ed attraversiamo un corridoio fra modesti dossi erbosi, raggiungendo una caratteristica conca che costituiva il fondo di una pozza prosciugata. Passati a destra della conca, pieghiamo leggermente a destra salendo su un dosso erboso. Proprio davanti a noi, in alto, lo scenario è chiuso dal profilo selvaggio e tormentato delle punte centrale e settentrionale dei Corni Bruciati e della cima di Postalesio. Piegando, quindi, di nuovo leggermente a sinistra passiamo accanto ad un secondo grande masso erratico, sul quale vediamo (sul lato rivolto al passo) un bollo rosso contornato di giallo.
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Il passo è là, sopra di noi, leggermente a sinistra (vediamo, sul crinale, tre selle; il passo è quella più a sinistra, anche se quella centrale, più larga, dà l’impressione di essere un agevole valico); l’impressione è che lo si debba raggiungere risalendo un canalone che scende dall’intaglio e si allarga verso la base, occupato in gran parte da sfasciumi. In realtà il sentiero lo aggira sulla destra, sfruttando il dosso erboso posto a nord. Rimaniamo più o meno sul filo di modesti dossi erbosi, passando in mezzo a due grandi colate di sfasciumi, quella alla nostra sinistra, propaggine del canalone a valle del passo, e quella, ben più ampia ed impressionante, alla nostra destra, che sembra una desolata laguna infernale, una sinistra distesa di massi le cui tonalità, dal grigio al rossastro, sembrano suggerire l’idea di tizzoni di roccia che si vanno lentamente spegnendo dopo un rogo immane.
Il rogo dei Corni Bruciati di cui parla una celebre leggenda. In un tempo antico splendidi pascoli contornavano su ogni lato queste cime, e la cima del monte Disgrazia. Fra i pastori fortunati venne il Signore, nelle sembianze di un umile mendicante, chiedendo ospitalità a due fratelli. L’uno lo derise, l’altro lo accolse, ed a questi il misterioso mendicante ingiunse di lasciare l’alpe senza voltarsi. Piovve, poi, fuoco dal cielo, incenerì gli alpeggi ed arse le rocce stesse; queste si sgretolarono e caddero dai fianchi martoriati di quelle montagne che da allora assunsero un nome legato alla terribile punizione divina, monte Disgrazia, appunto, e Corni Bruciati. Eccole ancora lì, le rocce sgretolate e non ancora spente. Non è ancora l’ora, ma se le tenebre ci sorprendessero in questo luogo, potremmo udire il batter di mazza dei disgraziati “cunfinàa” relegati in eterno a dimorare in questo desolato deserto, forse gli stessi pastori egoisti di cui parla la leggenda.
Mentre questi pensieri ci prendono, proseguiamo sul dosso erboso, passando proprio sotto la verticale del passo. La tentazione sarebbe quella di salire per via diretta (c’è una lingua d’erba che percorre buona parte del lato destro del canalone), ma il sentiero prosegue, per aggirare da destra il dosso che, da qui, mostra il suo dirupato versante orientale. La traccia si fa ora più chiara e comincia a serpeggiare sul basso versante della valle, su terreno morenico, verso nord-ovest. Passiamo così sotto i roccioni della parte bassa del dosso, raggiungendone, poi, la copertura erbosa e piegando gradualmente a sinistra. Dopo un tratto caratterizzato da serrate serpentine fra i magri pascoli (direzione ovest), raggiungiamo la parte alta del dosso e pieghiamo ancora a sinistra (direzione sud-ovest), puntando alla selletta del passo, che da qui resta nascosta. Per raggiungerla dobbiamo prima effettuare un traverso a sinistra, che taglia la ripida parte alta del dosso e del canalone. Giunti sotto la sua verticale, volgiamo a destra, su terreno ripido, vincendo con un po’ di fatica gli ultimi metri di dislivello, anche grazie alle serrate serpentine del sentiero, sempre ben marcato.
Apri qui una fotomappa sulla Valle di Postalesio
Al grande ometto posto sui 2595 metri del passo di Scermendone possiamo finalmente tirare il fiato, dopo circa due ore e mezza di cammino dall’alpe Caldenno (il dislivello approssimativo è di 790 metri). Volgendo lo sguardo alla Valle del Caldenno, riconosciamo, alle spalle della sterminata distesa di massi rossastri, lo stretto filo del sentiero che sale al passo gemello di Caldenno. Oltre il crinale dell’alta valle vediamo, poi, da sinistra, il pizzo Cassandra, i Corni di Airale, uno scorcio delle lontane cime della Val Grosina, il più vicino pizzo Scalino, la punta Painale ed un brevissimo scorcio della vetta di Ron. Sul lato opposto si apre uno scenario più tranquillo ma non meno solitario e selvaggio: la Val Terzana degrada dolcemente fra balze bizzarre. Ne scorgiamo il laghetto di Scermendone e, allo sbocco, l’alpe omonima. Sul fondo, a destra del corno del monte Legnone, le cime della sezione occidentale del gruppo del Masino, dalla cima del Desenigo all’arrotondato pizzo Ligoncio. Che fare, ora?
Le possibilità per proseguire l’escursione sono diverse. La più semplice è quella di scendere lungo la Val Terzana, passando per il laghetto di Scermendone e l’alpe Piano di Spini, fino al bivacco Scermendone, posto nei pressi del suo sbocco, nella parte alta dell’alpe Scermendone. Il sentiero, segnalato da alcuni segnavia rosso-bianco-rossi e bianco-rossi, è agevole: nel primo tratto passa a destra di uno speroncino erboso, poi piega gradualmente a sinistra passando dal lato destro a quello sinistro del torrentello dell’alta valle, scende ad una conca erbosa e prosegue alla conca del laghetto; di qui, dopo una ripida discesa, si porta all’alpe Piano di Spini, dove diventa largo tratturo che, tagliando il fianco sinistro della bassa valle, ci porta nei pressi della chiesa di S. Quirico e del bivacco Scermendone. Dal bivacco, poi, possiamo traversare all’alpe Vignone ed a Prato Maslino per il Sentiero Italia; sempre sfruttando questo sentiero, torniamo a Prato Isio, dove abbiamo lasciato l’automobile (questo anello, che potremmo chiamare del pizzo Bello, richiede 8 ore di cammino).
Apri qui una panoramica sull'alta Val Terzana
Dal passo di Scermendone possiamo, però, scendere all’alpe Vignone per una via decisamente più breve: traversando, a vista, a sinistra, senza perdere quota, su terreno un po’ accidentato, raggiungiamo la sella di quota 2600, che si apre a destra del versante sud-occidentale del pizzo Bello. Dalla sella, poi, scendiamo, seguendo i segnavia bianco-rossi, all’alta Val Vignone ed all’alpe di Vignone, proseguendo per Prato Maslino e di qui traversando a Prato Isio. Questa versione ridotta dell’anello del pizzo Bello (che, dalla sella, possiamo facilmente raggiungere con una digressione di circa una quarantina di minuti, salendo sul crinale sud-occidentale) richiede circa 6 ore di cammino.
Alta Val Terzana
CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line
Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
Prato Isio-Alpe Caldenno-Passo di Scermendone-Val Terzana-Bocchetta-Alpe Baric-Alpe Vignone-Prato Maslino-Prato Isio |
6-7 h |
1170 |
E |
SINTESI. Dal parcheggio di Prato Isio (m. 1661), dove abbiamo lasciato l'automobile, imbochiamo la pista che sale all'alpe Caldenno. Dalla chiesetta di Santa Margherita a Caldenno ci incamminiamo verso l'alta valle, stando sul lato destro (per noi), scavalcando su un ponticello un canale e passando per la baita più alta, la Baita di Ciazz, m. 1896. Proseguiamo salendogradualmente, fino al primo gradino di soglia della valle, dove troviamo un sentiero marcato che lo risale (siamo sempre sul suo lato destro), portando all'alpe Palù (m. 2099). Procediamo quasi in piano, restando a destra del torrente, superiamo un muretto a secco e saliamo ad una comca-pianoro che attraversiamo verso sinistra. Attraversato un torrentello da destra a sinistra, troviamo un sentiero marcato che sale verso nord-nord-ovest e che ci porta alla soglia dalla quale il torrente Caldenno precipita in una piccola gola, che rimane alla nostra sinistra. Superato questo secondo gradino glaciale, ci affacciamo al circo dell’alta valle, che ci accoglie con una sorta di terrazzo frastagliato per le diverse balze erbose. Nei pressi di un grande masso erratico e della piana circostante, vediamo la scritta “Scermendone”: qui, seguendo i segnavia (sempre bolli rossi contornati di giallo), dirigiamoci verso sinistra (ovest). Lasciamo il masso alle spalle ed attraversiamo un corridoio fra modesti dossi erbosi, raggiungendo una caratteristica conca che costituiva il fondo di una pozza prosciugata. Passati a destra della conca, pieghiamo leggermente a destra salendo su un dosso erboso. Piegando, di nuovo leggermente a sinistra passiamo accanto ad un secondo grande masso erratico, sul quale vediamo (sul lato rivolto al passo) un bollo rosso contornato di giallo. Il passo è la sella più a sinistra fra quelle che vediamo in alto. Procediamo su un sentierino che resta più o meno sul filo di modesti dossi erbosi, passando in mezzo a due grandi colate di sfasciumi. Restando sul sentierino, che descrive diverse serpentine e si fa via via più ripido, giungiamo alla sella del passo di Scermendone (m. 2595), che si affaccia sulla Val Terzana. Dal passo di Scermendone traversiamo a vista, a sinistra, senza perdere quota, su terreno un po’ accidentato, e raggiungiamo la sella di quota 2600, che si apre a destra del versante sud-occidentale del pizzo Bello. Dalla sella, poi, scendiamo, seguendo i segnavia bianco-rossi, all’alta Val Vignone (alpe Baric) ed all’alpe di Vignone, scendendo al suo limite inferiore, a sinistra, dove parte la mulattiera che scende a Prato Maslino; qui, sul suo lato inferiore di sinistra (est), presso un grande masso erratico, troviamo il marcato sentiero che traversa a Prato Isio.
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Dalla chiesetta di Santa Margherita (raggiunta percorrendo la pista che parte dal parcheggio di Prato Isio) ci incamminiamo lasciando alle spalle le ultime baite e puntando ad una baita isolata posta più a monte (Baita di Ciazz, m. 1896), che raggiungiamo dopo aver scavalcato su un ponticello un canale in cemento che confluisce nel torrente Caldenno. Qui troviamo anche un cartello che dà il passo di Scermendone (posto erroneamente ad una quota di 2647 metri) ad un’ora e 30 minuti ed il passo di Caldenno (posto, anch’esso, erroneamente ad una quota di 2610 metri). La capanna Bosio, poi, viene data a 2 ore e la Desio a 3.
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Dalla baita, seguendo i segnavia, cominciamo a salire verso destra sul versante di media pendenza, fino a raggiungere una traccia ben marcata che prosegue salendo sul lato di destra (per noi) del torrente, per vincere il primo gradino glaciale della valle, che ci separa dall’alpe Palù (sulla carta IGM il sentiero è, invece, segnato sul lato opposto). Raggiunta la soglia del gradino, non attraversiamo il torrente, ma proseguiamo tenendoci alla sua destra e lasciando alla nosra sinistra un pianoro acquitrinoso (Palù, infatti, deriva da palude) e di due baite appoggiate ad un grande masso.
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Sul lato opposto vediamo anche il baitone dell’alpe Palù (m. 2099). Proseguiamo salendo gradualmente sul versante orientale della valle, in direzione di un piccolo ometto presso il quale troviamo anche un bollo rosso contornato di giallo. Usciamo, quindi, da un muricciolo a secco appena abbozzato, che serviva un tempo da recinto per il bestiame, e troviamo una freccia giallo-rossa che ci indica una traccia di sentiero. Ci allontaniamo, quindi, molto gradualmente dal fondo della valle, dove scorre il torrente, e, dopo aver trovato un nuovo segnavia rosso contornato di giallo, raggiungiamo una conca-pianoro. La tagliamo in diagonale verso sinistra ed attraversiamo da destra a sinistra un ramo secondario che da est confluisce nel torrente Caldenno, trovando, sul lato opposto, una traccia marcata che sale tagliando il fianco erboso di un ripido dosso ad oriente del torrente stesso. In realtà dalla conca-pianoro potremmo iniziare anche una salita diretta al passo, lungo il versante erboso che ci sta di fronte, ripido ma non insormontabile: tuttavia, se non abbiamo i tempi contati, non ci conviene scegliere questa più breve ma faticosa via. Ah, giusto, chiederete dov’è il passo. Lo possiamo facilmente individuare guardando in alto, sulla destra: non è marcato, ma lo si riconosce per il grande ometto nei suoi pressi.
Percorriamo, dunque, il sentiero che sale verso nord-nord-ovest e che ci porta alla soglia dalla quale il torrente precipita in una piccola gola, che rimane alla nostra sinistra. Superato questo secondo gradino glaciale, ci affacciamo, così, al circo dell’alta valle, che ci accoglie con una sorta di terrazzo frastagliato per le diverse balze erbose. In alto, leggermente sulla sinistra, riconosciamo il passo di Scermendone, riconoscibile per l’affilato torrione che lo presidia sulla destra (m 2565). Proseguendo verso destra, vediamo le punte quotate 2782 e 2900, che precedono i bastioni rossastri dei veri signori della valle, i Corni Bruciati, che mostrano in primo piano la più alta punta centrale (m. 3114) e la punta settentrionale (m. 3097), vertice settentrionale della valle e del territorio del comune di Berbenno. Proseguendo verso destra, distinguiamo la cima di Postalesio, quotata 2995 metri, ed il frastagliato crinale che scende al passo di Caldenno. Ciò che maggiormente impressiona è, però, la grande colata di massi rossastri che si dispone ai piedi del gruppo dei Corni Bruciati, luogo nel quale si può udire, nottetempo, il battere incessante e desolato di mazze sulla roccia: qui, infatti, sono stati relegati, dice una leggenda, i “cunfinàa” dei Corni Bruciati, anime che, invise a Dio et a lo inimico suo, come si diceva nei secoli scorsi, non possono avere accesso né al Paradiso, né all’Inferno (e neppure al Purgatorio).
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Torniamo a noi: dobbiamo, ora, allontanarci dal torrente prendendo a destra, per salire su un declivio erboso che ci porta ad una conca con una bella pozza, a destra di un enorme masso erratico. Piegando, quindi, di nuovo leggermente a sinistra passiamo accanto ad un secondo grande masso erratico, sul quale vediamo (sul lato rivolto al passo) un bollo rosso contornato di giallo.
Il passo è là, sopra di noi, leggermente a sinistra (vediamo, sul crinale, tre selle; il passo è quella più a sinistra, anche se quella centrale, più larga, dà l’impressione di essere un agevole valico); l’impressione è che lo si debba raggiungere risalendo un canalone che scende dall’intaglio e si allarga verso la base, occupato in gran parte da sfasciumi. In realtà il sentiero lo aggira sulla destra, sfruttando il dosso erboso posto a nord. Rimaniamo più o meno sul filo di modesti dossi erbosi, passando in mezzo a due grandi colate di sfasciumi, quella alla nostra sinistra, propaggine del canalone a valle del passo, e quella, ben più ampia ed impressionante, alla nostra destra, che sembra una desolata laguna infernale, una sinistra distesa di massi le cui tonalità, dal grigio al rossastro, sembrano suggerire l’idea di tizzoni di roccia che si vanno lentamente spegnendo dopo un rogo immane.
Il rogo dei Corni Bruciati di cui parla una celebre leggenda. In un tempo antico splendidi pascoli contornavano su ogni lato queste cime, e la cima del monte Disgrazia. Fra i pastori fortunati venne il Signore, nelle sembianze di un umile mendicante, chiedendo ospitalità a due fratelli. L’uno lo derise, l’altro lo accolse, ed a questi il misterioso mendicante ingiunse di lasciare l’alpe senza voltarsi. Piovve, poi, fuoco dal cielo, incenerì gli alpeggi ed arse le rocce stesse; queste si sgretolarono e caddero dai fianchi martoriati di quelle montagne che da allora assunsero un nome legato alla terribile punizione divina, monte Disgrazia, appunto, e Corni Bruciati. Eccole ancora lì, le rocce sgretolate e non ancora spente. Non è ancora l’ora, ma se le tenebre ci sorprendessero in questo luogo, potremmo udire il batter di mazza dei disgraziati “cunfinàa” relegati in eterno a dimorare in questo desolato deserto, forse gli stessi pastori egoisti di cui parla la leggenda.
Mentre questi pensieri ci prendono, proseguiamo sul dosso erboso, passando proprio sotto la verticale del passo. La tentazione sarebbe quella di salire per via diretta (c’è una lingua d’erba che percorre buona parte del lato destro del canalone), ma il sentiero prosegue, per aggirare da destra il dosso che, da qui, mostra il suo dirupato versante orientale. La traccia si fa ora più chiara e comincia a serpeggiare sul basso versante della valle, su terreno morenico, verso nord-ovest. Passiamo così sotto i roccioni della parte bassa del dosso, raggiungendone, poi, la copertura erbosa e piegando gradualmente a sinistra. Dopo un tratto caratterizzato da serrate serpentine fra i magri pascoli (direzione ovest), raggiungiamo la parte alta del dosso e pieghiamo ancora a sinistra (direzione sud-ovest), puntando alla selletta del passo, che da qui resta nascosta. Per raggiungerla dobbiamo prima effettuare un traverso a sinistra, che taglia la ripida parte alta del dosso e del canalone. Giunti sotto la sua verticale, volgiamo a destra, su terreno ripido, vincendo con un po’ di fatica gli ultimi metri di dislivello, anche grazie alle serrate serpentine del sentiero, sempre ben marcato.
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Al grande ometto posto sui 2595 metri del passo di Scermendone possiamo finalmente tirare il fiato, dopo circa due ore e mezza di cammino dall’alpe Caldenno (il dislivello approssimativo è di 790 metri). Volgendo lo sguardo alla Valle del Caldenno, riconosciamo, alle spalle della sterminata distesa di massi rossastri, lo stretto filo del sentiero che sale al passo gemello di Caldenno. Oltre il crinale dell’alta valle vediamo, poi, da sinistra, il pizzo Cassandra, i Corni di Airale, uno scorcio delle lontane cime della Val Grosina, il più vicino pizzo Scalino, la punta Painale ed un brevissimo scorcio della vetta di Ron.
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Sul lato opposto si apre uno scenario più tranquillo ma non meno solitario e selvaggio: la Val Terzana degrada dolcemente fra balze bizzarre. Ne scorgiamo il laghetto di Scermendone e, allo sbocco, l’alpe omonima. Sul fondo, a destra del corno del monte Legnone, le cime della sezione occidentale del gruppo del Masino, dalla cima del Desenigo all’arrotondato pizzo Ligoncio.
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Dal passo di Scermendone traversiamo a vista, a sinistra, senza perdere quota, su terreno un po’ accidentato, e raggiungiamo la sella di quota 2600, che si apre a destra del versante sud-occidentale del pizzo Bello. Dalla sella, poi, scendiamo, seguendo i segnavia bianco-rossi, all’alta Val Vignone (alpe Baric) ed all’alpe di Vignone, scendendo al suo limite inferiore, a sinistra, dove parte la mulattiera che scende a Prato Maslino; qui, sul suo lato inferiore di sinistra (est), presso un grande masso erratico, troviamo il marcato sentiero che traversa a Prato Isio, dove l'anello si chiude.
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CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line
Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
Alpe Caldenno-Biv. Ai Fop |
1 h e 20 min. |
425 |
E |
SINTESI. Portiamoci al nucleo occidentale di baite dell'alpe Caldenno (sulla sinistra, m. 1817); oltre le baite, saliamo ad una grande baita isolata Oltre le baite dell’alpe, vediamo, sulla sinistra, poco più in alto, un cartello, che dà l’alpe Ai Fop a 30 minuti, il bivacco Ai Fop a 40 minuti. Appena a sinistra del cartello parte un bel sentiero, sempre visibile, che sale, verso est, con molti tornanti, fino alla prima e più bassa conca dell’alpe Ai Fop, dove troviamo un rudere di baita (m. 2180); dopo un traverso a destra ed uno a sinistra, ci porta alla seconda conca, che ospita il bel bivacco Ai Fop (m. 2250), posto in un luogo solitario e bellissimo. |
Apri qui una fotomappa della Valle del Caldenno
Torniamo, ora, all’alpe Caldenno, perché le indicazioni escursionistiche non terminano qui. Assai meno nota, ma non meno bella, è la salita all’alpe Fop, nascosta su un grande terrazzo che si stende sul fianco occidentale della Valle del Caldenno a nord dell’alpe Caldenno. Punto di riferimento è la grande baita isolata posta a monte del nucleo di baite occidentale dell’alpe (quello di sinistra, per chi sale). Seguendo la pista che proviene da Prato Isio fino al suo termine, oltre le baite dell’alpe, vediamo, sulla sinistra, poco più in alto, un cartello, che dà l’alpe Ai Fop a 30 minuti, il bivacco Ai Fop a 40 minuti, il passo del Cavallo ad un’ora e la Pizza Bella (o pizzo Bello) a 2 ore. Appena a sinistra del cartello parte un bel sentiero, sempre visibile, che sale, verso est, con molti tornanti, fino alla prima e più bassa conca dell’alpe Ai Fop, dove troviamo un rudere di baita (m. 2180); dopo un traverso a destra ed uno a sinistra, ci porta alla seconda conca, che ospita il bel bivacco Ai Fop (m. 2250), posto in un luogo solitario e bellissimo.
Apri qui una panoramica dal bivacco Ai Fop
Oltre il bivacco il sentiero diventa assai meno visibile, ma, con un po’ di attenzione, possiamo proseguire salendo in direzione nord-ovest, lungo un ampio dosso, oltre il quale si apre la terza e più grande conca dell’alpe. Prendendo a sinistra e risalendo il facile versante erboso, intercettiamo, poi, un sentiero che, salendo verso sinistra, porta sul largo crinale che separa la Valle del Caldenno dall’alta Val Finale; qui troviamo una traccia di sentiero che lo percorre e sale ad una selletta posta appena a destra della cima del Poggio del Cavallo (riconoscibile per il grande ometto che la sovrasta), posta, a 2557, sul vertice nel quale convergono Valle di Caldenno, Val Finale e Val Vignone; risalendo le ultime balze erbose, possiamo raggiungerla per godere di un ottimo panorama. Calcoliamo, dall’alpe Caldenno alla cima, un paio d’ore o poco più di cammino (il dislivello in salita è di circa 740 metri).
Apri qui una panoramica dal Poggio Cavallo verso ovest
Proseguiamo questa rassegna di itinerari escursionistici con una nota più malinconica. Esiste un sentierino che, partendo dal nucleo orientale delle baite dell’alpe Caldenno, risale il selvaggio e ripido versante orientale della valle e porta alla croce Capin (m. 2278), posta su uno speroncino del crinale, appena a monte dell’impressionante frana che ferisce la media e bassa Valle del Caldenno. Si tratta dell’unico sentiero che consente una traversata del versante retico sopra Polaggia e sopra Postalesio. La discesa dalla croce Capin all’alpe ed al laghetto di Colina è, poi, semplice. Ma ecco le note dolenti: niente affatto semplice è, invece, la salita dall’alpe Caldenno alla croce, non ancora (autunno 2007) segnalata adeguatamente. Solo un paio di cartelli aiutano nella prima parte. Troviamo il primo alle spalle della chiesetta di Santa Margherita, ed indica che per la Croce Capin (data ad un’ora e mezza di cammino) si prende a destra.
I Fop
Poi, però, nessun segnavia, solo una traccia di sentiero quantomeno incerta, che sembra proseguire verso destra, ma poi volge a sinistra, risalendo il versante di massi e magri pascoli sulla verticale delle baite dell’alpe. Nella parte alta di questo versante, sulla sinistra, il secondo cartello, che indica ancora la direzione di destra. Poi nebbia. Una traccia molto debole di sentiero sale fino al termine del versante, sotto alcune roccette, e traversa a sinistra, raggiungendo un più ampio versante, che poi risale faticosamente, perdendosi. Portandoci faticosamente alla parte alta di destra di questo versante e lasciano al sinistra le prima roccette, troviamo una traccia che prende a destra ed entra nel bosco. È questa la traccia giusta? Non saprei dirlo, perché qui, vista la difficoltà del versante, ripido ed esposto, mi sono fermato. Il sentiero, comunque, dovrebbe da questa quota piegare in direzione est, salendo alla parte alta del bosco e traversando, nell’ultima parte, in terreno aperto, sempre ripido e pericoloso. Per questo consiglio di affrontare questa salita (e, a maggior ragione, la discesa dalla croce Capin all’alpe Caldenno) solo dopo la sua adeguata segnalazione (che speriamo non tardi).
Apri qui una fotomappa del sentiero che sale al crinale dal bivacco Ai Fop
CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line
L'ANELLO ISIO-CALDENNO-CIAZZ-ISIO
Punti di partenza ed arrivo |
Tempo necessario |
Dislivello in altezza in m. |
Difficoltà (T=turistica, E=escursionistica, EE=per escursionisti esperti) |
Prato Isio-Alpe Caldenno-Ciazz-Muta di caldenno-Prato Isio |
2 h |
425 |
E |
SINTESI. Da Prato isio saliamo all'alpe Caldenno, portandoci al nucleo di baite occidentale (sulla sinistra, m. 1817). Alle loro spalle troviamo un sentiero che sale verso sinistra (sud-ovest), effettuando una traversata che lo porta sul crinale, alla splendida radura della località Ciazz (m 2013). Pieghiamo a sinistra (sud-est), scendendo per il facile crinale, su un sentiero che, nelle parti nel bosco, è molto marcato (attraversa però un paio di radure dove si perde). Raggiunta l’ampia conca di prati della Muta di Caldenno, prendiamo a sinistra e, aggirato un marcato cocuzzolo, scendiamo alla parte alta occidentale di Prato Isio. |
Il Ciazz
Per chi desiderasse una meno impegnativa camminata, ecco un'idea di una bella escursione ad anello di un paio d'ore circa. Parcheggiata l'automobile al parcheggio nella parte alta di Prato Isio, imbocchiamo la vicina pista sterrata che ci porta alle baite dell'alpe Caldenno. Qui ci portiamo alle ultime baite sul lato di sinistra (per noi) della valle (m. 1817). Alle loro spalle troviamo un sentiero che sale verso sinistra (sud-ovest), effettuando una traversata che lo porta sul crinale, alla splendida radura della località Ciazz (m 2013). Sulle carte il sentiero prosegue effettuando una traversata alta della Val Finale (sentée del gat), ma si tratta di un sentierino non facile da trovare, con traccia discontinua e sporattutto molto esposto e quindi pericoloso, per cui è meglio laciar perdere e piegare a sinistra (sud-est), tornando a Prato Isio lungo il facile crinale, su un sentiero che, nelle parti nel bosco, è molto marcato (attraversa però un paio di radure dove si perde).
La Muta di Caldenno
Raggiunta l’ampia conca di prati della Muta di Caldenno, prendiamo a sinistra e, aggirato un marcato cocuzzolo, scendiamo alla parte alta occidentale di Prato Isio, traversando infine al lato opposto dove abbiamo parcheggiato l'automobile.
La Muta di Caldenno
CARTA DEL PERCORSO sulla base della Swisstopo, che ne detiene il Copyright. Ho aggiunto alla carta alcuni toponimi ed una traccia rossa continua (carrozzabili, piste) o puntinata (mulattiere, sentieri). Apri qui la carta on-line
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